Cinque mesi in più per andare in pensione. Ieri Istat ha confermato il dato che da settimane incombeva sul confronto governo-sindacati in materia previdenziale: la speranza di vita a 65 anni è salita, nel 2016, a 20 anni e 7 mesi, cinque mesi in più, appunto, rispetto alla stima del 2013. Un incremento analogo vale anche nel confronto rispetto al 2015, anno in cui s’era registrato un andamento anomalo della mortalità sia nei primi mesi dell’anno sia in quelli estivi, picchi che i 32mila decessi in meno (-5%) del 2016 hanno cancellato riportando questo indicatore demografico sulle medie del 2013 e 2014.
In base alla nuova speranza di vita seguirà a questo punto, per via amministrativa, l’adeguamento dei diversi requisiti di pensionamento che, dal gennaio 2019, portano la vecchiaia a 67 anni (dai 66 anni e 7 mesi validi ancora per tutto l’anno prossimo) /sia per gli uomini sia per le donne, mentre i contributi necessari per l’uscita anticipata arriveranno a 42 anni e tre mesi (43 anni e tre mesi per gli uomini). L’adeguamento riguarda anche gli altri canali di uscita o prestazioni previdenziali ed arriverà con un decreto direttoriale Economia-Lavoro da adottare a breve, un atto cui farà seguito anche l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione con cui verranno calcolate le nuove pensioni future. Il calo previsto per questi parametri sarà attorno al 2% e servirà per garantire l’equivalenza attuariale tra gli assegni liquidati prima e dopo la correzione dei requisiti. Le nuove pensioni future saranno un po’ più pesanti, in pratica, solo per quei lavoratori che avranno continuato a versare contributi pieni anche nei 5 mesi aggiuntivi di lavoro.
Lo stabilizzatore automatico della spesa previdenziale è scattato già due volte in passato: nel 2013, quando l’età di pensionamento venne elevata di 3 mesi, e nel 2016, quando è salita di 4 mesi arrivando a 66 anni e 7 mesi per gli uomini (65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato). L’impatto maggiore del futuro adeguamento del 2019 peserà proprio sulle lavoratrici private, che nel 2018 vedranno già un aumento di un anno secco del requisito di pensionamento con il previsto allineamento alla vecchiaia degli uomini a 66 anni e 7 mesi. Per le donne, rispetto al 2010, l’aumento dell’età di vecchiaia è di 7 anni.
Con la diffusione dei nuovi indicatori di mortalità dell’Istat si sono scatenate le reazioni politiche e sindacali, mentre dal governo sono arrivati segnali di apertura a possibili correttivi, dopo che il presidente del Consiglio, nel giorno del varo della legge di Bilancio, aveva confermato che la legge verrà rispettata fino in fondo. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha spiegato che «i tempi per il Parlamento o per le forze politiche che vogliono intervenire ci sono» visto che c’è un anno di tempo abbondante prima dello scatto dei nuovi limiti di età e contribuzione.
Cgil, Cisl e Uil ieri hanno espresso dubbi sull’esattezza delle stime Istat e in una nota unitaria hanno ribadito che «non tutti i lavoratori sono uguali». Serve «il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita e l’avvio del confronto per una modifica dell’attuale meccanismo per superare e differenziare le attuali forme di adeguamento, tenendo conto anche delle diversità nelle speranze di vita e nella gravosità dei lavori». In Parlamento è vasta l’area in cui si inseriscono voci contrarie al nuovo innalzamento automatico: ci sono i due ex ministri del Lavoro, Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (EI) mentre dall’opposizione il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha lanciato un avvertimento secco al Governo: «cancelleremo questa infamia». Vale ricordare che secondo i tecnici del Governo bloccare il livello attuale di 66 anni e 7 mesi per la vecchiaia e a 42 anni e 10 mesi per l’anticipo (41 e 10 mesi per le donne) fino al 2021 potrebbe innescare una maggiore spesa previdenziale fino a 5 miliardi cumulati tra il 2019 e il 2020. «Bloccare l’adeguamento dell’età dal 2021 in poi costerebbe fino a 140 miliardi fino al 2040: sono costi insostenibili» ha aggiunto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, intervistato dal Tg1.
Lo stabilizzatore automatico della spesa previdenziale è scattato già due volte in passato: nel 2013, quando l’età di pensionamento venne elevata di 3 mesi, e nel 2016, quando è salita di 4 mesi arrivando a 66 anni e 7 mesi per gli uomini (65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato). L’impatto maggiore del futuro adeguamento del 2019 peserà proprio sulle lavoratrici private, che nel 2018 vedranno già un aumento di un anno secco del requisito di pensionamento con il previsto allineamento alla vecchiaia degli uomini a 66 anni e 7 mesi. Per le donne, rispetto al 2010, l’aumento dell’età di vecchiaia è di 7 anni.
Con la diffusione dei nuovi indicatori di mortalità dell’Istat si sono scatenate le reazioni politiche e sindacali, mentre dal governo sono arrivati segnali di apertura a possibili correttivi, dopo che il presidente del Consiglio, nel giorno del varo della legge di Bilancio, aveva confermato che la legge verrà rispettata fino in fondo. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha spiegato che «i tempi per il Parlamento o per le forze politiche che vogliono intervenire ci sono» visto che c’è un anno di tempo abbondante prima dello scatto dei nuovi limiti di età e contribuzione.
Cgil, Cisl e Uil ieri hanno espresso dubbi sull’esattezza delle stime Istat e in una nota unitaria hanno ribadito che «non tutti i lavoratori sono uguali». Serve «il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita e l’avvio del confronto per una modifica dell’attuale meccanismo per superare e differenziare le attuali forme di adeguamento, tenendo conto anche delle diversità nelle speranze di vita e nella gravosità dei lavori». In Parlamento è vasta l’area in cui si inseriscono voci contrarie al nuovo innalzamento automatico: ci sono i due ex ministri del Lavoro, Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (EI) mentre dall’opposizione il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha lanciato un avvertimento secco al Governo: «cancelleremo questa infamia». Vale ricordare che secondo i tecnici del Governo bloccare il livello attuale di 66 anni e 7 mesi per la vecchiaia e a 42 anni e 10 mesi per l’anticipo (41 e 10 mesi per le donne) fino al 2021 potrebbe innescare una maggiore spesa previdenziale fino a 5 miliardi cumulati tra il 2019 e il 2020. «Bloccare l’adeguamento dell’età dal 2021 in poi costerebbe fino a 140 miliardi fino al 2040: sono costi insostenibili» ha aggiunto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, intervistato dal Tg1.
Gli effetti. Per i contributivi si arriva alla soglia dei 71 anni. Adeguamento per la pensione anticipata contributiva, i precoci e l’Ape
I cinque mesi in più che dovrebbero essere necessari dal 2019 per accedere alla pensione non riguardano solo il trattamento di vecchiaia, ma praticamente tutte le vie principali di uscita dal mondo del lavoro, tra cui anche l’Ape volontario, che non è ancora operativo.
Vecchiaia e assegno sociale
Per la vecchiaia saranno necessari 67 anni tondi, rispetto ai 66 anni e 7 mesi chiesti oggi agli uomini a prescindere dal settore di impiego e alle donne dipendenti del comparto pubblico. Le dipendenti del settore privato fino alla fine del 2017 possono lasciare l’impiego a 65 anni e 7 mesi, mentre le autonome a 66 anni e 1 mese. Quindi le prime da qui al 2019 subiranno uno scalino di un anno e cinque mesi, passando dal requisito di 66 anni e 7 mesi in vigore dall’anno prossimo. Tenuto conto che ancora nel 2015 andavano in pensione con 63 anni e 9 mesi di età, la penalizzazione è consistente.
Stessa sorte per l’assegno sociale che quest’anno ancora si raggiunge a 65 anni e 7 mesi, dal prossimo sarà parificato al requisito generale per la vecchiaia e dal 2019 richiederà 67 anni.
Pensioni contributive
Anche chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996 ed è soggetto interamente al calcolo contributivo della pensione non sfugge al meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. I pensionati con questo sistema sono ancora pochissimi, dato che servono comunque in via generale 20 anni di contributi (raggiunti quindi nel 2015). Inoltre per la pensione di vecchiaia, oltre a 67 anni, dovranno poter contare su un assegno di importo non inferiore a 1,5 volte quello sociale.
In mancanza di questo secondo requisito (o dei 20 anni di contributi) dovranno attendere 71 anni (invece degli attuali 70 anni e 7 mesi), quando potranno andare in pensione a prescindere dall’importo dell’assegno e con soli 5 anni di contributi. Chi invece avrà un assegno pari almeno a 2,8 volte quello sociale, potrà accedere all’anticipata contributiva a 64 anni (5 mesi in più di oggi ma sempre 3 anni in meno rispetto alla vecchiaia “ordinaria”).
Anticipata
Non sfugge all’adeguamento nemmeno la pensione anticipata, che si può ottenere indipendentemente dall’età ma con un determinato numero di anni di contribuzione che per gli uomini ora è di 42 anni e 10 mesi e diventerà di 43 anni e 3 mesi (un anno in meno per le donne sia ora che in futuro).
Totalizzazione
E poi corsa al rialzo pure per le pensioni in totalizzazione, per i quali sono previsti requisiti più bassi delle pensioni di vecchiaia e anticipata ordinarie, ma a cui vanno aggiunte le finestre mobili rispettivamente lunghe 18 e 21 mesi tra la maturazione del diritto e quando viene pagato il primo assegno.
Ape volontario e sociale
E poi c’è il capitolo Ape volontario. La norma prevede che possa essere chiesta da chi ha almeno 63 anni di età e dista non più di 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia. Oggi sommando 3 anni e 7 mesi a 63 anni si arriva a 66 e 7 mesi e quindi non ci sono problemi. Ma quando verranno ufficializzati i 67 anni, per chiedere l’Ape serviranno 63 anni e 5 mesi di età perché la clausola che prolunga l’anticipo vale solo se l’adeguamento dei requisiti avviene mentre l’Ape stesso e già in corso di erogazione. Quindi, dato che l’Ape volontario (con il cugino aziendale) non sono ancora partiti, ci sono buone probabilità che chi ha meno di 63 anni e 5 mesi sia escluso, perché potrebbe arrivare prima il decreto ministeriale che ufficializza l’adeguamento alla speranza di vita rispetto alla circolare Inps che rende operativo l’anticipo.
Nessun problema, invece, per l’Ape sociale in quanto la norma prevede che sia erogata a chi ha almeno 63 anni di età e fino al raggiungimento della pensione.
Vecchiaia e assegno sociale
Per la vecchiaia saranno necessari 67 anni tondi, rispetto ai 66 anni e 7 mesi chiesti oggi agli uomini a prescindere dal settore di impiego e alle donne dipendenti del comparto pubblico. Le dipendenti del settore privato fino alla fine del 2017 possono lasciare l’impiego a 65 anni e 7 mesi, mentre le autonome a 66 anni e 1 mese. Quindi le prime da qui al 2019 subiranno uno scalino di un anno e cinque mesi, passando dal requisito di 66 anni e 7 mesi in vigore dall’anno prossimo. Tenuto conto che ancora nel 2015 andavano in pensione con 63 anni e 9 mesi di età, la penalizzazione è consistente.
Stessa sorte per l’assegno sociale che quest’anno ancora si raggiunge a 65 anni e 7 mesi, dal prossimo sarà parificato al requisito generale per la vecchiaia e dal 2019 richiederà 67 anni.
Pensioni contributive
Anche chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996 ed è soggetto interamente al calcolo contributivo della pensione non sfugge al meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. I pensionati con questo sistema sono ancora pochissimi, dato che servono comunque in via generale 20 anni di contributi (raggiunti quindi nel 2015). Inoltre per la pensione di vecchiaia, oltre a 67 anni, dovranno poter contare su un assegno di importo non inferiore a 1,5 volte quello sociale.
In mancanza di questo secondo requisito (o dei 20 anni di contributi) dovranno attendere 71 anni (invece degli attuali 70 anni e 7 mesi), quando potranno andare in pensione a prescindere dall’importo dell’assegno e con soli 5 anni di contributi. Chi invece avrà un assegno pari almeno a 2,8 volte quello sociale, potrà accedere all’anticipata contributiva a 64 anni (5 mesi in più di oggi ma sempre 3 anni in meno rispetto alla vecchiaia “ordinaria”).
Anticipata
Non sfugge all’adeguamento nemmeno la pensione anticipata, che si può ottenere indipendentemente dall’età ma con un determinato numero di anni di contribuzione che per gli uomini ora è di 42 anni e 10 mesi e diventerà di 43 anni e 3 mesi (un anno in meno per le donne sia ora che in futuro).
Totalizzazione
E poi corsa al rialzo pure per le pensioni in totalizzazione, per i quali sono previsti requisiti più bassi delle pensioni di vecchiaia e anticipata ordinarie, ma a cui vanno aggiunte le finestre mobili rispettivamente lunghe 18 e 21 mesi tra la maturazione del diritto e quando viene pagato il primo assegno.
Ape volontario e sociale
E poi c’è il capitolo Ape volontario. La norma prevede che possa essere chiesta da chi ha almeno 63 anni di età e dista non più di 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia. Oggi sommando 3 anni e 7 mesi a 63 anni si arriva a 66 e 7 mesi e quindi non ci sono problemi. Ma quando verranno ufficializzati i 67 anni, per chiedere l’Ape serviranno 63 anni e 5 mesi di età perché la clausola che prolunga l’anticipo vale solo se l’adeguamento dei requisiti avviene mentre l’Ape stesso e già in corso di erogazione. Quindi, dato che l’Ape volontario (con il cugino aziendale) non sono ancora partiti, ci sono buone probabilità che chi ha meno di 63 anni e 5 mesi sia escluso, perché potrebbe arrivare prima il decreto ministeriale che ufficializza l’adeguamento alla speranza di vita rispetto alla circolare Inps che rende operativo l’anticipo.
Nessun problema, invece, per l’Ape sociale in quanto la norma prevede che sia erogata a chi ha almeno 63 anni di età e fino al raggiungimento della pensione.