Mozziconi di sigarette, bottiglie di vetro, contenitori per alimenti. E poi tanta plastica, troppa. Ogni due passi fatti sulla sabbia si trova un rifiuto. A raccontarlo è il primo studio sulla spazzatura marina realizzato da nove enti di ricerca e sette Stati (Italia, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Grecia, Montenegro e Slovenia) affacciati sul mar Adriatico e sullo Ionio. Tra i granuli i residui di plastica rappresentano il 91% dei 70 mila campioni analizzati su un totale di oltre 18 chilometri di coste. Un problema che non riguarda solo i bacini adriatico e ionico, ma tutto il Mediterraneo. Tant’è che in qualche ricerca già si parla di «plastic soup», la «zuppa di plastica».
Tra i tanti, un dato che colpisce del report Marine litter assessment in the Adriatic and Ionian Seas è il numero di cotton fioc: i bastoncini cotonati sono il terzo rifiuto più trovato nei 31 siti costieri studiati. «Un dato che ha impressionato anche noi», ammette il ricercatore dell’Ispra Tomaso Fortibuoni, 37 anni, uno dei due italiani autori della ricerca internazionale finanziata dall’Ue. «Potrebbe essere dovuto alla cattiva abitudine di gettare i bastoncini di plastica negli scarichi domestici. Ma è strano: chi gestisce i depuratori ci ha assicurato che i filtri dovrebbero fermarli», dice lo studioso ora in “prestito” all’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste. «Oppure i cotton fioc potrebbero esseri portati dai fiumi o provenire dagli scarichi delle navi di crociera», scrive su rivista Micron (dell’Arpa Umbria) la studiosa di scienze ambientali Simona Marra, una delle prime ad analizzare le circa 170 pagine del report.
La ricerca è stata organizzata su tre piani (qui sotto rappresentati in 3D). Oltre alla spazzatura sulle spiagge si è presa in considerazione quella sulle superfici acquatiche e, terzo livello, la spazzatura sul fondo del mare. In media su ogni chilometro quadrato di acqua galleggiano 332 rifiuti: per il 40% sono sacchetti e pezzi di plastica; più di uno scarto su dieci (il 12,5%) inoltre è rappresentato da pezzi di contenitori di polistirolo usati per il pesce.
Tra i siti più inquinati il Golfo di Venezia, sia sulla superficie che sui fondali. In questi, nella parte meridionale, si superano anche i 1000 oggetti per chilometro quadrato: il doppio rispetto la media. «L’alta densità è dovuta a diversi fenomeni», spiega Francesca Ronchi, 45 anni, ricercatrice dell’Ispra e altra italiana autrice del report. Dallo studio di Chioggia elenca tre fattori: «La vicinanza con i grandi centri urbani, Venezia appunto, la particolare corrente “anti-oraria” che c’è in questa parte dell’Adriatico e la foce del Po che getta in mare i rifiuti raccolti lungo il suo corso».
«L’Adriatico, come il Mediterraneo, è un mare chiuso con una costa densamente popolata. I costi legati alla plastica e all’inquinamento sono tanti: pensate solo alla pulizia delle spiagge dopo le mareggiate», conclude il ricercatore Fortibuoni. Rischi di cui l’Italia solo negli ultimi anni sembra essersi resa conto. Con lo stesso ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, che pochi giorni fa ha definito la spazzatura marina «una delle principali minacce all’ecosistema».
Ogni anno buttiamo nel mare, 500 miliardi di sacchetti della spesa. Milioni di tonnellate che uccidono tartarughe e pesci. Ora li mangiamo pure noi
Da lontano non le vedi. Ci devi navigare in mezzo per accorgerti che i limiti delle «isola di plastica» non sono ben definiti: miliardi di frammenti sospesi appena sotto il pelo dell’acqua. Una “zuppa” di plastica, non una terraferma. Cinque vortici di dimensioni continentali (meglio che chiamarle isole, visto che risucchiano letteralmente materiali, come in un Wc), uno per ciascun oceano del mondo. E diversi più piccoli, come nel Mediterraneo. Identificati per la prima volta da Charles Moore nel 1997 si stanno ingrandendo anno dopo anno. Calcolando, al massimo, 250 grammi di plastica ogni 100 metri quadri, si arriva all’incredibile cifra (stimata da Moore) di sette miliardi di tonnellate per ciascuno di quei vortici. Sette miliardi di tonnellate di plastica.
Sacchetti killer
Alle nostre latitudini nel Mar Mediterraneo, si calcolano 27 rifiuti galleggianti per chilometro quadro, quasi tutti di plastica. Reti, boe, lenze, cassette e contenitori (attrezzature da pesca), che si frantumano e contaminano tutto: nell’oceano Pacifico, a Kamilo Beach (isole Hawaii), ci sono ormai più frammenti di plastica che granelli di sabbia. Però sono soprattutto sacchetti (shopping bag), di cui se ne fabbricano 500 miliardi all’anno (e pensare che nel 1970 nemmeno esistevano), che costituiscono circa il 40% dei rifiuti marini del Mediterraneo, mangiati dalla tartarughe marine, che li scambiano per meduse, soffocando.
Il mondo moderno produce 14 milioni di penne a sfera al giorno, diversi milioni di accendini usa e getta e svariati miliardi di tappi di bottiglie di plastica. E se c’è una cosa al mondo che mina la catena alimentare ai vertici, quella cosa sono i tappi colorati: circa un trilione all’anno, tutti in indistruttibile polipropilene. Per questo muoiono gli albatri Laygan, convinti di ingollare un gamberetto.
Un nuovo plancton Ogm
Un problema solo per gli animali? Non proprio. Per la grandissima parte la zuppa di plastiche è composta di frammenti minutissimi e sempre più piccoli, tanto che il plancton oceanico è diventato ormai tutt’uno con quei pezzetti. Una chimera genetica gelatinosa e raggrumata (il rapporto è sei parti di plastica per uno di zooplancton). Si tratta soprattutto di polietilene e polipropilene, ma anche di frammenti più pesanti come poliammidi e vernici, oltre a policaprolactone, un polimero considerato biodegradabile. Questa microplastica è costituita da frammenti più piccoli di 2 millimetri che, per quanto non visibili a occhio nudo, sono stati trovati a galleggiare pressoché ovunque nel Mediterraneo, con concentrazioni tra le più alte al mondo.
Nel vortice subtropicale del Pacifico settentrionale, nel 1999, sono stati stimati circa 335.000 frammenti di plastica per chilometro quadro, mentre nel Mediterraneo si parla di una media di circa 1,25 milioni. Nel tratto di mare tra la Toscana e la Corsica è stata rilevata la presenza di circa 10 chilogrammi di microplastiche per chilometro quadro, contro i circa 2 presenti a largo delle coste occidentali della Sardegna e della Sicilia e lungo il tratto nord della costa pugliese (dati Ismar-Cnr).
Nel mezzo dei mari si trova in realtà un enorme monumento alla nostra inefficacia nella raccolta differenziata delle materie plastiche. Ma forse qualcosa di più. Pezzettini minuti di plastica che imitano perfettamente il plancton e danno vita al primo organismo naturale mutato per via artificiale: in appena mezzo secolo di vita, la plastica è diventata essa stessa plancton. E noi ce la mangiamo senza neanche accorgercene.
L’indistruttibile non esiste
Ma come è possibile? Non era indistruttibile la plastica? Non era impossibile che si decomponesse e rilasciasse materiale, insomma, che, alla fine, inquinasse anch’essa? E di chi è la colpa, delle tartarughe che sono troppo stupide e non distinguono un celenterato da un sacchetto per la spesa? L’uomo inventa la plastica, un materiale a contenuto tecnologico incommensurabile rispetto a ognuno dei materiali naturali, e anche a quelli artificiali, fino a quel momento creati. È un materiale agile, che corre, vola e nuota. È straordinariamente resistente, ma ora abbiamo scoperto che si scioglie e si corrode, anche se solo in parte. E ha iniziato a rilasciare sostanze contaminanti a lungo termine. L’espansione delle plastiche negli oceani è inarrestabile. E non dipende dalla nostra scarsa propensione alla raccolta differenziata: realizzare oggetti monodose con la plastica è una crimine che solo il turbocapitalismo poteva inventare. Se fabbrichi armi, non è che poi puoi lamentarti con le persone che le adoperano, quando qualcuno muore.
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27 aprile 2017