Nell’incontro di ieri con i sindacati il Governo ha proposto un adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita su base media biennale invece che con cadenza triennale. L’obiettivo è rendere più soft il meccanismo automatico per il calcolo dell’età per la pensione. Il nuovo sistema dovrebbe scattare dal 2021 senza modificare l’innalzamento a 67 anni nel 2019.
Un adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita calcolato su una base media biennale invece che con cadenza triennale. Con l’obiettivo di rendere il meccanismo automatico più soft e con la possibilità, al contrario di quanto accade oggi, di tenere conto anche di eventuali abbassamenti dei requisiti per effetto della speranza di vita da “scalare” però in forma posticipata dal calcolo effettuato nel biennio successivo. È quello che dovrebbe scattare dal 2021 (senza ricadute sull’innalzamento dell’asticella anagrafica del pensionamento a 67 anni nel 2019) per effetto della proposta presentata ieri dal Governo nel nuovo round con i sindacati. Che sarà seguito lunedì pomeriggio da un’ultima riunione tecnica per affinare le proposte sul tavolo e nel pomeriggio della stessa giornata dall’incontro decisivo tra il premier Paolo Gentiloni e i leader di Cgil, Cisl e Uil per verificare in via definitiva gli spazi per un’intesa da trasformare poi in correttivi alla legge di bilancio all’esame del Parlamento.
I tecnici dell’esecutivo hanno prospettato anche la possibilità di ripescare la misura sulla detassazione della previdenza complementare dei dipendenti pubblici. Un intervento che era stato già ipotizzato al tavolo sulla “fase 2” della previdenza al ministero del Lavoro ma poi non era stata inserito nella versione finale del disegno di legge di Bilancio (pur essendo comparsa in più bozze della manovra).
Ieri sul tema della previdenza è intervenuto anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: «La nostra priorità a mio avviso non è quella di affrontare il nodo pensioni, il che non significa che non lo condividiamo ma dei giovani nel nostro Paese si parla poco e si fa poco».
Per i sindacati l’accordo con il Governo è tutt’altro che scontato. Cgil, Cisl e Uil puntano su nuove misure per tutelare i giovani e le donne, ribadiscono la richiesta di prorogare la sperimentazione dell’Ape social. E, soprattutto, insistono su un ampliamento della platea dei lavori gravosi da esentare dall’aumento dell’età pensionabile a 67 anni nel 2019.
Il Governo ieri non ha presentato alcuna integrazione della proposta formulata martedì che prevede l’esclusione dal meccanismo automatico di 15 categorie di lavori: le 11 dell’Ape social più braccianti, siderurgici, marittimi e pescatori. In totale 15-17mila lavoratori tenendo conto anche di due requisiti: il possesso di 36 anni di contributi e dello svolgimento di mansioni faticose in almeno 6 anni degli ultimi 7 anni d’impiego. Qualche apertura potrebbe arrivare lunedì dal Governo. Per Gigi Petteni (Cisl) questa proposta «non va bene. Un’intesa è possibile se veniamo ascoltati». A chiedere «un intervento sulla platea più ampio» è Domenico Proietti (Uil), che sottolinea: «Abbiamo verificato che restano distanze». Anche per Roberto Ghiselli (Cgil) «il pacchetto è limitato, non basta».
Il giudizio dei sindacati sul nuovo meccanismo per adeguare l’età pensionabile all’aspettativa di vita non è comunque negativo. Le regole ora in vigore prevedono che il calcolo della “soglia” avvenga sulla base della differenza della speranza di vita tra l’ultimo anno del periodo considerato e quello di partenza. Dal confronto tra i dati del 2016 con quelli del 2013 è scaturito l’aumento di 5 mesi dell’aspettativa di vita con il risultato di far salire a 67 anni l’età pensionabile nel 2019. Con la “rivisitazione” del meccanismo proposta dal Governo, dal 2021 la speranza di vita verrebbe calcolata confrontando la media del biennio 2018-2019 con quella del biennio precedente. L’eventuale aumento della soglia pensionabile scatterebbe nel 2021. Nell’eventualità in cui dai dati emergesse la necessità di abbassare l’età pensionabile, la riduzione non scatterebbe automaticamente nel 2021 ma verrebbe “scontata” nel biennio successivo (2023-2024): a quel punto “l’asticella” resterebbe ferma (non verrebbe abbassata ma neanche salirebbe). Ma in questo caso i sindacati chiedono un abbassamento immediato della soglia pensionabile. (Davide Colombo e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 10 novembre 2017)
PENSIONI, NUOVO CALCOLO FLESSIBILE SULL’ETÀ
La trattativa/Palazzo Chigi propone un meccanismo che elimina l’adeguamento solo al rialzo
L’età per la pensione di vecchiaia sarà calcolata in modo diverso. Si allungherà, come oggi, se la speranza di vita aumenta. Ma potrà anche diminuire, in presenza di picchi di mortalità. Non solo. Il meccanismo di calcolo sarà biennale e basato sulla media aritmetica, così da evitare distorsioni matematiche.
Le nuove procedure si applicheranno dal 2019, con effetti sul primo biennio utile, dal 2021 in poi. Troppo lontano per i sindacati che contavano di smontare già il prossimo scalino. E invece niente. Nel 2019 si andrà in pensione a 67 anni, cinque mesi in più di oggi.
L’esito del tavolo tecnico sulle pensioni rimane dunque in sospeso. «Restano distanze», dicono Cgil, Cisl e Uil. Ma il pacchetto offerto dal governo è ormai completo. E lunedì si chiude. Se arriverà la firma di tutti, nella Sala Verde di Palazzo Chigi con il premier Gentiloni, i sindacati potranno rivendicare di aver escluso dall’automatismo 15 categorie di lavori “gravosi”, tra 17 e 20 mila persone. Numero che può crescere, quando nel 2018 la commissione Inps-Inail-Istat elaborerà le nuove tabelle sull’aspettativa di vita distinta per mestieri. Potranno poi raccontare di aver convinto il governo a modificare il meccanismo di calcolo dell’età per tutti. E a equiparare statali e privati quanto a tasse pagate sulla previdenza complementare, portando i primi al 15% dal 23% di oggi.
«Non c’è niente però sulla pensione di giovani e donne», nota Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil. «E anche l’esenzione delle 15 categorie è ancora insufficiente». Si tratta degli 11 lavori che oggi consentono l’accesso all’Ape sociale, dagli infermieri agli operai edili. Ai quali si aggiungono siderurgici, marittimi, operai agricoli e pescatori. Cosa c’è che non va? «La platea è molto più ampia», ragiona Ghiselli. «Basta pensare che la differenza nella speranza di vita tra un laureato e uno che ha solo la terza media è di un anno e 7 mesi. E di solito chi ha un titolo di studio basso fa mestieri manuali».
Tra l’altro, nodo ancora aperto, si discute sui requisiti che i lavoratori delle 15 categorie debbono possedere per essere esentati. Il governo propone 30 anni di contributi e aver svolto l’attività gravosa per almeno 7 degli ultimi 10 anni. Per evitare cioè di “premiare” chi ha fatto lavori pesanti, ma per poco tempo. L’altro punto di frizione è nel metodo di calcolo. Se l’aspettativa decresce, per l’alta mortalità, l’età per andare in pensione non si accorcia subito, ma dopo due bienni con una sorta di “conguaglio”. Infine la questione della pensione anticipata, quella che un tempo si chiamava di “anzianità”. L’aumento nella speranza di vita non fa crescere solo l’età di uscita. Ma anche i contributi per andare in anticipata: da 42 anni e 10 mesi si passa a 43 e 3 mesi nel 2019 (per gli uomini). Fermare anche questo requisito? «Impossibile », per il governo.
Di risorse e coperture si parlerà lunedì. Ma senza firma, si entra in un terreno sconosciuto. Quello del rinvio a giugno di ogni decisione. A rischio caos, dopo elezioni politiche dall’esito mai così incerto. (Repubblica – 10 novembre 2017)
10 novembre 2017