Una corsa contro il tempo. Il governo conferma, con il ministro del Lavoro Poletti, l’impegno a far partire dal primo maggio l’anticipo pensionistico (Ape), per il quale non sono ancora disponibili i provvedimenti attuativi previsti dalla legge di bilancio. I decreti, già annunciati per il mese di marzo, sono stati messi a punto ma attendono ora il via libera del Consiglio di Stato, che potrebbe richiedere fino a 30 giorni. L’incontro che si è svolto ieri tra esecutivo e sindacati era in realtà dedicato al tema della pensione di garanzia per i giovani, ma è stato anche l’occasione per fare il punto della situazione proprio sull’Ape. Al momento appare probabile che i diversi strumenti individuati dalla legge facciano percorsi un po’ separati. Per quello sociale, di fatto un’indennità a carico dello Stato, lo sforzo per rispettare la scadenza è massimo, mentre per l’uscita volontaria, sotto forma di prestito, servirà probabilmente un po’ di tempo in più: dopo l’uscita dei decreti bisognerà formalizzare l’accordo con banche e assicurazioni rispettivamente sul tasso di interesse da applicare e sul premio assicurativo necessario per coprire l’ipotesi di morte del pensionato prima della completa restituzione; e va anche messa a punto con l’Inps la procedura per la certificazione dei diritti maturati, che poi dovrà essere disponibile anche agli istituti di credito. Il tasso di interesse dovrebbe comunque essere fissato al 2,75 per cento mentre il costo della polizza sarebbe al 29-30 per cento del capitale.
L’ALLARME I sindacati premono. «Siamo preoccupati per il rispetto dei tempi perché un ritardo rischierebbe di vanificare le esigenze di flessibilità» spiega il segretario confederale della Cisl Maurizio Petriccioli. E l’allarme è stato confermato da Roberto Ghiselli della Cgil e Domenico Proietti della Uil. Al di là del calendario, dal governo è arrivata solo una parziale apertura alla richiesta sindacale di allargare la platea degli aventi diritto. Il nodo principale era il requisito richiesto ai lavoratori impegnati in mansioni faticose (appartenenti a categorie come operai edili, macchinisti e conducenti di camion, facchini, infermieri che lavorano su turni, maestre d’asilo, operatori ecologici) di aver svolto questa attività in modo continuativo per gli ultimi sei anni su 36 complessivi di contribuzione: un paletto giudicato penalizzante in particolare per gli edili, spesso costretti a periodi di disoccupazione.
Siccome però i sei anni sono indicati espressamente nella legge di bilancio, non è stato possibile intervenire attraverso un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, provvedimento che ha rango legislativo minore. Servirà quindi un’altra legge e lo strumento che il governo ha individuato è un decreto imminente, con tutta probabilità quello dedicato agli enti locali. In quella sede verrà prevista una franchigia: il diritto all’Ape social scatterà anche per chi ha svolto l’attività per sei anni sugli ultimi sette. Si tratta di un compromesso (rispetto alla richiesta di 6 anni su 8) che taglierà ancora fuori una parte dei lavoratori interessati; di eventuali ulteriori allargamenti si potrà parlare alla verifica del primo periodo di Ape. Niente da fare invece per coloro che sono disoccupati a seguito della conclusione di contratti a termine: per l’accesso resta fissato il requisito della disoccupazione per licenziamento, seguita dall’esaurimento delle prestazioni sociali.
Sul tema specifico della giornata di ieri, quello dell’adeguatezza delle pensioni degli attuali lavoratori giovani, governo e sindacati hanno di fatto avviato il confronto individuando i temi che saranno poi approfonditi più in dettaglio nel prossimo incontro del 4 maggio. C’è una certa convergenza sull’individuazione delle platee beneficiarie della futura pensione di garanzia: all’interno del sistema contributivo (quindi di coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996) si darà attenzione ai parasubordinati con versamenti contributivi bassi, alle carriere discontinue, a chi aveva retribuzioni particolarmente esigue, alle donne impregnate in lavori di cura.
L’ASPETTATIVA DI VITA Dovrebbe poi essere affrontata anche una revisione del meccanismo dell’aspettativa di vita e dei coefficienti di trasformazione delle pensioni contributive, e coerentemente si parlerà anche di come potenziare la previdenza integrativa. Insomma un programma articolato che per essere discusso a fondo richiederà tra l’altro una fine ordinata della legislatura. «Cerchiamo di dare una risposta positiva ai giovani che rischiano di non avere un trattamento adeguato» ha sintetizzato Petriccioli.
Il Messaggero – 7 aprile 2017