Gli ingredienti centrali della riforma del pubblico impiego, approvata ieri dal Consiglio dei ministri, sono il superamento degli “organici” attuali, sostituiti da una programmazione che potrà differenziare i vincoli di turn over anche all’interno dei singoli settori della Pa, con l’intenzione di “premiare” gli enti in base alle attività svolte e quindi al bisogno di personale per garantirle. Ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare e a valutare la performance con riferimento all’amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti o gruppi di dipendenti. Gli organismi indipendenti di valutazione dovranno verificare l’andamento delle performance rispetto agli obiettivi programmati durante il periodo di riferimento e segnalare eventuali necessità di interventi correttivi. Viene riconosciuto, per la prima volta, un ruolo attivo dei cittadini ai fini della valutazione della performance organizzativa,
Questo mediante la definizione di sistemi di rilevamento della soddisfazione degli utenti in merito alla qualità dei servizi resi. Tra gli altri obiettivi della riforma del pubblico impiego c’è il «superamento» del precariato, con una doppia mossa. La prima è un piano straordinario di assunzioni di chi ha maturato almeno tre anni di servizio anche non continuativo, da attuare con concorsi riservati per i precari che non hanno superato selezioni in passato; la seconda è lo stop alle co.co.co.
LA RIFORMA VOCE PER VOCE
CODICE DISCIPLINARE E LICENZIAMENTI
Prima modifica all’art. 18, tetto di 24 mesi agli indennizzi
Dopo mesi di discussioni, non solo tra gli addetti ai lavori, arriva il primo chiarimento normativo sul regime di tutela applicabile ai dipendenti pubblici in caso di licenziamento illegittimo: nella Pubblica amministrazione resta confermata la reintegra pre legge Fornero per tutti i casi di recesso ingiustificato. Ma una novità c’è, e arriva sul fronte dei risarcimenti, con l’introduzione di un tetto di 24 mesi agli indennizzi a favore dei lavoratori riammessi in ufficio. La differenza rispetto a oggi è questa: attualmente in caso di licenziamento illegittimo, oltre alla tutela reale, l’interessato ha diritto a un ristoro economico pressoché illimitato che copre il periodo che è stato espulso dall’ufficio fino al suo effettivo ritorno. Da domani, il risarcimento verrà limitato a 24 mesi.
A essere riscritta è poi la normativa sui procedimenti disciplinari, e più in generale sulla responsabilità disciplinare: sono ampliate le ipotesi di licenziamento ed estese le procedure accelerate (sospensione in 48 ore e licenziamento in 30 giorni) a tutti i casi di flagranza. Anche nei procedimenti ordinari, secondo il testo esaminato ieri dal consiglio dei ministri l’iter dovrà concludersi in 60 giorni e, dato cruciale, i vizi formali non faranno più decadere procedimento e sanzione.
Più in generale, il procedimento viene unificato, come pure la competenza in capo all’Ufficio per il procedimento disciplinare (l’Upd). Al dirigente resta confermata la possibilità di irrogare sanzioni «di minore gravità». L’iter sarà più spedito, e si potrà proseguire e concludere il procedimento disciplinare che abbia a oggetto fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria.
ASSUNZIONI
Spazi aggiuntivi per le Pa con costi «leggeri» di personale
Al via il superamento degli organici attuali che saranno sostituiti da una programmazione che potrà differenziare i vincoli di turn over anche all’interno di singoli settori della pubblica amministrazione. Obiettivo del decreto legislativo che interviene sul testo unico del pubblico impiego, è infatti quello di premiare gli enti in base alle attività svolte e quindi al bisogno di personale necessario per garantirle. Per questo le Pa dovranno adottare un piano triennale dei fabbisogni di personale. Su questi dovranno essere parametrati i concorsi per le nuove assunzioni. Con la possibilità di ottenere spazi aggiuntivi di assunzione laddove il costo attuale del personale è più basso. Un parametro possibile è il rapporto fra le spese per gli stipendi e le entrate stabili di ogni ente, mentre per gli enti territoriali è stato ipotizzato un sistema premiale per chi, oltre a tenere basse le spese di personale in rapporto alle entrate, ha mantenuto livelli virtuosi di salario accessorio e ha rispettato i vincoli generali di finanza pubblica.
Questo sistema, nel testo esaminato ieri dal consiglio dei ministri, servirebbe a distribuire un doppio premio: spazi più ampi per le assunzioni e maggiori risorse da dedicare ai fondi per il salario accessorio. L’ipotesi è di limitarlo inizialmente a una sperimentazione triennale, per valutarne i risultati e su questa base deciderne un eventuale ampiamento strutturale.
Il piano dei fabbisogni dovrà indicare le risorse finanziarie, nei limiti di quelle disponibili a legislazione vigente, necessarie per coprire il fabbisogno di personale e la sua attuazione del piano è subordinata alla verifica della disponibilità di quelle risorse. Le assunzioni che non rispettano il piano saranno nulle.
PRECARI/1
Stop ai cococo e vincoli per i contratti a termine
Oltre al piano straordinario per riassorbire i precari della pubblica amministrazione (si veda scheda a fianco), sono messi paletti per evitare che si formi nuovo precariato. L’obiettivo è chiudere anche nella Pubblica amministrazione l’epoca delle collaborazioni coordinate e continuative, chiedendo contemporaneamente agli uffici pubblici di limitarsi ai contratti a termine, di somministrazione e alle altre forme flessibili previste nel privato: con il vincolo di fare ricorso a questo tipo di contratti solo per esigenze «eccezionali e temporanee», con la responsabilità dirigenziale a carico dei vertici amministrativi che utilizzano come normali lavoratori subordinati i titolari di contratti flessibili. Tutti questi contratti, comunque, resterebbero vietati nelle amministrazioni che devono riassorbire i propri precari con il piano straordinario triennale.
In dettaglio, il testo prevede che le amministrazioni pubbliche possano «stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle altre forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa», ma «soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale».
In aggiunta, «non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato – si aggiunge – le amministrazioni pubbliche sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato».
PRECARI/2
Piano triennale per stabilizzare i contratti a tempo determinato
Superare il precariato, valorizzare le professionalità acquisite e ridurre il ricorso ai contratti a termine. Con questo obiettivo la bozza del nuovo testo unico del pubblico impiego dà il via a un piano triennale straordinario di assunzioni 2018-2020. Le pubbliche amministrazioni in base ai propri fabbisogni e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria potranno assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che ha un rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato, già selezionato con concorso, che abbia maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione. Non potranno essere comunque superati i tetti generali di spesa del personale. Nello stesso triennio le Pubbliche amministrazioni, per il personale precario che invece non è già passato attraverso selezioni, potranno bandire concorsi con riserva: anche in questo caso il requisito è quello di aver maturato almeno 3 anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi 8 , alle dipendenze dell’amministrazione che bandisce il concorso. Tutta l’operazione andrà portata avanti in coerenza con il piano triennale di fabbisogni di personale, che le Pa dovranno adottare per ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini. La disciplina per superare il precariato potrà essere applicata anche dai Comuni che non hanno rispettato il pareggio di bilancio nel 2016. Le Regioni a statuto speciale e gli enti territoriali compresi nel loro territorio potranno assumere a tempo indeterminato, nello stesso periodo, personale con contratto a termine con gli stessi requisiti previsti per le altre Pa elevando i limiti finanziari anche utilizzando risorse ottenute con interventi di revisione della spesa certificate dai revisori
FONDI DECENTRATI
Prove di semplificazione per i contratti integrativi
Nel decreto che rimette mano al testo unico sul pubblico impiego spunta anche una norma che punta a semplificare la costituzione e l’utilizzo del fondo per il salario accessorio, una problematica particolarmente sentita dali enti locali. Oggi la costituzione di questi fondi decentrati, che raccolgono le risorse per finanziare le indennità fisse e variabili della busta paga, distinte per personale dipendente e dirigentiri,chiede un lavoro complesso e non del tutto semplice. Da qui la decisione di intervenire con una misura che in sostanza prevede il riordino, la razionalizzazione e la semplificazione della disciplina in materia di dotazione e di utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa.
Il decreto prevede in sostanza che le norme attuative siano rimesse alla contrattazione collettiva nazionale a cui spetterà appunto il riordino anche attraverso il consolidamento, per le amministrazioni in regola con i vincoli di contenimento della spesa, della consistenza della componente variabile dei fondi e tenuto conto delle esigenze di continuità dei servizi resi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Un consolidamento della parte variabile che potrebbe nei fatti tradursi in una legittimazione di tutte le poste presenti, anche se spesso i calcoli che le hanno determinate non sono stati in linea con la legge. Nelle ultime bozze è rientrato anche un allargamento della sanatoria sui contratti decentrati illegittimi che sono stati individuati negli ultimi tempi dagli ispettori della Ragioneria generale e della Corte dei conti. I recuperi delle somme di troppo erogate in passato non dovrebbero tagliare di oltre il 25% i fondi per il salario accessorio: se i fondi da recuperare sono molti è quindi possibile che il calendario dei recuperi si allungherà.
PREMI E VALUTAZIONI
Contratto di nuovo al centro per la distribuzione dei premi
Addio alla centralità della norma (prevista dalla riforma Brunetta di qualche anno fa rimastra peraltro sulla carta) e ritorno ai contratti nazionali per rimettere in moto i sistemi di valutazione dei dipendenti pubblici e la distribuzione dei premi di performance.
La «valutazione delle performance» riguarderà prima di tutto gli uffici nel loro complesso, e in seconda battuta i singoli dipendenti. La nuova riforma riparte dagli obiettivi, prevedendone due livelli. Gli obiettivi «generali» saranno indicati dalla Funzione pubblica, e nel caso degli enti territoriali i provvedimenti avranno bisogno dell’intesa con gli amministratori di Regioni ed enti locali. A definirli saranno le «priorità strategiche» del Paese, che andranno diversificate a seconda dei settori dell’amministrazione: fra queste priorità, a puro titolo di esempio, ci potranno essere parametri come il rispetto dei tempi di pagamento ai fornitori, l’accelerazione delle procedure, l’aumento dei servizi digitali, il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la capacità di riscossione delle entrate proprie e così via. Gli obiettivi specifici di ogni amministrazione saranno fissati dai vertici politici e amministrativi dell’ente.
Saranno i dirigenti i responsabili dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori, mentre i contratti nazionali dovranno garantire la «significativa differenziazione» dei giudizi, a cui dovrà corrispondere una «effettiva diversificazione dei trattamenti economici». Resta l’obbligo di dedicare ai premi, collettivi e individuali, la «quota prevalente» dei trattamenti accessori.
RAPPORTO LEGGE-CONTRATTO
Più voce ai contratti ma non sull’organizzazione
Il testo unico sul pubblico impiego interviene anche sul delicato rapporto tra legge e contrattazione collettiva, chiarendone i rispettivi contorni: nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del salario accessorio, della mobilità, le nuove norme specificano che la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Si evidenzia poi come siano escluse dalla negoziazione con i sindacati le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, e la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali.
Si stabilisce, poi, che la quota prevalente delle risorse complessivamente destinate al salario accessorio sia devoluta al trattamento collegato alla performance organizzativa (e non più individuale).
La contrattazione collettiva inoltre disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. La durata viene stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella economica.
I contratti collettivi nazionali potranno, ancora, individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata; mentre i contratti collettivi nazionali di lavoro dovranno prevedere apposite clausole che impediscono incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i dati sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede di contrattazione integrativa, rilevati a consuntivo, evidenzino significativi scostamenti rispetto ai dati medi annuali nazionali o di settore.
VISITE FISCALI UNICHE
Tutti i controlli all’Inps e reperibilità armonizzata
Gli accertamenti medico-legali sui dipendenti pubblici assenti dal servizio per malattia passano in via esclusiva all’Inps, che potrà effettuarli d’ufficio o su richiesta con oneri a carico dell’Inps che provvede «nei limiti delle risorse trasferite delle amministrazioni interessate». A regolare i rapporto tra Inps e i medici di medicina fiscale saranno specifiche convenzioni da stipulare con i sindacati sulla base di un atto di indirizzo adottato con decreto del ministro del Lavoro, di concerto con il ministro per la Semplificazione e la Pa, il ministro della Salute, sentite la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
In caso di malattia per un periodo superiore ai dieci giorni e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare «l’assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale» si legge nella bozza del decreto entrato ieri in Consiglio dei ministri. La certificazione media potrà marciare esclusivamente per via telematica e, oltre all’Inps, potrà su richiesta dell’interessato essere inviata anche alla sua mail privata. Per armonizzare la disciplina dei controlli sulle assenze per malattia tra settore pubblico e settore privato si rimanda poi a un ulteriore decreto del ministro per la Semplificazione e la Pa (sempre in concerto con il Lavoro) per stabilire le fasce orarie di reperibilità per le visite mediche. Sul tema nelle scorse settimane il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha auspicato una uniformità proponendo una reperibilità uguale per tutti di sette ore al giorno. Oggi le fasce di reperibilità sono di quattro ore al giorno per il settore privato e di sette ore per i dipendenti pubblici.
Il testo del decreto per la riforma del testo unico sul pubblico impiego
La relazione illustrativa
Il Sole 24 Ore – 24 febbraio 2017