«La vicenda dell’inquinamento da Pfas è ben lungi dall’essere conclusa. Emerge evidente la grande confusione che regna nella gestione delle sostanze perfluoroalchiliche da parte della Regione e del Ministero dell’ambiente, gestione che ha minato l’efficacia dei risultati». È forse il passaggio più inquietante della relazione approvata a maggioranza ieri dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta da Alessandro Bratti. Il documento ripercorre fin dall’inizio (2013) e nella sua gravità il caso che sta mettendo sotto scacco la popolazione di buona parte delle province di Vicenza, Padova e Verona, ma che attraverso lo smaltimento di fanghi e rifiuti contaminati si sta allargando ad altre aree. A comparire di fronte alla Commissione nel corso dei mesi i ricercatori del Cnr che per primi hanno rivelato la presenza delle particelle nella falda acquifera dell’ovest vicentino, poi politici, medici e tecnici di Arpa Veneto responsabili dei rilevamenti in loco. La relazione
Ne emerge un quadro pieno di ombre di fronte al quale i parlamentari non nascondono grande preoccupazione. I Pfas, riporta la relazione, sono a tutti gli effetti «sostanze pericolose» secondo la normativa in vigore dal 2006. Nel mirino della Commissione, ancora una volta, l’azienda Miteni con sede a Trissino, dalla quale proviene il 97% dei Pfas che inquinano le acque del bacino Fratta-Gorzone. Appare evidente ai parlamentari che l’attuale barriera formata da 20 pozzi non è sufficiente a bloccare la fuoriuscita di composti dal sito: ma la situazione più critica riguarda il torrente Poscola che scorre a fianco dell’azienda e nel quale vengono sversate le acque di raffreddamento. «È necessario e urgente intervenire direttamente all’origine del problema», scrive la Commissione, depurando tutti gli scarichi della società, compresi quelli che recapitano le acque in fognatura. Per far questo è necessario mettere ordine alla confusione sui limiti agli scarichi generata dagli interventi successivi di Regione Veneto e Ministero dell’ambiente. Un compito spetta alla provincia di Vìcenza – responsabile per le autorizzazioni ambientali per la chimica dal 2015. Vista la situazione, secondo i commissari, per l’azienda si configurano gli estremi per i reati di avvelenamento di acque destinate all’alimentazione, ma anche il reato di inquinamento ambientale per aver superato i limiti di scarico. Sul fronte sanitario, la commissione attende i primi dati del biomonitoraggio in corso su 85 mila veneti, ma nel maggio 2016 ha conferito l’incarico di valutare gli effetti dei Pfas sulla salute al professor Gianluca Maria Farinola dell’università di Bari. Gli studi in alcuni casi si contraddicono, ma nonostante questo emerge un quadro per cui alcuni tipi di tumore, disordini del sistema endocrino, problemi cardiovascolari e disturbi della fertilità sembrano dipendere dall’accumulo di Pfas nell’organismo. Perciò Farinola incita alla «massima precauzione».
Al proposito la Commissione ha acquisito anche lo studio condotto fin dal 2000 dal professor Giovanni Costa sui dipendenti della Miteni. Ne emergono valori di perfluori nel sangue esorbitanti (pari anche a 20 mila nanogrammi per litro), ma gli esiti degli esami ematici e urinari correlati risultano coperti da omissis che destano «preoccupazione» e «qualche dubbio in più» secondo i parlamentari, perché non permettono di misurare le reali condizioni di salute di oltre 120 lavoratori. (L’Avvenire, 9 febbraio 2017)
COMMISSIONE ECOMAFIE: «ACQUE AVVELENATE, SALUTE A RISCHIO. L’INQUINAMENTO DA PFAS È UN CRIMINE»
Una contaminazione trentennale, silenziosa, gravemente nociva all’uomo e all’ambiente quella provocata dai Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche di produzione industriale che hanno avvelenato il cuore del Veneto, dove l’epicentro vicentino si irradia nel Veronese e nell’Alta Padovana, fino a lambire la Marca trevigiana, il Veneziano e il Polesine, inquinando acque superficiali e falde di un’area estesa su 180 chilometri quadrati e popolata da oltre 300 mila persone. È una verità inquietante, a lungo occultata da menzogne e omissioni, quella che la Commissione parlamentare ecomafie riassume nella relazione conclusiva approvata ieri. Un documento di 98 pagine con cinque capisaldi dai quali risulta: 1) «Che le acque che la Miteni scarica nel depuratore consortile e anche nel torrente Poscola contengono sostanze perfluoroalchiliche, con concentrazioni rilevanti di Pfoa e di Pfos»; 2) «Che tali sostanze appartengono alla classe dei composti organici alogenati, con la conseguenza che rientrano nell’elenco delle sostanze pericolose»; 3) «Che, per quanto sopra osservato sulla particolare natura dei terreni, le acque contaminate percolano nell’acqua di falda idropotabile»; 4) «Che il principale veicolo dei Pfas è l’acqua, sia per uso potabile che agricolo e zootecnico»; 5) «Che la popolazione esposta assorbe le sostanze perfluoroalchiliche, che si accumulano nel sangue in concentrazioni molto più alte rispetto alla popolazione non esposta».
L’EVIDENZA DEL REATO PENALE. Parole come pietre. Che inducono i commissari a trarre conseguenze inequivocabili sul piano delle responsabilità: «Così descritta la situazione in fatto, appare ben difficile non ritenere la sussistenza del reato di cui all’articolo 439 del codice penale (avvelenamento di acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo). In realtà, alla luce della giurisprudenza citata, l’avvelenamento delle acque di cui all’articolo 439 del codice penale sussiste quando le stesse sono potenzialmente idonee a produrre effetti tossi co-nocivi per la salute, e non solo inquinate. Afferma ancora la giurisprudenza che non deve trattarsi necessariamente di potenzialità letale, essendo sufficiente che il composto inquinante abbia la potenzialità di nuocere alla salute».
Fino alla divergenza rispetto al capo della Procura berica, Antonino Cappelleri, che ha attribuito la difficoltà nel reperire le prove al vuoto normativo in materia: «Non è possibile negare tout court, come sembra sostenere il procuratore della Repubblica di Vicenza, che le sostanze perfluoroalchiliche non abbiano la potenzialità di nuocere alla salute umana, posto che un dato risulta acclarato in modo abbastanza pacifico e, cioè, che i Pfas sono sostanze che, accumulandosi nell’organismo umano, si comportano da interferenti endocrini (in particolare, nel metabolismo dei grassi, con sospetta azione estrogenica) e da sospetti cancerogeni, secondo lo studio del Cnr e la letteratura internazionale».
UNA PRECISA RESPONSABILITÀ. La multinazione di Trissino, per voce dell’ad Antonio Nardone, nega ogni responsabilità e rivendica i progressi compiuti grazie agli investimenti sul versante ambientale. Ma la commissione non concede sconti: «Miteni spa, in seguito alle prescrizioni dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ha potenziato i sistemi di filtrazione e ciò «ha prodotto qualche miglioramento, con un trend in diminuzione dei Pfas sia in concentrazione, sia in flusso di massa». Progressi insufficienti, perché «l’azienda è insediata in area di ricarica di falda, in presenza di un acquifero indifferenziato, sicché è altamente probabile che questa contaminazione contribuisca all’inquinamento della falda a valle, tanto più che la presenza pluridecennale sul sito di queste tipologie di produzioni fa presagire una contaminazione di natura storica».
Affermazioni coincidenti con il rapporto inviato alla Regione (e alla magistratura) dal direttore della sanità veneta, Domenico Mantean, convinto che la permanenza produttiva di Miteni nel sito sia del tutto incompatibile con l’habitat circostante fitto di falde e risorgive.
QUELLA MINACCIA IN AGGUATO. «La caratteristica che rende potenzialmente pericolosi i Pfas è costituita dal fatto che si accumulano non nel grasso, bensì nel sangue e nel fegato e si legano alle proteine in generale, rendendosi cosi biologicamente più disponibili, con lunghi tempi di eliminazione dall’organismo», commenta Alberto Zolezzi, medico ospedaliero e deputato del M5S nella commissione Ecomafie «i composti Pfos e Pfoa, poi, possono attraversare la placenta, esponendo i neonati a queste sostanze contenute nel sangue materno». Soluzioni? «La linea Pfas della Miteni deve chiudere, va velocizzata la messa in sicurezza e intrapresa la bonifica dello stabilimento, i lavoratori vanno sottoposti a screening sanitario e il rapporto sul monitoraggio della filiera agroalimentare va pubblicato in tempi rapidi».
MANTOAN, IL DIRETTORE-CAVIA. Chiamato in causa anche Mantoan, che risiede a Brendola, nella “zona rossa” dei veleni: «II direttore si è sottoposto a cinque sedute di plasmaferesi nell’ambito di un verosimile studio clinico di cui non sono stati resi noti gli esiti, costato 3 mila euro di soldi pubblici. Se il trattamento è stato efficace va offerto a tutti i veneti contaminati a spese degli inquinatori e di chi ha lasciato fare». (Filippo Tosatto, Il Mattino di Padova – 9 febbraio 2017)
E ORA INDAGHERÀ ANCHE LA REGIONE. VIA LIBERA UNANIME IN COMMISSIONE. «FARE CHIAREZZA È DOVEROSO»
«La Prima commissione ha approvato l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sul tema dei Pfas», annuncia il presidente leghista Marino Finozzi «questo inquinamento ha colpito in maniera pesante buona parte del territorio di Vicenza, Verona e Padova, perciò dobbiamo comprenderne genesi, effetti e responsabilità. La commissione d’inchiesta è stata proposta dal gruppo del Movimento 5 Stelle e i commissari hanno votato all’unanimità la sua istituzione. Si tratta di fare chiarezza rispetto a quanto è successo, fotografando la situazione attuale e specificando quali potranno essere i provvedimenti che la Regione, la quale sulla questione è parte lesa, può adottare per far si che le conseguenze dell’inquinamento siano ridotte al minimo possibile». A margine dei lavori è intervenuto anche il capogruppo del M5s, Jacopo Berti, che sarà relatore in aula del provvedimento: «È un grandissimo risultato per tutti i cittadini veneti. Il sostegno unanime delle forze politiche alla commissione d’inchiesta sui Pfas, l’agente inquinante che interessa ed intossica 350 mila persone, rappresenta finalmente un momento di resposanbilità e un gesto di trasparenza importantissimo perché stiamo parlando di una contaminazione potenzialmente mortale. La Commissione sarà una risposta all’incapacità di dare ai cittadini veneti la sicurezza necessaria per mettere al sicuro la famiglia e la propria vita». (IL Mattino di Padova – 9 febbraio 2017)
9 febbrauio 2017