Un doppio correttivo per allargare la platea potenziale del «piano straordinario di stabilizzazione» dei precari della Pa potrebbe arrivare con la versione definitiva della riforma del pubblico impiego, attesa in uno dei prossimi consigli dei ministri (forse già la prossima settimana) dopo il via libera ottenuto ieri in Parlamento. La commissione Affari costituzionali del Senato e la Lavoro della Camera hanno infatti acceso il semaforo verde al decreto attuativo della delega Madia sulle nuove regole del pubblico impiego, cioè il provvedimento indispensabile per riavviare i rinnovi contrattuali nella Pa.
Molto ricco l’elenco delle «osservazioni», mentre solo il Senato (relatore Giorgio Pagliari, del Pd) ha posto al governo anche due «condizioni», che sono più pesanti nella procedura (il governo, se vuole ignorarle, deve tornare in Parlamento e motivare la scelta) ma gestibili nella sostanza: chiedono di chiarire meglio che Linee guida sui concorsi e le Linee di indirizzo per la pianificazione del personale non hanno natura regolamentare, per evitare i problemi di compatibilità segnalati anche dal Consiglio di Stato, e di rafforzare le regole del collocamento obbligatorio per i famigliari delle vittime di terrorismo e criminalità.
È il piano straordinario di stabilizzazione dei precari, che secondo il governo potrà interessare fino a 50mila persone e che è stato pensato anche per evitare di incappare in una nuova condanna in sede europea, ad aver catalizzato l’attenzione della politica. Il testo approvato in prima lettura il 23 febbraio prevede la possibilità di candidarsi alla stabilizzazione per i precari che abbiano maturato tre anni di anzianità negli ultimi otto all’interno della stessa amministrazione che procede all’assunzione. Il rischio, segnalato da più parti, è che una griglia di questo tipo escluda dalla possibilità di aspirare al posto fisso i molti precari, che come accade spesso per esempio nella sanità, abbiano cumulato la loro anzianità attraverso contratti con enti diversi: il problema, quindi, sarebbe superato aprendo le porte anche ai casi nei quali i tre anni di anzianità siano stati cumulati in Pa diverse.
Le decisioni finali saranno prese in consiglio dei ministri, ma è la stessa ministra della Pa Marianna Madia ad aver aperto alla possibilità di correttivi. Il secondo in discussione riguarda il calendario. I tre anni, secondo il testo originario, vanno maturati entro la data di entrata in vigore del decreto legislativo, ma il piano straordinario partirà il 1° gennaio prossimo: a quella data potrebbe quindi essere spostato anche il termine per maturare l’anzianità, dando più tempo ai precari ed evitando un “buco” semestrale fra la maturazione dei requisiti e l’avvio degli ingressi. Sempre nell’ottica di venire incontro ai precari, il Senato chiede di trovare forme ulteriori per valorizzare nei concorsi «l’esperienza maturata» negli uffici pubblici.
Le chance di modificare le regole della stabilizzazione sembrano buone, anche perché l’allargamento della platea non aumenterebbe la spesa pubblica in quanto le assunzioni devono rientrare nei vincoli ordinari di spesa e di programmazione. Il problema si potrebbe spostare sugli altri aspiranti a un posto pubblico, a partire da chi è stato giudicato idoneo nei concorsi, che avrebbero più “concorrenza” nella strada verso l’assunzione, ma tutto dipende dalle quote che saranno riservate ai precari.
Più difficile appare la strada per una revisione del codice disciplinare, su cui il governo ha puntato parecchio. Oltre ad aumentare, portandoli a dieci, i casi che possono portare al licenziamento, la riforma prevede che il superamento dei termini o le violazioni formali delle procedure non possano invalidare le sanzioni. Questa “prevalenza della sostanza sulla forma” ha fatto storcere il naso al Consiglio di Stato, e il Parlamento chiede di reintrodurre «tempi certi e perentori di conclusione del procedimento». Sembra difficile, però, che il governo voglia tornare indietro su uno dei punti “qualificanti” .
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 4 maggio 2017