Il sentiero su cui indirizzare la manovra diventa ancora più stretto. A lasciarlo chiaramente intendere è la revisione del quadro economico operata con la Nota di aggiornamento del Def. La decisione di bloccare il deficit 2018 a quota 1,6%, invece di arrivare all’1,7-1,8% ipotizzato nelle scorse settimane, delimita in modo più marcato il perimetro della prossima legge di bilancio pur lasciando invariati gli spazi per l’utilizzazione della nuova “flessibilità” sostanzialmente concordata con Bruxelles (circa 9-10 miliardi).
La manovra “lorda” che deriva dal quadro definito dal Mef è di 20 miliardi. I 9-10 miliardi di maggior deficit utilizzabile verranno interamente impiegati per disinnescare le clausole di salvaguardia fiscale (15,7 miliardi). Gli altri 5-5,5 miliardi necessari per completare la sterilizzazione degli aumenti di Iva e accise arriveranno dalle risorse che dovrà autonomamente recuperare il Governo. Con il risultato di limitare a 4-4,5 miliardi la dote disponibile per gli interventi di tipo espansivo, a cominciare dal taglio del cuneo per i giovani, gli incentivi agli investimenti industriali, i rinnovi nel pubblico impiego e la copertura delle cosiddette spese indifferibili.
A condizionare la composizione della manovra (Ddl di bilancio più probabile decreto fiscale) saranno quindi anche le scelte che farà il Governo sulla ripartizione delle risorse disponibili. Al momento la dote per il taglio del cuneo e per il nuovo pacchetto “industria 4.0” resta bloccata rispettivamente a quota 1 e 1-1,2 miliardi limitando l’intervento di decontribuzione agli under 29 e mettendo a rischio la proroga del superammortamento per le imprese, che sarebbe parziale se non addirittura accantonata.
Con il trascorrere delle settimane sembra salire invece quella destinata al rinnovo del contratto degli “statali” e al capitolo pubblico impiego in generale, comprensiva di un pacchetto “forze dell’ordine”: si già è passati da 1,2 miliardi a 1,8-2 miliardi.
Una dote che rappresenterebbe quasi il doppio delle risorse allo stato attuale ipotizzate per la riduzione del costo del lavoro stabile per i giovani e quasi la metà dei fondi complessivamente utilizzabili attraverso la manovra.
Senza considerare l’incognita dell’esito della partita tra Governo e sindacati su pensioni, lavoro, politiche attive (qui c’è in ballo anche un intervento normativo per disciplinare le ristrutturazioni aziendali, aprendo a una ricollocazione anticipata dei lavoratori “in esubero”, che scatterebbe non più dopo il licenziamento, ma già dal primo giorno di collocazione in cassa integrazione straordinaria).
La coperta corta sta incidendo sull’annunciato rilancio dell’occupazione giovanile. L’ipotesi, per ora prevalente, è quella “minima”: il governo starebbe ragionando su riduzione del 50% dei contributi per i primi tre anni di contratto a tempo indeterminato per gli under29. La misura sarebbe però affiancata da due altri interventi, finanziati da fondi Ue (e quindi esterni alla legge di Bilancio). Si starebbe infatti pensando di prorogare di un anno il bonus Sud e quindi rendere l’esonero del 100% (sempre per un anno) in caso di assunzione stabile di disoccupati meridionali (giovani e non). Anche per gli under29 “Neet” (ragazzi che non studiano e non lavorano) lo sgravio sarebbe del 100%: qui a essere prorogato sarebbe il bonus Occupazionale di Garanzia Giovani (che intercetta proprio questo target “difficile” di giovani).
Sul fronte previdenza Cgil, Cisl e Uil sono in pressing per bloccare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita nel 2019 e per consentire un ritiro più flessibile a tutte le lavoratrici (sconto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di 3 anni). Un doppio intervento che costerebbe fino a 5 miliardi in due anni (quasi 2,5 miliardi nel 2018). Il Governo afferma di voler tener duro. Fino a questo momento sul capitolo previdenza verrebbero riversati al massimo meno di 500 milioni.
Ma l’esecutivo deve fare i conti con le spinte che arrivano dalla sua stessa maggioranza. E alla fine Palazzo Chigi potrebbe essere costretto a fare alcune concessioni. Quella più probabile riguarda le donne.
Il Governo ha fin qui proposto un bonus contributivo di sei mesi per ogni figlio fino a un massimo di 2 anni solo per le lavoratrici con i requisiti dell’Ape sociale. I tecnici starebbero però valutando con attenzione la possibilità di far salire il tetto a 3 anni (come chiesto dai sindacati).
In ogni caso appare complicato trovare la quadratura del cerchio della manovra, visto che tra i 700 milioni e il miliardo dovrà essere destinato al rafforzamento del fondo per il contrasto alla povertà e non meno di altri 0,8-1 miliardo serviranno per la copertura delle cosiddette spese indifferibili.
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Il Sole 24 Ore – 24 settembre 2017