di Marco Galluzzo. «Per me sei il più bravo sulla piazza, ma non posso prenderti». Ad uno dei più apprezzati funzionari italiani a Bruxelles è capitato di sentirsi dire così, dal Commissario di turno francese. Da decenni infatti è prassi consolidata che i due commissari di Berlino e Parigi nel governo europeo abbiano come primo membro «straniero» del loro staff un alto dirigente dell’altro Paese fondatore. Una regola non scritta, ma ferrea.
Non va meglio per i diplomatici italiani della Rappresentanza presso la Ue, e qui la doglianza è diversa: «Siamo la metà degli altri. Loro alle 18 chiudono l’ufficio e vanno a fare l’aperitivo, noi finiamo di lavorare alle dieci di sera». Se guardiamo ai numeri non è un pianto greco: i tedeschi sono 200, i francesi 180, noi 120.
Cercare di dare numeri e volti alla nostra debolezza a Bruxelles significa entrare nei meccanismi di un motore a trazione franco-tedesca. Racconta Sylvie Goulard, per otto anni eurodeputata, per 30 giorni ministro di Macron, artefice della campagna elettorale europea del capo dell’Eliseo: «Oggi ci sono almeno 20 funzionari tedeschi che lavorano fra Matignon e altri ministeri francesi, altrettanti sono i nostri che lavorano a Berlino. Io stessa, anni fa, facevo parte dallo staff del ministro Fischer, pianificazione politica. La cosa è nata con Kohl e Mitterand e le assicuro che è solo un condizione necessaria, ma non sufficiente, per far funzionare la Ue. Nessun accordo è facile, e siamo due Stati totalmente diversi, ma spesso si anticipa una linea, si avvicinano due posizioni».
Non è stato sempre così: oggi la Spagna supera la Francia nelle posizioni considerate di vertice dentro la Ue, e Madrid ha anche 250 persone nella sua ambasciata presso la Ue. Ma Madrid viene dopo Parigi, e Berlino prima delle due, nella definizione delle politiche cruciali. «Sono le cellule franco-tedesche, a tutti i livelli delle amministrazioni comunitarie. E l’Italia è perfettamente al corrente che quando tratta con uno sta trattando anche con l’altro, in qualche modo», è la sintesi del nostro viceministro agli Esteri, Mario Giro.
Ma è anche un problema di organizzazione. A Parigi, a Matignon, negli uffici del primo ministro, c’è un onnipotente Segretariato generale per gli affari europei che si interfaccia con tutte le amministrazioni comunitarie. Noi abbiamo la direzione Ue alla Farnesina, l’ufficio europeo a Chigi, il sottosegretario, l’ufficio del consigliere diplomatico. Lo dicono, e se ne lamentano, alla stessa Farnesina.
È un nodo anche la lingua. Il primo ministro francese, Edouard Philippe parla non a caso un ottimo tedesco, noi abbiamo faticato a trovare un ambasciatore che parlasse tedesco e che volesse andare a Berlino. E ci stupiamo quando il nostro premier parla l’inglese con l’accento giusto. Loro sono arrivati al diciannovesimo Consiglio dei ministri congiunto, altra prassi consolidata. Il ministro Carlo Calenda, che per qualche mese ha anche diretto l’ambasciata a Bruxelles, la mette in questo modo: «Non c’entra nulla la politica, Hollande e la Merkel non si prendevano, ma le loro élite burocratiche prescindono da chi guida lo Stato. Sono quasi fuse, c’è un sodalizio operativo che va avanti da decenni…».
Il lunedì mattina i capi di gabinetto, e i loro vice, preparano la riunione del mercoledì dei Commissari, il governo della Ue: è successo che i tedeschi fossero quasi la metà dei presenti. Del resto basta guardare le cariche attuali nei primi posti chiave, e appare un’altra sfumatura. È anche un motore della Ue interamente tedesco, dove i francesi fanno funzionare gli ingranaggi: oggi i tedeschi sono alla guida della Bei, la Banca europea degli investimenti, di Eurostat, del Fsb, il Financial stability board, dell’Esm, il potente Fondo Salva Stati, della Corte dei conti europea, della Banca sociale del Consiglio d’Europa, del gabinetto di Juncker.
Secondo il più influente istituto di ricerca europea, il Bruegel, la Francia nel 2009 aveva il massimo numero dei posti chiave nelle amministrazioni Ue. Sette anni dopo ha perso il primato a favore dei tedeschi. Quasi un’alternanza. Dai meccanismi del motore alla direzione della macchina il passo è breve: ma questa è un’altra storia.
Il Corriere della Sera – 28 novembre 2017