Dalla sua casa, affacciata sul Canal Grande, ogni mattina osservava i cormorani, straordinari pescatori che volteggiavano sulla Laguna, e i piccoli toffetti, con i loro corpi tondeggianti e il becco corto, che si buttavano in acqua. Immobile, catturato da dettagli invisibili ai più, sul volto un sorriso che lasciava intuire le sue emozioni. Danilo Mainardi si è spento ieri mattina, all’età di 83 anni, a Venezia, la città che ha molto amato, come la Laguna e l’Università Ca’ Foscari «a cui ha dato tutto e da cui ha ricevuto molto», ricorda Patrizia Torricelli, la compagna, anch’essa etologa. Questa, dove si era trasferito da non molto, era la casa giusta per il suo lavoro, con «quel piano alto da cui si vede il cielo». Sarà un caso ma proprio gli uccelli erano gli animali che avevano fatto scattare in lui, ancora bambino, la passione per «le menti degli altri» che non ha mai cessato di studiare. Bambino, appunto, si era trasferito da Milano, dov’era nato, nelle campagne cremonesi, a Soresina.
Una fuga dalla città piegata dai bombardamenti americani sul finire della Seconda guerra mondiale. La madre lasciò che coltivasse l’interesse per il naturalismo. Il suo inizio furono i colombi viaggiatori, che allevò a lungo diventando espertissimo. Anche quando frequentava il liceo classico Manin a Cremona, e poi Scienze biologiche a Parma — allievo del genetista Cavalli Sforza e dello zoologo Bruno Sherrer — dove avrebbe poi fatto nascere il primo corso di etologia alla fine degli anni 80, cui è seguita la scuola internazionale di etologia a Erice.
Di questa passione non parlava spesso ma è stata uno dei bassi continui della sua vita. Lo sa chi ha avuto la fortuna di imbattersi nell’ Acchiappacolombi (Cairo editore), uno dei tre gialli etologici che ha scritto, con lo stile di uno scrittore thriller consumato. Un romanzo dove i protagonisti sono i colombi, l’ambiente degli allevatori, degli appassionati e dei circoli che organizzano gare di viaggio. E studenti, ricercatori, descritti così realisticamente da far rivivere nei libri le sue esperienze di vita alla Ca’ Foscari. Aveva mille interessi. Li coltivava con lo spirito dello scienziato. «Il suo hobby è diventato il suo mestiere», aggiunge Patrizia. «Ha vissuto con molta gioia e ha sperimentato a tutto campo». Aveva ben chiaro che la divulgazione è la strada più importante per educare il maggior numero di persone ad avere una visione corretta verso l’ambiente.
Il suo primo articolo sul Corriere , con cui iniziò a collaborare quasi 50 anni fa, raccontava degli «animali che imparano ad utilizzare i più diversi arnesi», dalle formiche che cuciono insieme le foglie alle scimmie che sanno usare le chiavi. Così, in punta di piedi, aveva poi portato nelle case degli italiani con la tv il mondo della natura. Ogni piccolo o grande animale che mostrava diventava un amico da rispettare. La sua etologia è sempre stata facile da ricordare.
Danilo Mainardi ha lasciato più di duecento pubblicazioni scientifiche, decine di libri adatti sia agli specialisti sia alla gente comune. «Era un uomo forte, coraggioso, molto allegro», lo racconta la compagna Patrizia. Non amava i piagnistei. «Aveva tanti sogni. L’ultimo, ripetuto pochi giorni prima di andarsene, era di prendere un cane dopo tanto tempo». Era anche abitudinario. Si radicava nei luoghi, come il locale alle spalle del ghetto dove portava a mangiare i suoi amici. O la Val d’Ayas e Cogne, dove presiedeva il festival dei documentari naturalistici Stambecco d’oro. Si è spento con serenità, dopo un lungo periodo di malattia. «Ci ha lasciati come poteva fare lui, nel giorno della donna e dell’uscita della sua collana dedicata agli animali sul Corriere », aggiunge Patrizia. Sarà sepolto a Casalmorano, il paese della sua infanzia. La cerimonia domani alle 15.
Paola D’Amico – Il Corriere della sera – 9 marzo 2017