La risorsa umana che opera in un’azienda sanitaria è una risorsa preziosissima che va amministrata, gestita e sviluppata con grande cura e attenzione. Queste considerazioni sono tanto scontate che appare ancor più irrazionale e “perdente” politicamente il perdurante blocco del turn over e, in generale, delle risorse finanziarie destinate al personale.
di Stefano Simonetti. Un problema che da molti anni pesa sulla Sanità pubblica è certamente quello della consistenza del Fondo sanitario nazionale o, in termini tecnici, del “livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato”. In questo contesto occorre ricordare che il costo del personale del Ssn si aggira intorno al 37-38% del fondo e, di conseguenza, dei bilanci aziendali. La percentuale è del tutto coerente con il fatto che le aziende sanitarie sono aziende labour intensive cioè organizzazioni ad alta intensità di lavoro che si fondano principalmente sulle risorse umane e sulla qualità professionale delle donne e degli uomini che vi lavorano.
Inoltre le aziende sanitarie nello scenario del pubblico impiego risultano quelle con la maggiore scolarizzazione del personale (134.000 dirigenti e quasi 400.000 quadri) che, unita ad una complessità professionale unica (tre aree negoziali con 16 profili dirigenziali e una trentina nel comparto), fa ritenere il Servizio sanitario nazionale la punta avanzata del comparto pubblico.
Blocco del turn over scelta perdente
Sono queste tutte buone ragioni per ritenere che la risorsa umana che opera in un’azienda sanitaria sia una risorsa preziosissima che va amministrata, gestita e sviluppata con grande cura e attenzione. Queste considerazioni sono tanto scontate che appare ancor più irrazionale e “perdente” politicamente il perdurante blocco del turn over e, in generale, delle risorse finanziarie destinate al personale. Negli ultimi anni ad aggravare ulteriormente la problematica è giunta la legge 161/2014 che ha ripristinato le rigorose norme europee in tema di orario di lavoro e riposi rendendo a volte insostenibili i carichi di lavoro.
È notizia recente che il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha annunciato di essersi già consultato con l’avvocatura regionale in merito alla possibilità di fare ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge nazionale che, imponendo vincoli finanziari sul personale, mette la Regione Toscana – come peraltro si immagina anche le altre Regioni – in notevoli difficoltà operative che sono maggiori nelle realtà in cui è maggiormente presente la sanità pubblica rispetto a quella privata accreditata non colpita dal taglio.
Il possibile ricorso alla Consulta
Vediamo precisamente di cosa si tratta. La disposizione legislativa risale all’epoca dei pesanti tagli lineari sul pubblico impiego iniziati nel nei primi anni duemila e proseguiti per lungo tempo e, sostanzialmente, ancora non terminati. Il primo intervento fu l’art. 1, comma 198 della legge 266/2005 che imponeva a regioni, enti locali e al Ssn di non superare per il personale “per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento”. Ma la norma in questione è stata inasprita – e limitata al solo servizio sanitario – con l’art. 2, comma 71 della legge 191/2009 (legge finanziaria per il 2010) che prevede che “le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’imposta regionale sulle attività produttive, non superino per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento”.
Riguardo alla base di computo la disposizione prosegue precisando che sono fatte salve le “spese derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro intervenuti successivamente all’anno 2004”. Le fattispecie lavorative colpite comprendono anche il “personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni”. Il Governo che nel dicembre 2009 impose l’aumento del taglio era il Berlusconi 3 con Ferruccio Fazio neo Ministro della Salute e Renato Brunetta alla Funzione pubblica. Successivamente la norma venne reiterata per tre volte – in pratica da tutti i Governi – e quei vincoli finanziari si applicano attualmente “anche in ciascuno degli anni dal 2013 al 2020”. Da ultima, la legge di bilancio per il 2018 ha attenuato la rigorosità prevedendo in alternativa al totale conseguimento dell’obiettivo “una variazione dello 0,1 per cento annuo”. Il mancato rispetto del vincolo impedisce l’accesso al premio finanziario spettante alle Regioni adempienti in sede di riparto definitivo del fondo sanitario e per una Regione che è tra le migliori per l’erogazione dei Lea perdere decine di milioni può davvero essere una beffa.
La tutela della salute a rischio
Si può immaginare che gli aspetti di illegittimità costituzionale ipotizzati dal Presidente della Toscana riguardino l’art. 32 e l’art. 97 della Costituzione nel presupposto che un continuo ed esasperante taglio ai costi del personale possa mettere a repentaglio lo stesso diritto alla tutela della salute nonché il buon andamento della pubblica amministrazione.
Anche in relazione all’art. 117 potrebbero sussistere profili di incostituzionalità in quanto la tutela della salute è materia di legislazione concorrente ai sensi del comma 3 e la norma in questione di fatto esclude le regioni dalla definizione legislativa e impedisce la realizzazione della tutela. È pur vero che lo stesso art. 117 al comma 2 stabilisce che il coordinamento della finanza pubblica rientra nella legislazione esclusiva dello Stato ma è altrettanto vero che se una norma di matrice finanziaria nata in un momento congiunturale continua a produrre i suoi effetti per 10 anni si potrebbe dubitare della sua conformità al principio della ragionevolezza che notoriamente è un corollario del principio di uguaglianza, elaborato dalla Corte Costituzionale, che impone che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore.
Detto questo in tema di possibile incostituzionalità del comma 71, va in ogni caso segnalato che la norma di cui si discute è criticabile sul piano sostanziale in almeno due aspetti.
Innanzitutto, per ciò che concerne lo scenario su cui applicare il vincolo, nell’elencazione delle fattispecie di attività lavorative si nota l’assenza dei contratti d’opera e tale circostanza ha sicuramente contribuito all’aumento del ricorso da parte delle aziende sanitarie a tale forma contrattuale che costituisce la peggiore manifestazione del cosiddetto lavoro atipico e viene quasi costantemente utilizzata in modo improprio. Ma ancor più significativa è l’esenzione dalla comparazione delle spese per il personale rispetto al 2004.
L’esclusione delle spese per i rinnovi contrattuali , ma non solo
Se il legislatore ha escluso dal computo le spese derivanti dal rinnovo dei Ccnl, la ratio è sicuramente stata quella di esimere le aziende da costi rispetto ai quali le stesse non detengono alcuna possibilità di intervento o leva gestionale: in altre parole, gli oneri per i rinnovi sono ritenuti una variabile esterna non governabile dalle aziende. Ebbene, con la medesima logica esistono altri costi che non devono poter entrare nel raffronto con il 2004.
Per primo il costo sostenuto per la indennità di vacanza contrattuale sulla quale, tuttavia, si spera che nessuno dubiti della sua assimilazione ai rinnovi contrattuali. In piena coerenza con l’estraneità aziendale sopra ricordata, dovrebbero poi essere esclusi gli oneri derivanti dall’indennità di esclusività sopravvenuti dopo il 2004. Mi riferisco alla maturazione della fascia dei 5 e 15 anni ma anche al costo emergente per i dirigenti sanitari che, di anno in anno, hanno optato per il rapporto esclusivo. Ambedue le situazioni discendono da specifiche clausole contrattuali che la singola azienda non può in alcun modo gestire o eludere, per cui concettualmente possono essere ritenute una variabile esterna come i rinnovi in senso stretto.
Stesse considerazioni vanno fatte per la cosiddetta “equiparazione” al compimento del quinto anno di servizio. Proseguendo, non dovrebbero essere incluse le spese per il personale appartenente a categorie protette per ottemperare alla quota d’obbligo prescritta dalla legge; addirittura lo stesso Mef le escludeva nella Circolare n. 9 del 17.2.2006. Alla stessa stregua, appare ragionevole escludere le sostituzioni di personale femminile in maternità quando l’assunzione del supplente sia indispensabile per la continuità assistenziale, con particolare riferimento ai turnisti. Il motivo risiede – anche in questo caso – nella obbligatorietà di un costo ultroneo che, tra l’altro, è riferito ad un diritto costituzionalmente garantito; anni fa l’Anci elaborò un documento in cui dava agli enti locali indicazioni in tal senso. Ma non è finita, perché in questi 13 anni sono intervenute varie stabilizzazioni che hanno generato costi che non esistevano nel 2004 (art. 8, comma 1-bis d.lgs. 502/1992, art. 4, comma 10 della legge 125/2013, art. 20 comma 1 del d.lgs. 75/2017). Va detto che nessuna delle sanatorie ricordate era obbligatoria ma è di tutta evidenza che una azienda sanitaria non poteva certo esimersi dalla procedura qualora la Regione di riferimento avesse adottato una Dgr sulla materia rendendo di fatto obbligatoria la stabilizzazione.
Infine il più volte citato comma 71 fa riferimento al personale “esistente” a libro paga nel 2004 ma da quell’anno sono avvenuti alcuni mutamenti istituzionali che non possono restare irrazionalmente a carico dell’azienda: per tutti, basti ricordare il trasferimento alle Asl della medicina penitenziaria. A tale proposito, l’esclusione di questa fattispecie dal raffronto è tanto corretta che quando con la legge di stabilità 2016 vennero trasferiti alle aziende sanitarie tutti gli autisti soccorritori ex Cri – 250 nella sola Lombardia – il legislatore ritenne di precisare che “le spese per il trattamento economico del personale trasferito al Servizio sanitario nazionale non sono considerate ai fini del rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.” (art. 1, comma 397 della legge 208/2015). Perché questo principio non dovrebbe valere anche per altri passaggi imposti dalla legge ?
Il Sole 24 Ore sanità – 9 marzo 2018