Per i dipendenti pubblici la strada per anticipare l’uscita attraverso il meccanismo di «Quota 100» sarà un po’ più stretta che per i lavoratori del privato. Gli statali non soltanto dovranno rispettare la regola della cosiddetta «finestra mobile», ossia attendere tre mesi dal momenti in cui maturano il diritto alla pensione prima di poter concretamente lasciare il lavoro, ma dovranno anche dare un «preavviso» di altri tre mesi. Questo significa che i primi dipendenti pubblici ad andare in pensione con il requisito minimo dei 62 anni di età e dei 38 di contributi, lasceranno i ranghi della pubblica amministrazione soltanto a partire da luglio del prossimo anno.
Un “mini-versamento” senza sanzioni e senza interessi per colmare i vuoti contributivi cumulati negli anni successivi al 1996. Con un onere calcolato sullo stipendio medio dell’anno successivo al “buco” o con un “forfait” per gli under 30 e le lavoratrici madri. La pace contributiva che accompagna il debutto di “quota 100”, previsto ad aprile per i primi dipendenti privati, avrà una doppia destinazione: la prima per i quotisti che devono raggiungere i 38 anni necessari per l’uscita a 62, la seconda per i più giovani con carriere discontinue alle spalle cui viene data la possibilità di ricostruire la propria carriera contributiva per evitare, in prospettiva, una pensione di vecchiaia a 70 anni e traguardare invece l’anticipo a 41 o più.
In entrambe le opzioni, ancora al vaglio dei tecnici che stanno scrivendo le norme da inserire in manovra (eventualmente anche con emendamenti parlamentari) , resta da decidere il costo finale, mentre è già stabilito il requisito di 20 anni minimi di contributi effettivi per accedere alla “pace”. La misura si raccorda da un lato con la rottamazione fiscale ter con cui le aziende potranno invece sanare i mancati versamenti oggetto di contenzioso, dall’altro, per quanto riguarda i giovani, alla soluzione che verrà adottata per l’integrazione al minimo delle future pensioni contributive.
Il nodo è trovare una soglia compatibile con i 780 euro al mese della pensione di cittadinanza, che saranno in parte coperte con le entrate dal contributo di solidarietà che verrà applicato alle pensioni “d’oro”. Il governo sta affinando le ipotesi tecniche sul tappeto.
Quella più gettonata prevede un prelievo quinquennale facendo leva su 5 distinte aliquote: si parte da 8-10% per gli assegni fino al 130mila euro lordi l’anno; 12-14% fino a 200mila; 14-16% fino a 350mila; 16-18% fino a 500mila e 20% secco oltre il mezzo milione. Il prelievo non scatterebbe per le pensioni prevalentemente contributive anche se si starebbe valutando una ulteriore opzione per colpire indistintamente tutti i trattamenti elevati ma solo con quattro aliquote. Si sta ancora lavorando, poi, sulla limitazione delle perequazioni all’inflazione di questi assegni elevati (sopra i 4.500 netti al mese) seguendo l’ipotesi di un adeguamento solo del 25 o 50% per un periodo ancora da stabilire. I risparmi derivanti da questi interventi sugli assegni “d’oro” finiranno in un apposito Fondo di garanzia destinato a finanziare nuove prestazioni assistenziali per soggetti in difficoltà da individuare con un decreto dei ministeri del Lavoro e dell’Economia.
Gli ultimi ritocchi alle bozze in circolazione saranno scritti nei prossimi giorni, che saranno cruciali per la definizione delle manovra: il testo dovrebbe approdare in Parlamento entro il 31 ottobre o più probabilmente il 5 novembre.
Il “pacchetto pensioni” aggiornato prevede quattro finestre trimestrali di uscita per i lavoratori privati e la conferma delle sole due finestre semestrali per “quota 100” dei dipendenti pubblici (12 mesi per la scuola) e del divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro sopra i 5mila euro annui per i primi due anni.
Il ritorno del sistema delle finestre avrà poi un impatto anche sulla soglia di anticipo ex legge Fornero: a gennaio restano i 42 anni e 10 mesi (41 e 10 per le donne) ma chi matura il requisito avrà la decorrenza della pensione solo tre mesi dopo. L’adeguamento alla speranza di vita, per questo canale di uscita, tornerà nel 2023.
L’età di pensionamento sarà di 62 anni con 38 di contributi, ci saranno 4 finestre per l’uscita (2 per gli statali), e il congelamento dell’età contributiva di vecchiaia a 42 anni e 10 mesi.
Le finestre
Tre mesi di attesa
prima dell’uscita
Sarà possibile dal 2019 andare in pensione anticipata avendo almeno 62 anni di età e 38 di contributi. I lavoratori privati iscritti all’Inps che avessero maturato i requisiti entro dicembre 2018 potranno uscire il 1 aprile 2019. Se li matureranno dal 1° gennaio 2019 potranno ricevere la pensione «trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti», quindi con una sorta di finestra mobile trimestrale. i lavoratori pubblici che maturano i requisiti per quota 100 entro il 31 dicembre avranno l’assegno pensionistico dal primo luglio, se maturano i requisiti successivamente il diritto alla decorrenza dell’assegno sarà maturato dopo sei mesi. Per il personale della scuola la finestra è annuale.
Aumento età
Scatti congelati
solo parzialmente
Resteranno fermi a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne) anche l’anno prossimo (senza l’aumento di cinque mesi previsto) i contributi necessari a lasciare il lavoro a prescindere dall’età ma è prevista una finestra mobile trimestrale anche per chi esce con questa norma. Tramonta invece l’ipotesi di bloccare, fino al 2023, l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia dopo il passaggio, nel 2019, a 67 anni. Quindi l’anno prossimo si andrà in pensione di vecchiaia a 67 anni e si valuterà l’aumento dell’età ogni due anni a seconda degli andamenti della speranza di vita. Resta in vigore anche la cosiddetta «Opzione donna» che permette di uscire con il ricalcolo contributivo con almeno 58 anni e 35 di contributi.
Turnover
Fondi aziendali
per il “ricambio”
l cantiere delle pensioni è comunque ancora in movimento. Nelle bozze non c’è ancora una misura ad hoc, ma si lavora alacremente a una norma sui fondi di solidarietà bilaterali per cui in presenza di accordi collettivi con i sindacati per favorire percorsi di ricambio generazionale si potrà erogare un assegno straordinario di sostegno al reddito di lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per la pensione anticipata nei successivi tre anni. Del resto il governo ha spiegato sin da subito che l’idea alla base della riforma della legge Fornero è quella di favorire un ricambio tra anziani e giovani all’interno delle aziende. Un turnover chiesto dagli stessi imprenditori.
Lavoro
Divieto di cumulo
per due anni
La pensione anticipata non sarà cumulabile almeno all’inizio con redditi da lavoro (a meno che non siano per lavoro autonomo e per meno di 5.000 euro lordi annui) per due anni. Inoltre, i lavoratori che sono interamente nel sistema contributivo (senza contributi prima del 1995) avranno la possibilità di riscattare in tutto o soltanto in parte i periodi non coperti da contributi. L’onere è a completo carico degli aventi diritto (che lo deducono) ma può essere sostenuto anche da un parente o affine entro il secondo grado (che lo detrae). Il meccanismo potrà essere usato anche per riscattare i periodi di studio universitari che hanno portato al conseguimento di una laurea.
C’è poi la proroga fino al 2021 di “opzione donna”: con 58 anni di età e 35 di contributi le lavoratrici (59 se autonome) potranno avere una pensione ricalcolata con il solo criterio contributivo e decorrenza posticipata di 12 mesi (18 per le autonome). Insomma il sistema delle finestre di uscita arriverebbe a totalizzare nove soluzioni diverse per tutte le future pensioni di anzianità, sette delle quali per la sola “quota 100” (4 per i privati, 2 per gli statali e 1 per la scuola). Non potranno invece utilizzare la quota i lavoratori coinvolti in piani di isopensione (articolo 4 legge 92)che prevedono la possibilità di accordi per uscita a carico totale del datore di lavoro. Mentre i fondi di solidarietà aziendali potranno finanziare volontariamente fino a tre anni di assegno straordinario fino a tre anni prima di “quota 100”.
Infine i lavoratori del trasporto aereo vedono ulteriormente abbassarsi la soglie per il pensionamento di vecchiaia, che scende dai 5 anni attuali a 7 anni in meno rispetto agli altri lavoratori. La misura sarà coperta rendendo strutturale la “tassa” di 3 euro per il diritto d’imbarco.
Dipendenti pubblici, con la riforma della Fornero l’assegno si può ridurre fino al 13%
Per i dipendenti pubblici la strada per anticipare l’uscita attraverso il meccanismo di «Quota 100» sarà un po’ più stretta che per i lavoratori del privato. Gli statali non soltanto dovranno rispettare la regola della cosiddetta «finestra mobile», ossia attendere tre mesi dal momenti in cui maturano il diritto alla pensione prima di poter concretamente lasciare il lavoro, ma dovranno anche dare un «preavviso» di altri tre mesi. Questo significa che i primi dipendenti pubblici ad andare in pensione con il requisito minimo dei 62 anni di età e dei 38 di contributi, lasceranno i ranghi della pubblica amministrazione soltanto a partire da luglio del prossimo anno. Per chi lavora nella scuola, poi, la finestra sarà annuale. I professori, ma da sempre è così, potranno lasciare il lavoro solo dal mese di settembre in modo da garantire la continuità didattica.
L’ANALISI
C’è poi un’altra domanda che inizia a circolare con insistenza tra i dipendenti pubblici: ma lasciare il lavoro con «Quota 100» conviene davvero? Un quesito rivolto soprattutto ai sindacati. Qualche conteggio ha provato a farlo Unsa-Confsal (si veda tabella in pagina). Il confronto è tra quanto prenderebbe uno statale (i profili sono quelli di dipendenti ministeriali), anticipando l’uscita con «Quota 100» e quanto prenderebbe invece, aspettando almeno fino all’età ordinamentale (65 anni) in cui in teoria l’amministrazione potrebbe pensionare i propri dipendenti (in poche lo fanno, lasciando invece attendere il requisito di vecchiaia dei 66 anni e 7 mesi). Chi si trova nel sistema misto, e dunque ha una pensione in parte calcolata sui contributi versati, anticipando l’uscita rinuncia di fatto ad alcuni anni di contribuzione aggiuntiva. Secondo i calcoli fatti dall’Unsa, questo meccanismo comporterebbe una riduzione dell’assegno rispetto a quello potenziale tra il 10% e il 13%. Per un dipendente ministeriale di terza area, per esempio, la pensione mensile lorda con «Quota 100», sarebbe di 2.504 euro circa, contro i 2.752 euro che si otterrebbero lavorando tre anni in più. Insomma, un taglio del 9,9%. Un dipendente di seconda area, invece, anticipando la pensione otterrebbe un assegno di 1.686 euro lordi mensili, contro una pensione di 1.907 euro lordi mensili che avrebbe lavorando almeno fino a 65 anni.
LE STIME
Un certo numero di persone, insomma, potrebbe decidere di non approfittare del meccanismo «Quota 100» per non vedersi decurtato l’assegno nella sua parte contributiva. Un conto che, in qualche modo, hanno fatto anche al governo. Dei 380 mila dipendenti totali che potrebbero anticipare la pensione, 150 mila circa sono lavoratori del pubblico impiego. L’idea è che non tutti utilizzeranno lo scivolo per lasciare in anticipo il lavoro. Anzi. Complice anche il divieto di cumulo della pensione con altri redditi per due anni dall’uscita dal lavoro, quelli che sceglieranno di restare attivi potrebbero essere un numero rilevante. Tanto che nel governo circolano alcune stime di risparmio rispetto ai 6,7 miliardi stanziati per il primo anno per «Quota 100». Alla riforma della legge Fornero, secondo questi calcoli, potrebbero bastare nel 2019 circa 5 miliardi di euro. Un minor esborso che permetterebbe di coprire anche per il 2020 tutti coloro intenzionati ad uscire dal lavoro anticipando la pensione.
IL SOLE 24 ORE e IL MESSAGGERO