La sanità italiana rischia di scivolare sotto il livello di guardia fissato dall’Oms mettendo a rischio l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Questo il messaggio che si è alzato oggi dall’Aula del Senato durante la discussione sul Documento di economia e finanza. E alla fine l’Assemblea ha approvato la risoluzione di maggioranza dove si impegna il Governo “a garantire l’universalità e l’equità del Servizio sanitario nazionale, rafforzandone ulteriormente l’efficienza e la qualità delle prestazioni, anche prevedendo interventi volti ad allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto al PIL a quella media europea“, (con una dizione analoga si è espressa anche la Camera nella sua risoluzione)
Un impegno che nel corso della seduta era stato richiesto da molti senatori della maggioranza e dell’opposizione, seppur con sfumature diverse, che hanno condiviso tutti la stessa preoccupazione per il trend del prossimo triennio che vedrà scendere il rapporto spesa sanitaria pubblica-Pil al 6,4 per cento.
A questo si sono poi aggiunte diverse altre critiche, da parte delle opposizioni, sul mancato aumento dei fondi per la povertà, le politiche sociali, le non autosufficienze. E ancora, criticato l’impegno nei confronti del welfare aziendale e dei fondi sanitari integrativi, così come l’attuale governance del farmaco.
Riportiamo di seguito tutti gli interventi in Assemblea riguardanti la sanità.
Amedeo Bianco (Pd): “Preoccupa rapporto spesa sanitaria-Pil prossimo triennio. Questa partita va riconsiderata”
“Condivido totalmente la lettura del DEF che ci ha proposto il relatore. Condivido, altresì, le preoccupazioni e le ansie che in qualche passaggio emergevano. Così, utilizzerò lo spazio a mia disposizione, anche – per così dire – per dovere d’ufficio, per svolgere qualche considerazione riferita al capitolo che il DEF dedica all’andamento programmatico della spesa sanitaria pubblica.
Questa cresce nel 2017 rispetto al 2016 dell’1,4 per cento, con un’incidenza sul PIL nominale pari al 6,7 per cento – ha detto in Aula -. Nel 2017, così come dice il DEF, effettivamente crescono i maggiori aggregati di spesa, ma con un aumento più marcato riferito ai costumi intermedi, che diventa pari a 2,7 per cento, influenzato soprattutto dall’immissione in distribuzione dei farmaci innovativi. Crescono di qualche decimale di spesa anche l’aggregato relativo al personale, dopo anni di progressivo decremento. Su questo aggregato di spesa, sono paradossalmente più certe le misure che sottraggono risorse ai fondi dedicati alle remunerazioni del personale che le modalità di reperimento e le quantità delle risorse per avviare la tanto attesa stagione di rinnovi di contratti e convenzioni. Ma il dato che suscita maggiori preoccupazioni è la previsione della crescita di spesa sanitaria nel triennio 2018-2020, così come già da altri detto. La media annua è dell’1,3 per cento, cioè circa la metà stimata della crescita del PIL nominale al 2,9 per cento ed è questo che fa sì che nel 2019, poi confermato nel 2020, il rapporto spesa sanitaria pubblica-PIL scenda al 6,4 per cento.
Al di là delle indicazioni generali dell’OMS, già qui evidenziate, sul ruolo delle spese sanitarie in tempo di crisi, tutte certamente poi da contestualizzare, che io sappia nessuno studio affidabile ci dice qual è la soglia del rapporto spesa-PIL al di sotto della quale cedono i pilastri di equità, solidarietà ed universalismo del nostro Servizio sanitario nazionale, che non vorrei ulteriormente aggettivare.
Disponiamo però di studi affidabili di diversa matrice che concordano nel ritenere che la doverosa cura di efficacia e di appropriatezza a cui è stata sottoposta la sanità pubblica ha dato risultati positivi, come attesta lo stesso report semestrale del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), ma fatica a contenere in non poche parti del Paese, soprattutto, ma non solo, nel Sud e nelle isole, preoccupanti cadute di equità di accesso ai vecchi Livelli essenziali di assistenza (LEA), laddove ci si impoverisce per spese sanitarie, laddove si rinunzia a cure e farmaci.
Davanti a noi abbiamo straordinari impegni da rispettare, i nuovi LEA, i nuovi farmaci, la sistematica diffusione dell’information and communication tecnology (ICT) in sanità. In questa complessità di contesto cresce il disagio professionale ed economico dei professionisti sanitari; eppure sono loro in prima linea che in questi difficilissimi anni hanno retto e sostenuto il Servizio sanitario nazionale. Non lo dico io, ma lo dicono la Corte dei conti e studi di soggetti terzi.
Credo, Presidente, che questa partita meriti di essere riconsiderata; le sacrosante scelte per promuovere crescita e sviluppo della nostra economia vanno bilanciate con politiche di sostegno welfare tutto, compresa la sanità, perché soprattutto in periodi di crisi sono formidabili strumenti di contrasto alle diseguaglianze, contribuiscono alla lotta alle vecchie e nuove povertà, promuovono l’inclusione sociale di chi è debole o di chi, improvvisamente, diventa debole. Anche questo è futuro per il nostro Paese”.
Nerina Dirindin (Mdp): “Preoccupante il disimpegno nei confronti della sanità pubblica e l’impegno nei confronti del welfare aziendale”
“Anch’io mi soffermerò, come hanno fatto alcune persone che mi hanno preceduto, su un tema specifico che riguarda le politiche a tutela della salute. Ancora una volta non possiamo non rilevare una preoccupante disattenzione nei confronti della tutela della salute e delle politiche sanitarie, come se la salute non fosse un’importante priorità per gli italiani, come se il sistema sanitario fosse solo un costo, una spesa da contenere, dimenticando che esso, oltre a contribuire a migliorare le condizioni di salute e di vita della popolazione della popolazione, di ognuno di noi, è, invece, un settore chiave dell’economia, in grado di contribuire allo sviluppo del Paese in termini economici e in termini occupazionali, oltre che uno dei settori più dinamici e innovativi della nostra economia, come sostengono tutti gli osservatori.
Il nostro sistema sanitario – dobbiamo ricordarcelo perché troppo spesso ce lo dimentichiamo – è da anni riconosciuto in Europa come uno dei meno costosi perché complessivamente spendiamo, per la sanità pubblica e privata, due punti di PIL in meno rispetto a Francia e Germania, ed è riconosciuto come uno dei più efficaci. Proprio l’ultimo rapporto dell’OCSE afferma: «Uno dei fattori che ha contribuito alla crescita dell’aspettativa di vita in Italia è la buona qualità dell’assistenza sanitaria per condizioni potenzialmente letali» e questo non è un dato affermato soltanto negli ultimi rapporti ma ormai da numerosi anni.
Ciononostante – ha spiegato in Aula – questi connotati positivi che sono riconosciuti da tutti per il nostro sistema sanitario stanno venendo meno anche a causa delle restrizioni imposte alla sanità pubblica dagli obiettivi di risanamento della finanza, che condividiamo ma che qualche volta penalizzano la sanità più degli altri settori, e della mancanza di una seria politica sanitaria a livello nazionale e regionale.
Infatti sono sempre più frequenti anche le raccomandazioni degli stessi organismi internazionali, che peraltro apprezzano il nostro sistema, che sottolineano sempre più frequentemente le debolezze che stanno emergendo in Italia. Oltre alla percentuale di popolazione che riporta esigenze di cure mediche non soddisfatte in crescita, in particolare nei gruppi a basso rischio, l’OCSE sostiene che noi dovremmo, ad esempio, aumentare gli sforzi per utilizzare di più i generici e soprattutto per avvantaggiarci dei possibili risparmi nell’utilizzo dei biosimilari, una delle direzioni che, purtroppo, anche recentemente non abbiamo ascoltato e abbiamo in parte adottato in maniera esattamente opposta alle raccomandazioni internazionali.
Mi voglio qui soffermare su un altro punto che non è stato ancora toccato: preoccupante e l’apparente contraddizione tra il disimpegno nei confronti della sanità pubblica e l’impegno nei confronti del welfare aziendale, dei fondi sanitari. Al di là delle enunciazioni, sempre condivisibili, sulla tutela della salute, vi è un implicito assalto all’universalismo, uso le parole di Martin McKee della London school of hygiene, il quale parlava di assalto all’universalismo con riferimento a ciò che sta succedendo Nel Regno Unito e che accade, allo stesso modo, anche in Italia. Un assalto di cui siamo anche noi responsabili, noi parlamentari in primo luogo, in parte perché disattenti e in parte perché complici di questa china scivolosa. Infatti noi sappiamo che rispetto al sistema universale finanziato con la fiscalità generale, il welfare aziendale non è preferibile dal punto di vista dell’interesse generale né sotto il profilo dell’equità, perché destinato a rivolgersi solo a specifiche categorie di cittadini – non certamente più deboli, né i più malati – né sotto il profilo dell’efficienza perché è più costoso in ragione degli elevati costi amministrativi e perché richiede la costituzione di fondi e di riserve estremamente importanti.
Eppure, il nostro sistema si sta sempre più caratterizzando per l’aumento, spropositato a mio giudizio, dei fondi sanitari di carattere aziendale e spessissimo di piccole dimensioni, grazie soprattutto alla spinta dell’incentivo fiscale che sta aumentando nel corso degli anni. Su questo sarebbe bene aprire un dibattito e una riflessione seria, mentre sono trascurate le tante richieste che ci vengono anche dagli organismi internazionali e che ci chiedono di dare risposte, attraverso forme analoghe, come ad esempio la non autosufficienza, e intervenendo con forme di reale integrazione dell’offerta pubblica, attraverso fondi non aziendali, ma territoriali: nazionali o regionali.
La previsione per il prossimo triennio di un aumento della spesa sanitaria pubblica e dei livelli essenziali di assistenza – di cui è già stato detto e non ripeto – è preoccupante, perché arrivare tra due anni al 6,4 per cento del PIL è inaccettabile rispetto alle condizioni in cui ci troviamo, anche perché, come sappiamo bene, la crisi economica incide sulla salute, in particolare sulla salute mentale della popolazione. Quindi, certamente richiede più attenzione una migliore qualità dell’assistenza, ma la demotivazione e la mortificazione che in questo momento c’è nei confronti del sistema pubblico non ci aiuta a migliorare la qualità dell’assistenza.
Concludo ricordando due punti importanti, che, pur non richiedendo grandi investimenti e risorse, sarebbero utili per migliorare il nostro sistema: intanto è necessario intervenire sul sistema di compartecipazione al costo delle prestazioni e questo si può fare subito, esentando gli inoccupati, che sono esenti soltanto in alcune Regioni e con fondi a carico dei bilanci regionali, e prevedendo il graduale superamento delle forme che rendono paradossalmente meno costoso il ricorso al mercato privato che l’accesso al Servizio sanitario nazionale.
Da ultimo è necessario monitorare affinché l’attuazione dei nuovi LEA che tanto hanno contribuito a dare un segno di vivacità del nostro sistema, avvenga in modo efficace, rapido e in tutto il territorio nazionale, evitando ricadute economiche e procedurali di appesantimento amministrativo a carico dei cittadini che accedono ai servizi. In epoca di crisi economica non possiamo pensare che i cittadini rinviino il ricorso alle prestazioni soltanto perché stiamo – teoricamente – migliorando i livelli di assistenza garantiti”.
Luigi d’Ambrosio Lettieri (DI): “Preoccupa spesa sanitaria sotto del livello di guardia e il taglio a politiche sociali e non autosufficienza”
“Assume una dimensione particolarmente preoccupante la politica sul versante della sanità, in cui sostanzialmente la realtà ci consegna una spesa che aumenta, a fronte di un PIL che si riduce, con la proiezione di un finanziamento che nel 2020 arriverà al 6,4 per cento, al di sotto del livello di guardia evidenziato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Preoccupa il taglio di 485 milioni alle politiche sociali, quelle a sostegno della non autosufficienza, degli asili nido, dell’assistenza domiciliare e delle famiglie povere. Ugualmente preoccupa il finanziamento in favore dei migranti, che nel documento straordinario di bilancio aveva previsto cifre ben inferiori rispetto a quelle che invece nella tabella 28 del DEF vengono consegnate, con oltre 4,2 miliardi destinate alle politiche per la crisi legata ai migranti, senza tener conto di due elementi: il primo è l’emergenza del Nord Africa; il secondo è la previsione che gli oneri derivanti dalle spese per i migranti vengano trasferiti dal Ministero dell’interno al Ministero della salute, senza però specificare che, accanto ai nuovi compiti, vengono destinate anche nuove risorse. Questo naturalmente pone un problema gravissimo sotto il profilo della sostenibilità della spesa sanitaria e del finanziamento del servizio pubblico. Tali elementi, nel complesso, determinano uno stato di grave e profonda preoccupazione, che non trova riscontro nel Documento che abbiamo in esame”.
Sante Zuffada (FI): “Diminuiscono la spesa sanitaria in rapporto al Pil e le coperture finanziarie verso la povertà”
“Gli estensori del DEF probabilmente si sono dimenticati gli ultimi dati relativi all’indice di povertà di questo Paese: oltre quattro milioni sono considerati poveri e circa dieci milioni ai limiti della povertà; peraltro, nel rapporto tra percentuale del PIL e spesa sanitaria, in questi ultimi anni l’Italia si è collocata sempre come fanalino di coda, se si fa un raffronto con gli altri Paesi più sviluppati in ambito europeo (Francia e Germania).
Colpisce allora il fatto che nella previsione di spesa, per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale, anziché avere un aumento in rapporto al PIL – che peraltro aumenta poco o nulla – il risultato finale sarà che, partendo dal 6,7 per cento, per quanto riguarda il rapporto spesa sanitaria-PIL nel 2017, arriveremo al 6,4 per cento sia nel 2018, sia nel 2019-2020.
Per quanto riguarda le coperture delle spese e la particolare attenzione rispetto a quei famosi quattro milioni e oltre che sono ai limiti della povertà, anziché un adeguamento, nel tentativo di risolvere il problema, la tendenza al contrario, è verso una diminuzione della copertura finanziaria.
Vi è poi un altro aspetto – da molti sostenuto – relativo alla necessità di migliorare la spesa in efficienza, qualità e appropriatezza. È evidente, però, che se si continua con la restrizione del finanziamento, anziché attenuare la differenza tra le Regioni con riferimento ai LEA e alla qualità della sanità, si potrebbe determinare, soprattutto nelle Regioni virtuose, un’azione finalizzata ad incidere sulla qualità e l’appropriatezza delle prestazioni senza porre rimedio al contenimento della mobilità interregionale. Come sapete, infatti, spesso i pazienti si spostano da talune realtà regionali dove i servizi non sono adeguati, verso Regioni dove i servizi sono migliori. La riduzione del finanziamento determinerà, alla fine, non un miglioriamo della qualità del servizio ma un peggioramento dello stesso nelle Regioni più virtuose.
Inoltre, sarebbe opportuno dare maggiore sicurezza relativamente ai finanziamenti non solo annuali ma almeno triennali. Ricordo che quest’anno si è partiti da un taglio di oltre 400 milioni, che non era previsto, e dalle proposte del Ministro relative all’adeguamento dei LEA e alla necessità di dare ai cittadini la possibilità di curarsi anche per malattie particolari, come ad esempio l’epatite C: tema sul quale sarebbe opportuno stendere un velo pietoso per com’è stata gestita la vicenda, e mi auguro che nel prosieguo della discussione relativa alle mozioni che trattano di tale materia il Governo dia risposte adeguate.
Vi è anche un altro problema relativo alla governance del farmaco che non risulta abbastanza precisa nel merito. Infine, per toccare le ultime vicende relative ai terremoti, nelle quali si è palesata l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere, non ci sono risorse per l’adeguamento dei luoghi di cura al fine di renderli sicuri, nonché per assicurare l’umanizzazione e la personalizzazione delle cure.
Tutto questo ci fa esprimere un giudizio negativo, almeno per quanto riguarda il settore sanitario, perché denota il fatto che questo Governo facilmente fa spot pubblicitari, senza poi assicurare le risorse necessarie a trasformare in pratica i buoni propositi”.
Giovanna Mangili (M5S): “Con spesa sanitaria al 6,4% del Pil si varcherà la soglia di allarme fissata dall’Oms”
“La realtà sotto gli occhi di tutti è quella che vede questo Governo rimandare ancora la stagione contrattuale del pubblico impiego. L’Esecutivo si era impegnato, il 30 novembre 2016, a garantire l’implementazione delle risorse per il previsto rinnovo dei contratti, ma nel DEF mancano all’appello le somme in più. La realtà è quella secondo la quale nel Documento in discussione il rapporto tra spesa sanitaria e PIL diminuirà dal 6,7 per cento del 2017 al 6,5 per cento nel 2018, per precipitare poi al 6,4 per cento dal 2019 (una percentuale mai raggiunta in passato); si varcherà, dunque, la soglia di allarme fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità, oltre la quale si riduce la qualità dell’assistenza e dell’accesso alle cure, ma anche l’aspettativa di vita delle persone. La realtà è quella per cui il percorso disegnato per il rapporto tra debito e PIL non consentirà di rispettare la cosiddetta regola del debito né nel 2017 né nel 2018, lasciando in eredità al prossimo Governo – che non sarà il vostro – l’altissima possibilità di apertura di una procedura d’infrazione per disavanzi eccessivi; procedura che poi non potremo che addebitare al vostro pessimo operato”.
Alessia Petraglia (Si-Sel): “Portare la spesa sanitaria al 7% del Pil”
“È necessario assumere le necessarie misure per garantire l’effettiva universalità del Servizio sanitario nazionale, al fine di raggiungere l’obiettivo di una spesa sanitaria con un’incidenza del 7 per cento sul PIL, in particolare attraverso il finanziamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) e del Fondo nazionale per la non autosufficienza, l’eliminazione dei superticket, la riduzione delle liste di attesa e avviando il superamento del blocco del turnover nel comparto sanitario”.
Silvana Comaroli (Ln): “Per la sanità un taglio di oltre 7 mld nel triennio 2017-2019”
“Andiamo a vedere i tagli. L’ISTAT ci ha detto che l’11,9 per cento delle famiglie è in difficoltà; i poveri in Italia sono 7,2 milioni. È vero, poi, che il fondo sanitario è aumentato, ma se andiamo a vedere nello specifico c’è stato un taglio effettivo di 1,56 miliardi nel 2017; 1,890 miliardi nel 2018 e 3,666 miliardi nel 2019. D’altra parte, lo avete sentito tutti: tanti cittadini rinunciano addirittura a curarsi. Abbiamo visto il taglio di 200 milioni per le politiche sociali e però adesso il Governo ha previsto il reddito di inclusione; peccato, però, che c’erano già interventi che potevano andare a favore degli indigenti; potevamo semplicemente continuare a perseguire quelli anziché prevederne altri”.
Anche l’Assemblea della Camera ha approvato la risoluzione di maggioranza sul Documento di economia e finanza.
Come già avvenuto a Palazzo Madama, non sono mancati anche qui, seppur in tono minore, gli allarmi per l’andamento della spesa sanitaria, per la poca chiarezza sulle risorse che verranno destinate al rinnovo dei contratti e per i tagli ai Fondi per le politiche sociali e le non autosufficienze. In particolare su questi punti sono intervenuti il relatore di minoranza Giulio Marcon (Si-Sel-Pos), Gianni Melilla (Mdp), Luca Pastorino (Si-Sel-Pos) e Tea Albini (Mdp).
In ogni caso nella risoluzione approvata la Camera impegna il Governo a “garantire l’universalità e l’equità del servizio sanitario nazionale, rafforzandone ulteriormente l’efficienza e la qualità delle prestazioni, anche prevedendo interventi volti ad allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto al PIL a quella media europea”.
Quotidiano sanita (leggi tutto) – 27 aprile 2017