L’operazione, che sarebbe dovuta partire il 1° maggio di quest’anno, probabilmente vedrà i primi assegni erogati solo nel 2018
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, è in vigore da oggi il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 4 settembre di attuazione dell’Ape volontario. Il percorso per rendere finalmente operativo l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica fa così un ulteriore passo avanti, ma non è ancora completato.
Mancano all’appello gli accordi quadro, tra i ministeri dell’Economia e del Lavoro da una parte e Abi e Ania dall’altra, relativi alle caratteristiche del finanziamento con rimborso ventennale e alla polizza caso morte che costituiscono i tasselli finanziari fondamentali dell’anticipo, che nelle sue linee generali è stato definito quasi un anno fa, con la legge di bilancio 2017. Proprio in base al Dpcm, gli accordi dovrebbero essere sottoscritti entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, quindi da oggi, ma dato che tutta l’operazione viaggia con un ritardo di oltre cinque mesi un’accelerazione sarebbe opportuna.
Dopo la sottoscrizione delle intese, dalle quali deriverà anche il costo effettivo dell’Ape a carico dei lavoratori interessati, l’Inps dovrà pubblicare la sua circolare e dare il via libera alla presentazione delle domande di certificazione del diritto di accesso all’anticipo, in primo luogo, e poi per l’Ape vero e proprio. Tenuto conto che l’istituto di previdenza avrà, in base alla norma, 60 giorni di tempo per certificare il diritto, presumibilmente i primi anticipi saranno erogati non prima dell’anno prossimo.
Poiché i contenuti del Dpcm erano già noti, dopo la firma da parte del presidente del Consiglio dei ministri, avvenuta il 4 settembre, ora l’attenzione si sposta sugli accordi quadro. Solo dopo la loro sottoscrizione si potranno avere certezze in merito al costo a carico degli interessati.
L’Ape volontario si basa infatti su un prestito: a fronte di 63 anni di età e almeno 20 anni di contributi, i lavoratori potranno chiedere un assegno ponte che sarà erogato fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia (a 66 anni e 7 mesi l’anno prossimo). Tale importo dovrà essere restituito in un massimo di 20 anni con trattenute mensili sulla pensione, una volta che la stessa viene erogata. A parziale copertura del costo dell’operazione, viene riconosciuto un credito di imposta pari al 50% degli interessi sul finanziamento e sul premio assicurativo contro il rischio di premorienza. Fonti governative vicino al dossier hanno indicato un probabile Taeg del 3,2 per cento, tuttavia solo una volta definito tutto il quadro si potranno avere certezze.
In particolare i potenziali “apisti” potranno, tramite il simulatore messo a disposizione dall’Inps, verificare su quale importo potranno contare nel periodo antecedente la pensione e a quanto ammonterà concretamente la stessa al netto della rata di rimborso, al di là di percentuali che possono risultare di non facile comprensione. Per esempio, sulla base delle informazioni disponibili a oggi, a fronte di una pensione netta “piena” di 2.000 euro netti, chiedendo un anticipo dell’80%, quindi di 1.600 euro per 24 mesi, si incasserà un assegno previdenziale di circa 1.775 euro per 20 anni. Se la pensione “piena” a cui avrebbe diritto il lavoratore fosse di 1.400 euro netti, sempre a fronte di un anticipo dell’80% (cioè 1.120 euro) per 24 mesi, l’assegno sarà di circa 1.240 euro.
Matteo Prioschi – – Il Sole 24 Ore – 18 ottobre 2017