Pubblicati ieri in Gazzetta Ufficiale i due decreti sul pubblico impiego e sulle performance dei dipendenti della pubblica amministrazione. I provvedimenti, contenenti disposizioni di attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 che detta la riforma della pubblica amministrazione, erano stati approvati dal Consiglio dei ministri lo scorso 19 maggio ed entrambi entreranno in vigore il 22 giugno prossimo. Il decreto legislativo 74/2017, che modifica il dlgs 150/2009, ha lo scopo di migliorare la produttività dei lavoratori attivi nel settore pubblico e di potenziare l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Ispirandosi ai principi di semplificazione, il testo introduce alcune novità per quanto riguarda il sistema premiale e di valutazione del rendimento dei dipendenti. Prima di tutto, si è chiarito che il rispetto di queste disposizioni non solo incide sull’erogazione dei premi ma anche sulla progressione economica, sul conferimento di incarichi dirigenziali e di responsabilità. Anche in fini disciplinari: se per tre anni di seguito un dipendente consegue una valutazione negativa, verrà licenziato. Tutte le amministrazioni sono tenute a misurare il rendimento, del suo complesso, delle unità operative e dei singoli lavoratori e oltre al raggiungimento di specifici obiettivi devono raggiungere obiettivi generali, priorità coerenti con le politiche nazionali. Le figure di monitoraggio sono gli organismi indipendenti di valutazione, che osservano l’andamento delle performance e segnalano criticità e debolezze.
Invece, modificando e integrando il dlgs 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego), il decreto legislativo 75/2017 riguarda il codice disciplinare con i licenziamenti, il nuovo regime per le visite fiscali e le regole per i concorsi con il capitolo sulla stabilizzazione dei precari. Infatti detta sanzioni più efficaci in caso in cui il dipendente pubblico compia uno sbaglia, ora i vizi formali della procedura non consentiranno più di annullare le sanzioni. Spazio da settembre al polo unico delle visite fiscali, che verranno gestite dall’Inps che già le gestiva per i dipendenti privati. (ItaliaOggi)
Riforma Madia, la «disciplina» cambia dal 22 giugno
Le nuove regole che ampliano i comportamenti sanzionati con il licenziamento dei dipendenti pubblici e blindano il procedimento disciplinare dal rischio di cadere per vizi formali si applicheranno agli illeciti commessi dal 22 giugno prossimo. È questo il primo effetto della pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» del 7 giugno 2017 del decreto che riforma le norme del lavoro pubblico in attuazione della riforma Madia. Sempre il 7 giugno è andato in Gazzetta anche il decreto parallelo sulla valutazione dei dipendenti.
Il nuovo Codice disciplinare è in effetti il primo capitolo della riforma ad avere effetti pratici con l’entrata in vigore del decreto. Cambiano subito anche le regole dei concorsi, con l’obbligo di testare la conoscenza dell’inglese e la possibilità esplicita di valutare per profili specifici il dottorato di ricerca, ma in questo caso la macchina avrà bisogno di tempo per partire davvero. In fatto di assunzioni, la data del 22 giugno è importante perché le regole sulle stabilizzazioni dei precari con più di tre anni di anzianità aprono le porte anche ai titolari di contratti scaduti, ma danno la precedenza a chi è in servizio alla data di entrata in vigore del decreto.
Questa data, poi, fa partire la clessidra che dà 30 giorni di tempo al governo per adottare il decreto necessario a far passare all’Inps la competenza sulle visite fiscali. Sono 90, invece, i giorni utili alla Funzione pubblica per definire le linee di indirizzo sulla programmazione del personale, cioè del meccanismo basato sui «fabbisogni di competenze» che dovrà sostituire le piante organiche: sempre entro 90 giorni dovrebbe arrivare il decreto di Palazzo Chigi (d’intesa con la Conferenza Unificata) con i parametri per individuare Regioni e Città metropolitane «virtuose» a cui permettere di aumentare i fondi per le parti accessorie della busta paga.
Sul versante disciplinare, le prime ricadute pratiche del decreto saranno sul piano della procedura. Il “processo” interno al dipendente che si macchia di comportamenti inadeguati andrà in tutti i casi concluso in 120 giorni, quindi con un raddoppio dei tempi rispetto ai 60 giorni previsti finora per le infrazioni minori che portano a sanzioni più leggere. Ma lo sforamento dei termini intermedi, o gli altri vizi formali, non potranno più far decadere procedimento e sanzioni.
A questo aspetto dovranno dedicare particolare attenzione i dirigenti responsabili, che secondo le nuove regole andranno licenziati quando con dolo o colpa grave non avviano o non portano a termine i procedimenti disciplinari. Il licenziamento, nel nuovo quadro, è minacciato anche per chi viola in modo «grave e reiterato» i codici di comportamento, mostra uno «scarso rendimento» a causa di ripetute violazioni di obblighi per i quali è già stato sanzionato, oppure incappa in «valutazioni negative» in ciascuno degli ultimi tre anni. Queste «valutazioni» sono ai fini disciplinari, e non vanno confuse con le pagelle che dovrebbero servire a differenziare i premi di produttività.
Le nuove regole servono anche ad avviare le trattative sul rinnovo dei contratti, che vedranno domani la prima data chiave con l’incontro fra governo, Aran ed enti territoriali sui contenuti della direttiva della Funzione pubblica: in agenda la distribuzione degli aumenti, il rafforzamento del secondo livello contrattuale, il contrasto all’assenteismo e l’avvio del welfare aziendale in salsa pubblica. (Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore)
DECRETO LEGISLATIVO 25 maggio 2017, n. 75 Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. (17G00089)
DECRETO LEGISLATIVO 25 maggio 2017, n. 74 Modifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell’articolo 17, comma 1, lettera r), della legge 7 agosto 2015, n. 124. (17G00088)
IL FOCUS – Delega Madia a fine percorso
Finalmente il lungo percorso di attuazione della legge delega Madia è sostanzialmente terminato, quanto meno per gli aspetti che interessano la Sanità. Con l’approvazione definitiva in data 19 maggio scorso dei due decreti delegati da parte del Governo tale percorso ha condotto al seguente risultato: 15 decreti legislativi sono già in vigore (più due decreti correttivi), tre decreti sono in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, altri tre sono in fase di definizione.
Infine due decreti sono stati abbandonati per le note conseguenze della sentenza della Corte costituzionale, uno dei quali è quello della dirigenza.
Il provvedimento senz’altro più rilevante è il decreto che impropriamente viene definito di riforma del pubblico impiego ma che altro non è che una manutenzione delle norme contenute nel decreto legislativo 165/2001 secondo le indicazioni delle deleghe contenute nell’articolo 17 della legge 124/2015.
In realtà non è nemmeno così in quanto dei 21 punti di delega ben 7 sono rimasti inespressi (quelli contenuti delle lettere b, d, i, p, t, u, v mentre per la lettera r sulla valutazione si è provveduto con un separato decreto). Inoltre alcune disposizioni del decreto delegato si pongono in modo evidente al di fuori della delega.
Cominciamo da quest’ultimo aspetto. Molti interventi normativi sono stati inseriti all’ultimo momento per rispondere a precise indicazioni sia del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari, sia della Conferenza unificata. Nonostante la sicura importanza di detti interventi, è assai arduo ritrovare un principio di delega, ad esempio, per la stabilizzazione diretta dei precari, per le modifiche – peraltro giuste – alla comunicazione per l’anagrafe degli incarichi, per le ripetizioni di emolumenti indebiti, per la valorizzazione della Ria e, soprattutto, per il parziale ripristino delle progressioni interne tra categorie. La stessa lunga serie di norme per prevenire e risolvere la questione precariato sembra eccedere quanto era stabilito nelle lettere a) e o) dell’articolo 17. Ma tant’è: in alcuni passaggi il provvedimento legislativo assume le tipiche sembianze della decretazione di urgenza piuttosto che quelle del decreto delegato. Non va dimenticato, inoltre, che il decreto è servito a recepire parte dei contenuti dell’Accordo sindacale del 30 novembre 2016.
Fabbisogni sotto la lente
I piani del fabbisogno del personale sostituiranno la dotazione organica e saranno adottati sulla base di Linee di indirizzo predisposte dalla Funzione pubblica di concerto con il Mef e, per il Servizio sanitario nazionale, anche con il ministero della Salute. È ben comprensibile la previsione di una previa Intesa con le Regioni per evitare il ripetersi del contenzioso presso la Corte costituzionale. È plausibile che i piani del fabbisogno vedranno la luce nel 2018 inoltrato. Va anche detto che le aspettative rispetto a taluni delicati e importanti problematiche sono rimaste deluse, vedi il caso della revisione delle procedure di reclutamento che il Governo ha rinunciato a disciplinare demandando in toto a successive “Linee guida di indirizzo amministrativo” di natura non regolamentare, come peraltro suggerito dal Consiglio di Stato.
A proposito del reclutamento, restano tutte le perplessità già evidenziate sulla percentuale massima del 20% di idonei che, in un concorso per infermieri o per Oss, è completamente fuori della realtà; per fortuna è soltanto una facoltà. Riguardo ai concorsi, pertanto, si dovranno attendere queste Linee guida dalle quali, in ogni caso, non c’è da aspettarsi molto perché la norma dice «nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente in materia».
Ciò significa – alla lettera – che è impensabile un superamento dei Dpr 483/1997 e 220/2001, regolamenti obsoleti e fortemente ingessati. Però si potrebbero chiarire le numerose ambiguità e colmare le lacune attraverso dette linee guida le quali, quantomeno, devono essere elaborate dalla Funzione pubblica previo Accordo (nemmeno una Intesa, in questo caso!) in Conferenza unificata e di concerto con il ministero della Salute per quanto riguarda alcune tipologie di personale. Ma in tale ambito, spicca nel nuovo comma 5.2 dell’articolo 36 che il concerto con il ministero della Salute riguarda il personale, sanitario, tecnico e professionale con l’incredibile dimenticanza del personale amministrativo. E di un refuso deve trattarsi, a meno che non si sia ricaduti – come nella prima stesura del Ddl As 1577 – nell’abbaglio di considerare come personale tecnico gli infermieri e i tecnici sanitari e come personale professionale i biologi, farmacisti ecc.
Importanti sono gli interventi sulla contrattazione collettiva e, se da un verso vengono ristretti i modelli relazionali sull’organizzazione degli uffici – sparisce l’esame congiunto e resta la sola informazione -, si rilevano aperture verso forme di confronto negoziale fino a ieri precluse (principi e criteri per la mobilità, riordino e semplificazione della gestione dei Fondi, salvaguardia della Ria nella gestione dei Fondi, limitazioni al potere delle amministrazioni di autodeterminazione in caso di stallo delle trattative). Con l’articolo 11 vengono aggiunti alcuni commi rilevanti all’articolo 40 del 165. Il comma 3-bis introduce la percentuale di risorse da assegnare alla performance. La delega non prevedeva alcunché e sembra un recupero della omologa norma della bozza di decreto per la dirigenza, ormai decaduta. Analogamente i commi 3-quinquies, 4-bis e 4-ter sanciscono interventi non ipotizzati nella legge delega bensì nell’Accordo politico del 30 novembre. Il secondo in particolare demanda alla contrattazione apposite clausole per parametrare gli incrementi dei fondi alla rilevazione di anomali fenomeni di assenteismo.
Buco nell’acqua sul lavoro flessibile
Sul lavoro flessibile è intervenuto l’articolo 9 ma la riformulazione è inutile e continua a essere una sorta di grida manzoniana se non si vieta drasticamente il ricorso al lavoro flessibile in tutte le fattispecie nelle quali non sussiste una situazione di supplenza. Tra l’altro la delega stabiliva «la individuazione di limitate e tassative fattispecie» ma il decreto ne individua tre, già presenti nell’ordinamento, mentre la quarta – cioè il lavoro accessorio – è stata soppressa per tutti. Sennonché l’articolo 9 del decreto parla anche «delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi…»: con tale generico e indistinto rinvio si è in pratica elusa la delega che voleva una elencazione esaustiva e inequivocabile.
Resta irrisolta la questione della sopravvivenza delle Co.Co.Co. dopo il 31 dicembre 2017 e, in particolare, se le pubbliche amministrazioni potranno fruire della deroga di cui all’articolo 2, comma 2, del Dlgs 81/2015. Dal tenore letterale della disposizione di cui all’articolo 5 sembra che l’articolo 7, comma 5-bis, del 165 costituisca norma speciale ma se questa dovesse rivelarsi l’intenzione del legislatore, allora la formulazione sarebbe dovuta essere più lineare. La questione del passaggio delle visite fiscali all’Inps è logicamente stata dilatata nel tempo, ma non decadono certo i dubbi sulla effettiva incisività dell’innovazione.
Il procedimento disciplinare viene profondamente rinnovato. La nuova suddivisione delle competenze (praticamente accentrate nell’Upd) è sicuramente un fatto positivo in particolare per la Sanità laddove la stragrande maggioranza dei dirigenti competenti fino a ieri per gli illeciti entro i 10 giorni di sospensione erano sanitari. Sicuramente positivo è l’aver aggiunto l’aggettivo «piena» alla conoscenza dei fatti cui è correlato il dies a quo per la contestazione.
Bene anche la possibilità di riattivazione in presenza di elementi nuovi, compresa una sentenza non definitiva, così come le norme sulla ripresa o riapertura del procedimento mediante rinnovo della contestazione. Però un giudizio complessivo e sistematico non può prescindere da una osservazione critica.
Se alla fine si è tornati al termine massimo di 120 giorni (come indicato dal Consiglio di Stato), come può dirsi rispettata la delega che prevedeva di «accelerare e rendere concreto e certo nei tempi» il procedimento disciplinare? In buona sostanza è tutto come prima e tale accelerazione vige ora soltanto per i procedimenti ex Dlgs 116/2016 (quello degli assenteisti, per intenderci) rispetto al quale, tuttavia, le perplessità sia giuridiche che operative sono notevoli.
Si rileva un evidente disallineamento nel nuovo comma 9-ter dell’articolo 55-bis dovuto all’inserzione del principio della perentorietà (voluto dal Consiglio di Stato) che non collima con quanto viene detto nel primo periodo laddove, nel declinare le due condizioni di applicabilità della non decadenza dell’azione disciplinare, ci si riferisce a situazioni indefinite e vaghe che una norma giuridica non dovrebbe mai prevedere. Vanno segnalate quattro ulteriori fattispecie di licenziamento che si aggiungono al “catalogo” di Brunetta.
Anche la modifica all’articolo 63 del 165 operata dall’articolo 21 genera grandi dubbi. Innanzitutto la garanzia della tutela reale – che comporta la reintegrazione del lavoratore – invece che di quella obbligatoria come tutti i lavoratori subordinati non regge giuridicamente in assoluto ma anche in relazione alla delega che sul punto tace del tutto.
E non convince affatto la tesi che vede la norma ottemperare alla delega del precedente articolo 16 (coordinamento formale e sostanziale dei testi legislativi vigenti) perché allora avrebbe dovuto essere coerentemente integrato anche l’articolo 51, comma 2, che tratta – senza limitazioni o deroghe – dello Statuto dei lavoratori. Inoltre proprio la delega imponeva di rendere «concreto e certo» nei tempi il procedimento disciplinare e la tutela reale non sembra proprio diretta a tali finalità.
Ma c’è di più, perché al dipendente licenziato illegittimamente viene fornita la tutela reale unitamente a una indennità risarcitoria fino a 24 mensilità: se il Giudice annullerà il licenziamento vorrà dire che qualcuno aveva sbagliato e questo qualcuno rischierà di essere citato per danno erariale, con la conseguenza che l’esigibilità del sanzione potrebbe risentirne. In tal senso poteva almeno essere prevista l’esclusione della responsabilità amministrativa per i componenti dell’Upd, sulla falsariga della responsabilità civile dei giudici. A parziale recupero viene introdotta la possibilità della sanzione riproporzionata per mano del Giudice, anch’essa comunque fuori dalla delega. La questione è delicatissima e non mancherà di scatenare la dottrina e la stessa giurisprudenza. Valutazioni a parte scaturiscono sull’articolo 23 a cominciare dal contestatissimo comma 1. L’intero articolo è fuori della delega ed è di difficile lettura perché evidentemente ci hanno messo le mani in troppi. Però balza agli occhi l’incomprensibile esclusione della Sanità dalle possibili risorse aggiuntive regionali (comma 3) e la provocatoria possibilità di incrementare i fondi per l’accessorio solo dopo il 2020!
La vera novità dell’intero decreto è comunque costituita dal ripristino – seppure parziale e a termine – delle progressioni interne tra categorie. Questa apertura risolverà anche la vexata quaestio dei cosiddetti passaggi diagonali, cioè quelli da B a Bs e da D a Ds, scenario peculiare della Sanità e di grande importanza per le aziende e per i diretti interessati. A prescindere dai dubbi su di un possibile eccesso di delega, resta la indubbia rilevanza del superamento di una rigidità ormai insostenibile. (Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità)
7-8 giugno 2017