Gli studi epidemiologici condotti in gruppi di popolazione esposte a sostanze perfluoroalchiliche Pfos e Pfoa principalmente (ad esempio, lo studio C8 in Ohio/Virginia), stanno permettendo di proporre valori guida per l’esposizione umana meno incerti, in quanto non estrapolati dalla sperimentazione animale. Tali valori espressi in ng/kg peso corporeo per giorno, risultano 10–100 volte inferiori a quelli indicati dalla Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, Efsa nel 2008. Gli effetti tossici presi in considerazione alle più basse dosi ora si focalizzano su brevi periodi, quali esposizione nei periodi pre e peri-natali associate a disturbi dello sviluppo e a una ridotta risposta vaccinale. Tali “end-points” tossicologici risultano rafforzati dalle evidenze della sperimentazione animale, che contribuisce a ridurre i fattori di confondimento presenti in uno studio di popolazione.
Nei contesti geografici ad alta contaminazione risulta critico assegnare alle sorgenti di esposizione principali – aria, polvere, acqua potabile, alimenti di origine vegetale ed animale – il relativo contributo da cui derivare i livelli massimi di contaminazione parametrati ai consumi (metricubi di aria inalata, litri di acqua potabile ingerita, grammi di vegetali, patate, cereali, pesce, uova, carne, fegato consumati), per l’estrema persistenza e mobilità dei Pfas tra i comparti ambientali e nel biota. I modelli di tossicocinetica affinati dagli studi epidemiologici e di biomonitoraggio umani permettono di correlare la presenza di Pfas nel siero umano con la quantità ingerita e/o respirata. Su questa base, è possibile verificare se i limiti/livelli di performance ispirati al principio di precauzionalità siano efficaci a ridurre progressivamente i livelli riscontrati nel siero umano specie se associabili con effetti di tossicità.
L’aggiornamento dei valori guida sanitari per l’esposizione umana da parte di Efsa sui Pfas è in calendario per il prossimo novembre 2017 e sarà basato sulle evidenze epidemiologiche per quei composti, quali Pfos e Pfoa per i quali siano disponibili studi consolidati. Per questo è ragionevole aspettarsi valori guida sanitari che non si discosteranno troppo da quelli proposti negli Stati Uniti, da considerare quantomeno in un’ ottica di applicazione del principio di precauzionalità.
L’AUTORITÀ EUROPEA PER LA SICUREZZA ALIMENTARE, EFSA, STA RIVALUTANDO I VALORI GUIDA per l’esposizione umana per differenti sostanze perfluoro-alchiliche e loro precursori- Pfas: il parere è atteso per novembre 2017. Come affermato in diverse sedi scientifiche dai rappresentanti Efsa del panel “Contaminants”, per i composti C8 Pfos e Pfoa le evidenze da studi epidemiologici condotti su gruppi di popolazione esposta permettono oggi di derivare il pertinente valore guida, senza estrapolarlo da dati della sperimentazione animale. Questo permette di non applicare i fattori di incertezza inter ed intra-specifici e di avere a disposizione un valore più solido. I dati da prove di laboratorio sono a supporto della selettività dell’effetto tossico rilevato dall’indagine epidemiologica rispetto ai Pfas considerati, in quanto tali prove risultano standardizzate e quindi meno influenzate dai fattori di confondimento – quali ad esempio quelli dovuti ai differenti stili di vita – presenti negli studi di popolazione. Nel caso che differenti PFAS riconoscano lo stesso bersaglio e la stessa via patogenetica, si può giungere a considerare un valore guida di rilevanza sanitaria cumulativo/associativo, constatando l’esposizione contemporanea a più Pfas. E’ proprio l’evoluzione delle conoscenze sulla tossicità non solo cronica di tali composti, con particolare riferimento al Pfos e Pfoa, che sta determinando una revisione al ribasso dei valori guida tossicologici per l’esposizione umana: considerando gli effetti di tossicità cronica in animali da laboratorio su fegato e metabolismo lipidico Efsa nel 2008 ha estrapolato valori di esposizione alimentare di 150 (Pfos) e 1500 (Pfoa) ng/kg di peso vivo/ giorno nell’uomo.
DALLE EVIDENZE SANITARIE DEL CASO-STUDIO PIÙ NOTO (C8 STUDY) che ha riguardato l’esposizione della popolazione di villaggi circostanti un importante sito di produzione di Pfoa in Virginia/Ohio, nel 2016 l’Agenzia Statunitense per il registro delle sostanze tossiche e delle malattie (Atsdr) ha inteso segnalare valori guida di 30 (Pfos) e 20 (Pfoa) ng/kg peso corporeo/giorno quale ‘Dose di Riferimento’ (RfD), protettivi per i soggetti più vulnerabili, e di conseguenza estensibili a tutta la popolazione. Tale segnalazione è sostenuta anche dai dati sperimentali con tossicità nello sviluppo fetale in animali da laboratorio esposti in gravidanza (nascite pretermine e sottopeso, difetti di ossificazione) e con una ridotta sieroconversione in seguito a vaccinazione. Sono stati considerando sovrapponibili i principali effetti tossicologici osservati alle più bassi dosi per PFOS e PFOA.
DA TALI VALORI GUIDA SANITARI, L’AGENZIA AMBIENTALE DEGLI STATI UNITI (US-EPA) nel 2016, allocando un 20% di contributo all’esposizione dal consumo di acqua sia per Pfos che per Pfoa, ha indicato un livello guida di contaminazione nelle acque pari a 70 ng/L che tiene conto della presenza di uno solo o entrambi i composti C8. Su valori inferiori ai 100 ng/L per presenza di Pfos, Pfoa e PFAS a catena corta si è allineata anche la Svezia. A tale proposito, recenti studi in vitro e in silico dimostrano la capacità di differenti PFAS anche a catena corta di interferire con la funzionalità tiroidea.
IN OLANDA, L’ISTITUTO NAZIONALE PER LA SALUTE PUBBLICA E L’AMBIENTE – RIVM nel 2016 ha estrapolato da un livello di Pfoa ritenuto tollerabile nel siero di 89 ng/ml, un valore guida di 12,5 ng/kg peso corporeo/giorno, considerando la tossicità sul fegato dimostrata da studi su animali da laboratorio. Le concentrazioni ematiche negli animali esposti a dosaggi di Pfoa in grado di provocare effetti tossici sono state convertite in concentrazioni ematiche nell’uomo, attraverso modelli di tossicocinetica umana riferiti a lavoratori professionalmente esposti. Tale valore guida ha portato poi ad indicare un limite sanitario per le acque potabili di 87,5 ng/L riferito ad una persona adulta che consuma mediamente 2 L di acqua al giorno per tutta la vita, assegnando all’acqua un contributo del 20% rispetto all’esposizione totale. Parimenti, nel 2017 è stato derivato uno standard di qualità ambientale per le acque dolci superficiali di 48 ng/L, legato alla capacità di accumulo del Pfoa nel pesce pescato, e al suo consumo alimentare, adottando un approccio conservativo (alti consumi) e presupponendo che il consumo di pesce rappresenti il 10% dell’esposizione totale.
NELLA POPOLAZIONE GENERALE ITALIANA, CHE VIVE IN AREE NON ESPOSTE, si stima ad esempio che per il Pfoa il contributo dell’ acqua non superi il 10% (1% per il PFOS), senza tenere conto dei contributi della polvere e dell’aria che comunque rientrano nel conteggio della esposizione rispetto al valore guida sanitario.
IN SVEZIA, IL CONTRIBUTO DELLA POLVERE, che contiene i Pfas rilasciati soprattutto dall’arredo di casa, si pensa che possa rappresentare fino al 50% dell’esposizione nei bambini che passano gran parte del tempo a contatto con i pavimenti, tappeti, moquettes e in maniera accidentale ingeriscono la polvere di casa che può risultare contaminata nell’ordine delle decine di ng/g. L’aria inalata da residenti nelle vicinanze di un impianto di produzione di Pfoa in Olanda può avere rappresentato il 20% dell’esposizione complessiva. L’aria inalata può avere rappresentato una importante sorgente di esposizione anche nello studio C8 sopra ricordato, oltre all’acqua potabile principalmente tratta da pozzi privati.
DALLA CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO, ovverossia dalla probabilità che la popolazione generale, e i gruppi sensibili/vulnerabili risultino sovraesposti rispetto tali valori guida, ne discendono gli opportuni interventi gestionali in campo ambientale/alimentare, che possono anche ispirarsi a stime conservative nell’ambito dell’applicazione del principio di precauzionalità per quanto riguarda l’associazione di più PFAS, sulla base delle percentuali di contributo di ogni sorgente all’esposizione, e sulla base dei consumi (litri di acqua, grammi di uova, metricubi di aria consumati/inspirati).
UN UTILE CONTRIBUTO PER PARAMETRARE AL MEGLIO I LIVELLI RITENUTI “AMMISSIBILI” PER ALIMENTI, acqua inclusa, può derivare dall’applicazione dei modelli tossicocinetici che correlano la cosiddetta dose interna (ad esempio i livelli di Pfoa nel siero delle persone) con la dose esterna, ovverossia l’esposizione alimentare. Nel caso dell’acqua, che risulta di più facile e immediato riscontro, utilizzando la modellistica elaborata dallo studio C8 sopra ricordato e considerando i relativi fattori di incertezza (quali ad esempio la presenza nell’acqua di precursori e/o di isomeri del Pfoa), dai livelli di Pfoa nel siero umano di 60 – 70 ng/mL si potrebbero derivare i livelli attesi di contaminazione dell’acqua potabile, sotto l’ipotesi che venga dall’acqua il contributo maggiore all’esposizione. E viceversa, dai livelli tollerabili o di performance proposti per l’acqua potabile, anche sotto l’applicazione del principio di precauzione, si potrebbe stimare la concentrazione attesa nel siero delle persone che abitualmente fanno uso di acqua potabile.
QUESTO PUÒ PERMETTERE DI PROSPETTARE LA PROGRESSIVA RIDUZIONE DEI LIVELLI NEL SIERO, compatibilmente con la mitigazione/riduzione dell’esposizione, fissando degli obbiettivi temporali per il “rientro” in quelli che possono essere considerati i valori di riferimento per la popolazione non esposta. Nello studio C8, ad esempio è stato considerato un consumo realistico giornaliero di acqua del rubinetto, comprensivo di bevande a base di acqua (caffè, the,…) di 1,4 litri/giorno per persona adulta. Sotto l’ipotesi più conservativa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità propone di considerare un consumo di 2 litri per un bambino di 10 kg di peso corporeo.
TUTTAVIA, IN AREE IMPATTATE, specie se le sorgenti di contaminazione sono differenziate tra produttori ed utilizzatori di Pfas, data la persistenza e mobilità dei Pfas tra i differenti comparti ambientali fino ad interessare le acque sotterranee e le catene alimentari vegetali e animali, risulta difficile stabilire a livello addirittura a livello di unità abitativa quale sia il reale contributo all’ esposizione di aria, acqua, suolo, polvere di casa, alimenti di origine vegetale e di origine animale.
INOLTRE, IL FATTO CHE ORMAI I PFAS “VIAGGIANO” IN FORMA ASSOCIATA, e che la fruizione del cibo e dell’ambiente di vita cambia con l’età, determina una continua modificazione degli scenari di esposizione su cui effettuare le valutazioni di rischio, anche in una ottica di tossicità non cronica che richiede di evitare esposizioni sopra i valori guida sanitari anche per periodi relativamente brevi. Una evidenza può essere rappresentata dai dati di biomonitoraggio degli adolescenti e negli agricoltori nelle zone interessate dalla contaminazione Pfas in Veneto, risultati significativamente più elevati rispetto agli altri gruppi residenti nella stessa zona.
IN SIMILI CASI È STATA CONSIDERATA L’ADOZIONE DI MISURE PRECAUZIONALI ULTERIORI rispetto all’applicazione di filtri all’acqua e a una loro più frequente sostituzione, quali il rilascio di avvertenze in grado di mitigare/ridurre l’esposizione attraverso una preparazione e consumo consapevole degli alimenti che maggiormente contribuiscono (es. consumo di pesce di cattura, selvaggina, fegato, vegetali), come già fatto nel Minnesota – caso Decatur, e in Germania – per spandimento su suolo agricolo di fertilizzanti ottenuti da fanghi fortemente contaminati da Pfas o per la ingestione di vegetali da orti urbani impattati dal rilascio di Pfas da depositi di schiume antincendio.
IL PIANO DI PREVENZIONE 2014-2018 peraltro prevede un coinvolgimento attivo del cittadino, attraverso istituzioni che si presentano autorevoli, trasparenti, aperte, e responsabili verso la collettività.
LE SOSTANZE PER E POLI-FLUOROALCHILICHE RAPPRESENTANO OGGI I NUOVI CONTAMINANTI EMERGENTI A LIVELLO GLOBALE. NEL mondo industrializzato si stima la produzione ed uso di più di 3000 composti differenti, di cui sono noti solo quelli storici, come i C8 Pfos e Pfoa, i composti perfluorurati da C4 a C14, e in parte i loro precursori quali fluoro-telomeri, fluoro-ammidi, fluoro-eteri. Alcuni di questi sono già oggetto a livelli internazionale di regolamenti, restrizioni all’utilizzo, e politiche di stewardship per una graduale sostituzione con alternative a base di composti non fluorurati o poli-fluorurati ipotizzati a minore impatto ambientale/sanitario, anche se l’energia del legame Fluoro-Carbonio di per sé è una garanzia di elevata persistenza ambientale.
IL COMPITO ARDUO OGGI è quello di identificare e monitorare la presenza di Pfas nei processi produttivi, negli articoli di consumo anche di importazione, nell’ambiente e nel biota – alimenti compresi. Questo, unitamente alla preoccupazione per i livelli ambientali in crescita dei Pfas a corta catena, meno efficacemente intercettati dai filtri a carbone dei depuratori civili rispetto agli analoghi a media-lunga catena. Il progressivo abbassamento dei livelli guida sanitari, anche in funzione di tossicità cumulativa o associata, richiede degli sforzi analitici orientati alla determinazione di 1-10 parti per trilione, efficaci anche per monitorare con tempismo gli andamenti temporali legati alla mutazione degli stili di vita e ai cambiamenti climatici.
IN CHIAVE DI PREVENZIONE PRIMARIA, una attenta politica per l’identificazione, caratterizzazione, e riduzione delle fonti di produzione, utilizzo industriale e antropico, e rilascio dei Pfas vecchi e nuovi è la corretta premessa a piani di monitoraggio e sorveglianza sanitaria, data la molteplicità degli impieghi e la loro indubbia utilità nella vita pratica: dalla componentistica degli smartphones, all’abbigliamento anti-macchia e idro-repellente, il consumatore porta qualche grammo di Pfas senza essere pienamente consapevole dei rischi a fronte di apprezzarne i benefici.
LE PRESSIONI AMBIENTALI DA PFAS NEL FUTURO possono spingere verso scelte gestionali che limitano la presenza di fluoro organico totale nei beni di consumo, e in prospettiva negli alimenti. In tale senso, il Regolamento Eu 2017/1000 già prevede che dal 2020 non possano essere immessi in commercio articoli con Pfoa superiore a 25 microgrammi/kg. Il caso veneto può essere la spinta per una azione di sistema innovativa e di lungo periodo in tale senso per trasformare in risorsa e non solo in problema una situazione messa in essere negli anni ’70. Le risorse intellettuali, imprenditoriali e gestionali sul territorio non mancano.
Fonti consultate:
ATSDR (2015) Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR). Toxicological Profile for Perfluoroalkylshttps://www.atsdr.cdc.gov/toxprofiles/tp.asp?id=1117&tid=237
C8 Study: http://www.c8sciencepanel.org/
Klenow S (2013) Dietary exposure to selected perfluoroalkyl acids (PFAAs) in four European regions. Food additives and Contaminants A 30:2141.
Musmeci L, (2016) Contaminazione da Pfas in Veneto. http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=43688
OECD (2015) Synthesis paper on per- and poly-fluorinated chemicals (PFCs) https://www.oecd.org/env/ehs/risk-management/PFC_FINAL-Web.pdf
Regolamento della Commissione Europea n. 2017/1000 del 13 giugno 2017
RIVM (2016) National Institute for the Public Health and the Environment. Risk assessment of the emission of PFOA Location: Dupont/Chemours, Dordrecht, The Netherlands. http://www.rivm.nl/Onderwerpen/P/PFOA
RIVM (2017) National Institute for the Public Health and the Environment. Water quality standards for PFOA. A proposal in accordance with the methodology of the Water Framework Directive RIVM Letter report 2017-0044
US-EPA (2016) PFOA and PFOS Drinking Water Advisories https://www.epa.gov/ground-water-and-drinking-water/supporting-documents-drinking-water-health-advisories-pfoa-and-pfos
A cura Ufficio stampa Sivemp Veneto – 30 settembre 2017