Sono bastati pochi giorni di campagna elettorale, l’applicazione di qualche analista terzo e competente, un po’ di buon senso comune per smascherare millanterie e millantatori nei programmi dei partiti. Solo misure generiche, astratte, mirabolanti, prive di sostenibilità finanziaria,in un desolante vuoto di politica e di politiche. Ora, smessa l’enfasi iniziale delle promesse, emergono trucchetti, piccole astuzie e infortuni: a rivelare aspetti inediti della pochezza di questa sfida di potere.
Alcuni esempi, presi in una moltitudine: viene smentita, come inventata dagli avversari, l’idea di sostituire il direttore di un museo per un’iniziativa in termini di politica degli ingressi. L’iniziativa, frutto di una autonomia amministrativa che la politica non ha alcun titolo di censurare, viene comunque insolentita, e sorge il dubbio che venga rinnegata in quanto impraticabile a norma di legge. Non sono però solo i “Fratelli d’Italia” a vedere l’amministrazione come un’appendice obbediente della politica, purtroppo. E se l’eterno problema della burocrazia fosse in realtà un problema della politica, dopo decenni di riforme inefficaci?
Il capo supremo della coalizione di centrodestra – il più rassicurante per i suoi legami europei e, a giorni alterni, per le sue posizioni moderate – opera una classifica tra i due mostri assoluti del ventesimo secolo, comunismo e nazifascismo, quasi a indicarne uno come peggiore all’altro. Opinione cinica in sè, di più se utilizzata in campagna elettorale per strizzare l’occhio ad una minoranza incostituzionale, marginale ma eccitata e turbolenta.
Ancora, il più scalpitante della coalizione si misura con il tasso di costituzionalità di una religione, immaginandone forse la possibilità di scioglimento, o di riduzione in clandestinità. Questo da un lato. Dall’altro lato, si vaneggia di una presunta consuetudine – quasi fosse una finezza istituzionale -, consistente nel candidare un proprio esponente di rilievo nella provincia della maggiore minoranza linguistica. Per giustificare le proprie scelte. Chiamando in causa un precedente, fantasioso nelle motivazioni, quello di un deputato poi divenuto nientemeno che capo dello Stato. Di apprezzabile, l’accortezza di non collegare i due eventi.
Il movimento Cinque stelle, osservato speciale non solo in Italia, elabora in fretta e furia un corposo, camaleontico progetto di governo. Poi si esercita nella cooptazione di figure estranee al movimento. Ma finisce per cadere sulla propria specialità, la “purezza” dei propri eletti, scoprendo che non tutti sono animati da spirito francescano nell’impiego di risorse proprie. La lingua batte dove il dente duole, il sogno del movimento, quello di una categoria di eletti a titolo gratuito. In pratica, un inconsapevole tuffo nel passato, quello di una politica per soli ricchi. Di nuovo ed originale,la preferenza per inesperienza e incompetenza. Su questo tema, irrilevante per il paese, ma addirittura autolesionistico per chi anela una politica che si riappropri della fiducia degli elettori in ragione di competenza, passione, coerenza, si consumano durissimi, quanto avvilenti, scambi di accuse tra partiti. E, nemesi delle liste bloccate, il movimento subirà l’elezione e la permanenza nelle camere di parlamentari già espulsi.
Sono alcuni esempi, tra tante, piccole scoperte quotidiane: e non coinvolgono in uguale misura tutti i partiti. I cui giochi, grazie al ripristino di una corretta lettura del testo della costituzione, perderanno forza all’indomani del voto. Quando la regia dei tentativi di formare un governo passerà nelle mani del capo dello Stato, che non si accontenterà di promesse, di parole, e nemmeno di alleanze sbandierate e smentite un attimo dopo. Il tempo della spensieratezza e dell’irresponsabilità per la politica ha una scadenza precisa, quella del 5 marzo prossimo venturo.
Montesquieu Il Sole 24 Ore – 15 febbraio 2018