Talvolta basta soltanto cambiare punto di vista. Dove altri zoologi vedevano un problema, lui ha immaginato una soluzione. Stefano Piraino, zoobiologo dell’Università del Salento, è l’uomo che vuol farci mangiare le meduse. Niente di nuovo per la cucina asiatica, ma per chi è abituato a fuggire atterrito quando sulla spiaggia echeggia il grido “Ci sono le meduse!”, l’idea di ritrovarsi quelle temibili masse gelatinose nel piatto è dura da digerire. In tutti i sensi.
Professor Piraino, perché dovremmo mangiare le meduse?
“Perché sono tante e sono una fonte di proteine eccellente. In più sono una risorsa ecosostenibile. Il modo in cui si riproducono è tale per cui pur prelevandone in quantità non si incide su quelle che dovranno nascere”.
Ma come le è venuta l’idea?
“Studio le meduse da circa 30 anni e nell’ultimo periodo, grazie alla collaborazione con la dottoressa Antonella Leone, la ricerca si è concentrata su come estrarne sostanze bioattive. Le meduse nel Mediterraneo ci sono sempre state, ma nell’ultimo periodo per una serie di fattori concomitanti sono aumentate e stanno anche arrivando nuove specie dal Mar Rosso attraverso il Canale di Suez. Sfruttare sia le specie che da sempre popolano il Mediterraneo come la Pelagia noctiluca, sia le nuove arrivate è un’occasione da non perdere”.
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Qual è il passo in più rispetto a quanto da tempo si fa in Asia?
“Intanto usare le meduse tipiche dei nostri ecosistemi, creando una commercializzazione sostenibile, sotto ogni punto di vista. Vogliamo fare uno studio sull’impatto ecologico e fare in modo che i sistemi che elaboreremo saranno nostri, anche in modo da specializzare i pescatori locali e proteggere i nostri mari da uno sfruttamento intensivo e incontrollato”.
Una corsa contro il tempo, insomma, prima che ci arrivino altri. In Asia sanno già come trasformare le meduse per la commercializzazione alimentare, voi cosa aggiungerete?
“Per la disidratazione a fini alimentari usano l’allume, che in dosi consistenti è tossico. Noi stiamo studiando sistemi del tutto in linea con le direttive europee. Proprio per questo attendiamo che dal primo gennaio 2018 la normativa Ue ci dia il via: i nostri studi contribuiscono al dossier sul tavolo di Bruxelles”.
Lei guarda le meduse come un goloso di frutti di mare guarda le ostriche?
“Diciamo che le guardo come organismi di successo, capaci di rimanere pressoché immutati nel corso di 500 milioni di anni. E sì, le vedo anche come fonte proteica eccezionale, contenente quasi tutti gli aminoacidi di cui l’uomo ha bisogno. Non solo, stiamo portando avanti studi per verificare l’azione anticancro di alcune molecole”.
E i tentacoli urticanti?
“Sono il problema minore, una volta immersi in acqua dolce è facile rimuovere le capsule urticanti”.
Ogni volta che si intacca la catena alimentare però si rischia un danno. Se mangeremo noi le meduse le toglieremo ad altri animali?
“Proprio per questo sottolineavo che è necessario fare studi accurati sull’impatto ecologico, prima che arrivino dall’Asia a sfruttare in modo intensivo i nostri mari. Sappiamo che le meduse sono importanti anche per pesci di interesse commerciale come le ricciole, o i merluzzi, che vivono in prossimità delle meduse per proteggersi dai predatori. Ma è un dato di fatto che la proliferazione di meduse nei nostri mari ha già portato problemi, quindi studiamole sempre meglio e vediamo come possiamo sfruttarle”.
La ricerca è costosa. Ci sono già investitori interessati ai vostri studi?
“Sull’utilizzo delle meduse in campo alimentare sono già coinvolti gruppi che possono produrre gelatine. Ci sono poi altri aspetti della biologia delle meduse ai quali è molto interessata l’industria farmaceutica. La ricerca sugli organismi marini, la cosiddetta biotecnologia blu, è la nuova frontiera. Al momento il 90 per cento delle risorse viene dall’ambiente terrestre, è chiaro che è al mare che dobbiamo guardare”.
Republica – 2 ottobre 2017