di Gianni Trovati. Riparte la macchina della riforma Madia, dopo lo stop forzato per la crisi di governo, e punta innanzitutto a portare al primo consiglio dei ministri utile i tre correttivi necessari a rimettere in sesto le riforme di partecipate, dirigenza sanitaria e licenziamenti per gli assenteisti, al centro dei decreti in vigore ma azzoppati dalla sentenza 251 di novembre della Corte costituzionale. L’obiettivo è quello di effettuare il passaggio in consiglio dei ministri in tempo utile per portare i nuovi decreti alla Conferenza Stato-Regioni del 19 gennaio, quando ci dovrebbe essere anche una riunione dell’Unificata con gli enti locali. In alternativa, se il malore che ha colpito il premier dovesse allungare un po’ i tempi, l’appuntamento in Conferenza slitterebbe al 2 febbraio. In ogni caso, nei programmi l’iter è accelerato, anche perché i correttivi dovrebbero confermare in larga parte i contenuti dei decreti originari, e punta al traguardo entro la fine di febbraio.
Entro lo stesso termine arriverà il decreto sul pubblico impiego, che oltre a tradurre in pratica i contenuti dell’intesa di fine novembre sui parametri flessibili per i premi di produttività dovrebbe proporre alcune novità importanti sui dirigenti, in particolare per quel che riguarda i loro compiti e la soprattutto la valutazione. Ma facciamo ordine.
La sentenza della Consulta
A far nascere l’esigenza dei correttivi è stata la sentenza 251/2016 della Corte costituzionale che ha imposto l’intesa con le Autonomie, invece del più semplice parere, per gli aspetti della riforma Madia che intrecciano le competenze di regioni ed enti locali. La decisione dei giudici ha fatto saltare i decreti attuativi su dirigenti e servizi pubblici locali, che erano attesi al consiglio dei ministri del giorno successivo a quello del deposito della sentenza, ma ha colpito anche i provvedimenti già approvati su società partecipate, licenziamenti-sprint degli assenteisti e dirigenti sanitari: decreti che rimangono in vigore, ma esposti al forte rischio di bocciatura costituzionale in caso di ricorsi perché “viziati” da un percorso di approvazione che è passato appunto dal parere e non dall’intesa.
I correttivi
L’obiettivo dei nuovi provvedimenti è quindi quello di incontrare l’accordo di tutti nel percorso riscritto dalla sentenza costituzionale, che richiede l’intesa con la Stato-Regioni per i decreti sui licenziamenti disciplinari e i dirigenti sanitari e con l’Unificata per quello sulle partecipate. È vero che, come prevede la legge La Loggia del 2003, il governo può andare avanti anche se non riesce a ottenere il via libera di tutti gli interessati (si tratta della cosiddetta intesa debole), ma un accordo preventivo aiuterebbe parecchio l’attuazione. Per questa ragione una fitta serie di incontri tecnici fra governo ed enti territoriali sta provando ad appianare la strada dei correttivi, che dovrebbero riguardare soprattutto il testo sui dirigenti sanitari, quello che ha reso più caldo il rapporto con le regioni. In particolare, i governatori chiedono di ampliare la propria autonomia nella scelta dei vertici delle strutture, rivedendo prima di tutto il sistema delle rose da 3-5 nomi, proposti dall’agenzia nazionale per i servizi sanitari, fra cui individuare i direttori generali.
Sul versante delle partecipate si tratta sulla possibilità di limare al ribasso i limiti di fatturato, che nel decreto approvato condannano alla chiusura o alla dismissione le realtà che non hanno raggiunto la media del milione di euro negli ultimi tre anni. Gli enti locali chiedono di abbassare il limite a 500mila euro, oltre a prevedere deroghe per alcuni settori alla tagliola sulle società con meno amministratori che dipendenti:?vista la mancata proroga dei termini, è essenziale arrivare in fretta al chiarimento definitivo in vista del piano straordinario di razionalizzazione che le amministrazioni devono chiudere entro il 23 marzo. Sul decreto licenziamenti, invece, potrebbe trovare spazio qualche ritocco ai termini interni del procedimento, senza cambiare però l’obbligo di arrivare in 30 giorni al licenziamento di chi viene colto a timbrare l’entrata senza andare poi in ufficio.
Il Sole 24 Ore – 12 gennaio 2017