Con la legge di bilancio 2018 aumentano le possibilità di pensionamento flessibile basato sulle risorse private, tramite l’ampliamento del raggio d’azione della Rita (la rendita integrativa temporanea anticipata) e dell’isopensione, strumento di gestione degli esuberi aziendali introdotto nel 2012 dalla legge Fornero. E ancora, corposo restyling per l’Ape sociale, l’assegno ponte verso la pensione a carico dello Stato: dall’anno prossimo vi potrà potenzialmente accedere un numero più ampio di persone dato che sono stati modificati i requisiti finora necessari. Sono numerose le novità sul fronte previdenziale che ha introdotto la manovra approvata in via definitiva sabato scorso con un rapido passaggio al Senato. Nei passaggi parlamentari il “conto” per la legge è lievitato di 1,4 miliardi di euro lordi. Intanto l’Inps ha aggiornato i valori delle pensioni e degli imponibili per l’anno 2018 dopo due anni di “non rinnovo”, applicando una rivalutazione pari all’1,10%. Da rilevare infine che l’anno prossimo i pagamenti delle pensioni saranno effettuati il primo giorno bancabile di ciascun mese, con la sola eccezione di gennaio.
Con la legge di bilancio 2018 crescono le possibilità di pensionamento flessibile basato sulle risorse private, tramite l’ampliamento del campo d’azione della Rita (la rendita integrativa temporanea anticipata) e dell’isopensione, cioè lo strumento di gestione degli esuberi aziendali introdotto nell’estate del 2012 dalla riforma del mercato del lavoro (legge Fornero, n.92/2012).
Per quanto riguarda le prestazioni anticipate erogabili dal secondo pilastro previdenziale si tratta del terzo intervento in pochi mesi. La Rita è stata istituita in via provvisoria dalla legge 232/2016 per il periodo 1° maggio 2017-31 dicembre 2018. Tuttavia, la legge sulla concorrenza, entrata in vigore il 29 agosto di quest’anno, ha effettuato un ritocco sostanziale delle regole di accesso ai montanti accumulati nella previdenza integrativa, anticipando in sostanza quanto ora diventa possibile con la legge di bilancio 2018.
Dall’anno prossimo, e a titolo definitivo, l’importo accumulato in una forma pensionistica complementare (escluse quelle a prestazione definita) potrà essere convertito in una rendita da incassare in attesa di arrivare alla pensione. Per attivare questa opzione è necessario che si smetta di lavorare, che non manchino più di cinque anni alla pensione di vecchiaia e si siano versati almeno 20 anni di contributi. Il periodo di anticipo può arrivare a dieci anni se l’iscritto alla previdenza complementare risulta inoccupato per oltre 24 mesi.
La Rita nella versione attuale avrebbe dovuto debuttare il 1° maggio di quest’anno, ma nei fatti ha subito i ritardi dell’Ape volontario. Infatti il comma 188 della legge 232/2016 con cui è stata introdotta la rendita anticipata prevede che il richiedente debba essere in possesso della certificazione dei requisiti richiesta per l’Ape volontario (almeno 63 anni di età, non oltre 43 mesi di distanza dalla pensione di vecchiaia e 20 anni di contributi). Peccato però che quest’ultimo strumento non sia ancora diventato realtà.
Nella legge di bilancio 2018 viene eliminato il riferimento alla certificazione, sia per quanto riguarda la distanza massima di cinque anni dalla pensione di vecchiaia che per i 20 anni di contributi versati nella relativa forma di previdenza obbligatoria. Dunque le forme di previdenza complementare dovrebbero poter decidere in autonomia come verificare il possesso di tali requisiti e tramite quale documentazione (soprattutto i 20 anni di contribuzione, dato che per l’età anagrafica è tutto molto più semplice, seppur si debba tener conto dell’adeguamento biennale dei requisiti alla speranza di vita).
Il montante accumulato potrà essere convertito in tutto o in parte in rendita anticipata. Ovviamente questa opzione potrà essere utilizzata solo da chi, anche tra i dipendenti pubblici, ha scelto di contribuire alla previdenza complementare (attualmente le posizioni attive sono oltre 8,1 milioni ma al lordo di quelle doppie in capo alle persone che hanno attivato più di una pensione integrativa) e, tra questi, da chi ha accumulato un montante tale da ricevere un anticipo che gli consenta di vivere secondo le sue aspettative e al contempo maturi una pensione futura, senza quella integrativa, altrettanto sufficiente. Le possibilità di utilizzo, invece, aumentano guardando al futuro, dato che, a fronte di questa possibilità e dell’allontanamento progressivo della pensione di primo pilastro, diventerà sempre più utile investire in quella complementare.
Potenziata, ma in questo caso solo per il triennio 2018-2020, la cosiddetta isopensione, che esiste dal 2012. Si tratta di uno strumento di gestione degli esuberi accessibile dalle imprese con in media più di 15 dipendenti. A fronte di un accordo tra datore di lavoro e sindacati, il personale prossimo alla pensione di vecchiaia o di anzianità smette di lavorare e percepisce un assegno pari alla pensione fino alla maturazione della stessa. Il tutto è finanziariamente a carico dell’azienda, che deve anche versare all’Inps la relativa contribuzione per gli anni di isopensione.
Attualmente la durata massima di questo scivolo verso il pensionamento è di quattro anni, ma diventerà di sette nel prossimo triennio. A causa dei costi elevati per i datori di lavoro, l’isopensione è stata utilizzata poco e soprattutto da aziende di grandi dimensioni.
Assegni rivalutati dopo due anni di blocco
L’anno prossimo i pagamenti delle pensioni saranno effettuati il primo giorno bancabile di ciascun mese, eccetto gennaio. Infatti la legge di bilancio 2018 ha reso definitivo il calendario già adottato in via provvisoria dal 2015.
Spira dopo sei anni il contributo di solidarietà, introdotto dalla riforma di fine 2011, sui trattamenti pensionistici superiori a 2.509,45 euro lordi mensili, erogati dal Fondo elettrici, volo, autoferrotranvieri, telefonici ed ex Inpdai.
Per effetto delle novità introdotte lo scorso anno, le pensioni erogate ai superstiti orfani, concorrono a formare il reddito solo per la parte eccedente i mille euro.