Passa alla Camera la disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata. Il testo, approvato a Montecitorio con 326 voti a favore, 23 contrari (i gruppi Lega e Cor) e 27 astenuti, ora andrà all’esame al Senato. Si profila quindi un giro di vite sulla ristorazione a casa: regole e limiti ben precisi. Con una serie di definizioni terminologiche a cui attenersi. La legge, la prima in assoluto in Italia che regola uno dei tanti rami in cui si è sviluppata in questi anni la sharing economy, detta le norme dei ristoranti «fatti in casa» e tutte le attività di «social eating» che viaggiano sul web. Un fenomeno che negli ultimi anni ha preso sempre più piede come il car sharing e la stanze di casa affittate grazie ad AirBnb, che ha visto fiorire tante piattaforme di prenotazione. E ha consentito a molti italiani con la passione della cucina (soprattutto donne) di arrotondare un poco i loro guadagni trasformando case, terrazze e giardini in ristoranti aperti a turisti, avventori o semplici curiosi. Tutti trattati come ospiti personali del padrone di casa-cuoco e però paganti. In media 20 euro o poco più a pasto.
In tutto, secondo un’indagine della Fiepet Confesercenti, già nel 2014 si contavano 7mila cuochi in attività con circa 37mila eventi realizzati un anno ed un incasso medio 198 euro. Cene prenotate utilizzando Facebook, WhatsApp oppure una delle tante piattaforme web nate in questi anni, da Gnammo a Le Cesarine, da Vizeat a Eatwith.
Tutto tracciato
La legge si compone di sette articoli ed è il frutto dell’unificazione delle proposte avanzate nei mesi scorsi da Pd, 5 Stelle, Sinistra italiana e Area popolare. Stabilisce che tutte le attività classificate come «home restaurant» si debbano avvalere di piattaforme tecnologiche che possono prevedere commissioni sul compenso di servizi erogati e su cui vigilerà il ministero dell’Economia. Occorre registrarsi almeno 30 minuti prima di fruire del pasto e pure la cancellazione del servizio prima della sua fruizione deve rimane tracciata. Idem i pagamenti, ammessi esclusivamente attraverso sistemi elettronici (carta di credito o bancomat).
Va da se che le abitazioni private utilizzate per le cene devono possedere tutti i requisiti igienico sanitari previsti da leggi e regolamenti ma non è previsto un cambio di destinazione d’uso dei locali. Rispetto al testo iniziale la Camera, accogliendo un emendamento del Pd, ha cancellato l’obbligo per i cuochi di conseguire un attestato HACCP sulla gestione dei rischi legati all’igiene dei prodotti alimentari. Spetterà però al ministero della Salute definire le «buone pratiche di lavorazione e di igiene, nonchè le misure dirette». Cancellata, per effetto di un altro emendamento sempre del Pd, anche la comunicazione al proprio comune di residenza della Segnalazione certificata di inizio attività (Scia). In questo caso saranno invece direttamente le piattaforme web che raccolgono le prenotazioni a comunicare ai comuni per via digitale le unità immobiliari registrate dalla piattaforma presso le quali si svolgono le attività di ristorazione. Resta invece confermato l’obbligo di dotarsi di una assicurazione per la responsabilità civile verso terzi.
Un altro vincolo riguarda la dimensione di questo tipo di attività: è infatti fissato un tetto massimo di coperti (non oltre 500 in un anno) ed un tetto per i compensi, che non possano superare i 5mila euro all’anno, importo sul quale trattandosi di attività saltuaria non si pagano tasse. Se però questa soglia viene superata scatta l’obbligo di dotarsi di partita Iva e di iscrizione all’Inps e poi ovviamente si entra nel normale regime fiscale. In base ad un altro emendamento ritirato dal Pd e fatto proprio da Civici ed innovatori, le norme della legge non si applicheranno se il cuoco organizzerà meno di 5 eventi culinari all’anno: in quel caso si tratterà solo di «social eating». Cancellato invece dal testo finale il tetto di 10 coperti previsti per un singolo evento.
Confedilzia protesta
«E’ vero che il mondo va avanti e la sharing economy non si può fermare, però tutti devono rispettare il principio che se si opera nello stesso mercato tutti devono rispettare le stesse regole» spiega Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe Confcommercio. «In gioco non c’è solo la tutela degli interessi degli imprenditori – spiega – ma anche la tutela dei consumatori, perché col cibo non si può certo scherzare. Quindi ben venga la nuova legge». Tanto più ora, sostiene Stoppani, che la sharing economy ha cambiato natura ed «è diventata ostaggio delle grandi piattaforme digitali, le uniche a guadagnarci davvero». A chi opera nel settore invece la nuova legge va stretta. Protestano molti operatori del settore e protesta in particolare la Confedilizia: «La Camera dei deputati ha varato una normativa che, anzichè “Disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata”, dovrebbe essere più propriamente intitolata “Ostacoli all’attività di ristorazione in abitazione privata”». Secondo i proprietari di case, infatti, nel testo: «si leggono esclusivamente limitazioni, divieti, vincoli, restrizioni rispetto ad un modo con il quale alcuni italiani tentano di darsi da fare per migliorare la propria condizione, nello stesso tempo contribuendo a muovere un’economia asfittica come la nostra». «Ancora una volta – conclude Confedilizia – la furia regolatoria del legislatore italiano si avventa sulla libera iniziativa privata, pretendendo di determinarne ogni singolo aspetto ma finendo per affossarla o condannarla al sommerso. Non ci resta che sperare nel Senato».
Confcommercio brinda
«In gioco non c’è solo la tutela degli interessi degli imprenditori – spiega – ma anche la tutela dei consumatori, perché col cibo non si può certo scherzare. Quindi ben venga la nuova legge». Tanto più ora, sostiene Stoppani, che la sharing economy ha cambiato natura ed «è diventata ostaggio delle grandi piattaforme digitali, le uniche a guadagnarci davvero». A chi opera nel settore invece la nuova legge va stretta. «Risponde a tutti i desiderata degli esercenti: è tagliata sulle loro esigenze» spiega Michele Ruschioni, giornalista e blogger romano. Lui con la moglie aveva avviato una attività di home restaurant, «ma ormai da 17 mesi, da quando il ministero dello Sviluppo ha emanato le prime direttive, abbiamo sospeso tutto. E come noi tanti altri. Perché la confusione era tale che fioccavano multe salatissime».
La scheda – home restaurant
Una cena tra perfetti sconosciuti in un’abitazione privata, ospiti (paganti) del padrone-chef. L’home restaurant, letteralmente «ristorante fatto in casa» è una delle tante facce della sharing economy: chi ha la passione per la cucina e la convivialità arrotonda trasformando le proprie abitazioni e terrazze in ristoranti aperti a turisti o avventori locali. Il contatto si stabilisce via web: su una delle tante piattaforme di «social eating» si seleziona l’evento, si prenota e si paga. La capofila in italia è Grammo.com, dove si può prenotare il brunch da 10 euro fino a cene sofisticate da 40. Per tutti i palati e i portafogli
Una cena tra perfetti sconosciuti in un’abitazione privata, ospiti (paganti) del padrone-chef. L’home restaurant, letteralmente «ristorante fatto in casa» è una delle tante facce della sharing economy: chi ha la passione per la cucina e la convivialità arrotonda trasformando le proprie abitazioni e terrazze in ristoranti aperti a turisti o avventori locali. Il contatto si stabilisce via web: su una delle tante piattaforme di «social eating» si seleziona l’evento, si prenota e si paga. La capofila in italia è Grammo.com, dove si può prenotare il brunch da 10 euro fino a cene sofisticate da 40. Per tutti i palati e i portafogli
“Una legge all’italiana per tutelare le lobby”
«Apprezzo l’intento di regolare il nostro settore – spiega Cristiano Rigon, ceo e cofondatore di Gnammo, il più grande portale italiano dedicato agli eventi conviviali casalinghi – .Forse però sarebbe stato meglio normare a livello generale tutta la sharing economy e poi valutare quali paletti mettere nei singoli settori».
E perchè non è andata così?
«Questa nuova legge è stata molto spinta dalle associazioni di categoria, un po’ all’italiana, a tutela di certe lobby. Cosa che comprendo, anche se io in tutte le sedi ho sempre spiegato che l’home restaurant non fa assolutamente concorrenza ai ristoranti tradizionali. È tutta un’altra cosa a partire dai numeri».
Obiezione principale della Fipe: ci sta bene la concorrenza ma con le stesse regole, a partire dai controlli sanitari.
«Io sui molti punti della legge sono d’accordo, ad esempio sull’Haccp mi sta bene che ci sia della formazione. Ma deve essere declinata in chiave domestica: è inutile insegnare alla signora Maria il corretto utilizzo della cella frigo, che tanto lei non l’avrà mai. Meglio spiegarle come mantenere bene la sua lavastoviglie».
Cos’altro non vi sta bene?
«Il tetto al giro d’affari fissato a 5mila euro, in pieno contrasto con le indicazioni dell’Unione europea che suggerisce di non limitare la sharing economy».
Se si supera questo limite si rientra nel normale regime fiscale…
«Ma se li imponiamo come tetto di fatturato li raggiungiamo abbastanza in fretta e non consentiamo a questo tipo di attività di svolgersi. E creiamo i presupposti perché in molti poi si rifugino nel nero».
Altro che non funziona?
«L’obbligo di comunicare ai comuni l’inizio attività attraverso il meccanismo della Scia. Anche questa è una scelta assolutamente distonica con l’intenzione di normare una attività non professionale».
La Stampa – 17 gennaio 2017