I cacciatori sono pronti, i piani faunistici venatori no. Perché assenti o scaduti da tempo in 11 regioni d’Italia. Risultato: da domenica 17 settembre, giorno di apertura della stagione venatoria, nella penisola è ancora possibile uccidere cinque specieminacciate in tutto il mondo. A denunciare questa situazione è la Lipu (Lega italiana protezione uccelli) secondo cui queste carenze “sono l’emblema di una stagione di caccia che, oltre alle conseguenze di incendi e siccità, parte all’insegna di infrazioni, assenza dello Stato e gravi carenze regionali”. Clamoroso il caso della Regione Lazio il cui piano, pur formalmente vigente, risale a circa 20 anni fa.
Le Regioni in ritardo
È un fatto che solo dieci regioni italiane dispongono di piano faunistico venatorio valido che, solo in quattro casi, è stato realizzato nell’arco degli ultimi cinque anni. “Per le altre la pianificazione è del tutto assente o scaduta da tempo”, segnala la Lipu. In Abruzzo il piano approvato nel 1996 è scaduto nel 2007, in Basilicata è scaduto nel 2003, mentre nelle Marche e in Toscana è scaduto nel 2015. Dall’anno scorso non è più valido neppure quello della Regione Puglia. La Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Liguria e la Sardegna non ce l’hanno, mentre l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Piemonte non hanno ancora concluso l’iter iniziato rispettivamente quest’anno, nel 2014 e nel 2013. Tra quelli vigenti, ci sono il Piano faunistico della Calabria, approvato nel 2003, quello della Provincia autonoma di Trento (2010), dell’Umbria (2009), della Valle d’Aosta (2008) e del Veneto, approvato dieci anni fa. E poi c’è il caso del Lazio, dove vige un piano approvato nel lontano 1998. Più recenti solo quelli della Campania e della Sicilia (approvati entrambi nel 2013), del Friuli Venezia Giulia (2015) e del Molise (2016).
A cosa serve il piano
Il piano faunistico venatorio, previsto all’articolo 10 della legge 157/92, “è strumento indispensabile per la sostenibilità – ricorda la Lipu – almeno in teoria, dell’attività venatoria”. Il piano deve prevedere, tra le altre cose, le zone di protezione, le aree e le modalità in cui può svolgersi l’attività venatoria, anche in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze di conservazione della natura. Come conseguenza, si tratta di uno strumento che ha i suoi effetti anche sui siti della rete Natura 2000, “dove la caccia è consentita – sottolinea la lega – a patto che siano osservate le disposizioni sui criteri minimi uniformi ed effettuata laValutazione d’incidenza ai sensi della direttiva Habitat”.
Valutazione d’incidenza (questa sconosciuta)
E questa è un’altra nota dolente. Su quest’ultimo aspetto la situazione è davvero grave. “In sole tre regioni (Campania, Friuli-Venezia Giulia e la Sicilia) la Valutazione d’incidenza è stata realizzata in tempi recenti – denuncia la Lipu – mentre nelle restanti è obsoleta o addirittura mai realizzata”. Un elemento di chiara infrazione della direttiva, che la Lega italiana protezione uccelli ha segnalato proprio nei giorni scorsi alla Commissione europea con un corposo dossier. A questo quadro critico si aggiunge la situazione delle specie di uccelli cacciabili: “Delle 18 specie in stato di conservazione sfavorevole, tra cui l’allodola e la pernice bianca (‘Spec 3’, ovvero in stato conservazione sfavorevole, pur non concentrate in Europa), cinque sono addirittura classificate ‘Spec 1’, ovvero minacciate a livello globale, dal nuovo rapporto ‘Birds in Europe’”. Si tratta di tortora selvatica, coturnice, pavoncella, moriglione e tordo sassello, che andrebbero immediatamente sospese dai calendari venatori e considerate oggetto di speciali interventi di tutela. “Ad oggi, invece – è le denuncia – né le Regioni hanno provveduto in tal senso, né il Governo e l’Ispra, da cui siamo ancora in attesa di parere, hanno inteso intervenire in alcun modo. Una situazione incomprensibile, di quasi abdicazione dello Stato”. Una situazione fuori controllo con quelle che la Lipu definisce “piccole luci di responsabilità”, riferendosi all’Abruzzo che ha opportunamente posticipato al 1° ottobre l’apertura della stagione e al Piemonte, che ha mantenuto nel calendario alcune tutele per le specie, tra cui l’allodola e la pernice bianca, che non risultano cacciabili nel territorio regionale.
Il Fatto quotidiano – 17 settembre 2017