Un piccolo e proprio esercito quello dei precari della PA che vede soprattutto in tre comparti una loro forte presenza. Primo tra tutti quello delle Regioni e degli Enti Locali con circa 77mila addetti tra tempo determinato e co.co.co, poi la sanità con oltre 35mila unità di personale in quelle condizioni e poi l’Università con circa 26 mila occupati non stabilizzati.
Questi i numeri assoluti, ma quanto incidono sul totale degli addetti? Se passiamo alle percentuali le proporzioni cambiano, e al primo posto balza l’Università dove un addetto su cinque è precario, poi Regioni ed Enti Locali con il 14,3% di precari e infine il Ssn con il 5,1%.
Il dato sui contratti a tempo determinato e co.co.co. lo ha elaborato l’Aran che ha messo a confronto più anni per comprendere meglio l’andamento del fenomeno in costante aumento in effetti proprio nei due comparti citati e in quello delle Università.
A dire la verità il tempo determinato nelle Regioni (a statuto ordinario) è letteralmente raddoppiato nel 2015 rispetto al 2014, mentre negli altri due comparti è aumentato, ma di poco.
Nel Servizio sanitario nazionale il maggior numero di operatori a tempo determinato si rileva tra il personale non dirigente e sono donne: 21.428 su un totale complessivo per tutte le qualifiche di 31.220. Si tratta – compresi i co.co.co che si limitanto però a poco più del 10% del tempo determinato – del 5,1% di tutta la forza lavoro del Ssn.
Un dato che tuttavia, anche se “alto” nella classifica dell’utilizzo dei contratti atipici, è ben meno pesante di quello che rappresentano i precari di Regioni e Università. Per il primo comparto, infatti, il numero di operatori a tempo determinato e co.co.co rappresenta il 14,3% di tutta la forza lavoro, mentre per l’Univeristà si raggiunge addirittura il 20,5%, il che significa che è precario un professionista su cinque.
Nelle sue tabelle tuttavia, l’Aran precisa che i dati si riferiscono al numero delle persone alla data del 31/12 e non alle unità uomo/anno o al numero di contratti attivi nell’anno. E non sono compresi i dirigenti a tempo determinato di tutti i comparti a eccezione del comparto del Servizio Sanitario nazionale. I medici a tempo determinato infatti sono 8.843 (di cui 5.319 donne), i dirigenti non medici sono 1.362 (di cui 990 donne).
Un dato significativo è quello dell’anzianità del rapporto di lavoro a tempo determinato. Nel Ssn fino a un anno ci sono 11.180 unità, di cui 7482 di personale non dirigente, 3308 medici e 390 dirigenti non medici.
Da uno a due anno e da due a tre anni poi i numeri si abbassano sensibilmente tanto che nel complesso si registrano 5.569 non dirigenti, 2.483 medici e 325 dirigenti non medici. Ma i numeri schizzano verso l’alto quando si contano le unità di personale a tempo determinato oltre i tre anni: sono 7.974 non dirigenti, 3.052 medici e 637 dirigenti non medici.
Una situazione questa ancora più evidente e pesante nell’altro comparto con grandi numeri, quello delle Regioni, dove addirittura oltre i tre anni nel 2015 era a tempo determinato da oltre tre anni il 76,52% di tutto il personale a tempo determinato.
Situazione analoga sui Co.co.co. Solo che in questo caso il Servizio sanitario nazionale è al terzo posto di tutti i comparti dopo le Regioni e anche dopo l’Università che balza al primo posto, seppure con questo tipo di contratti in continua diminuzione tra il 2013 e il 2015.
Si tratta di numeri decisamente minori del tempo determinato: per il Ssn nel 2015 tutti i contratti co.co.co sono 3.971, anche se poco meno della metà va avanti da oltre tre anni e nell’Università che ha il primato, sono 4.184, concentrati più che altro su quelli fino a un anno di durata.
Nel Ssn, comunque, quasi tutti i contratti co.co.co sono fatti a laureati, nel settore economico, sanitario e di ricerca.
Tempo determinato e co.co.co.: le tabelle Aran
Vai a Quotidiano sanità – 3 maggio 2017