Scatti di carriera stabiliti dalla contrattazione e non dai concorsi e stretta su permessi e distacchi sindacali. E a pagare, dopo il dimezzamento dei comparti, saranno le sigle sindacali più piccole. Ecco il quadro che va delineandosi in vista della riapertura della trattativa governo-sindacati sugli statali, che ha al centro delle discussioni il rinnovo del contratto fermo da 7 anni e sbloccato da una sentenza della Consulta. La prima tappa del negoziato è fissata per martedì 10 gennaio, quando sindacati e Aran, l’Agenzia che rappresenta Palazzo Chigi al tavolo di confronto, si ritroveranno faccia a faccia. Nel menù in programma la prossima settimana la ricerca di una intesa sulle prerogative sindacali (permessi e distacchi), da ricalibrare in base alla nuova mappa del pubblico impiego, passato da 11 a 4 comparti. Fonti governative impegnate sul dossier garantiscono che non sono previsti tagli aggiuntivi rispetto a quelli realizzati ma si dovrà discutere di un differente meccanismo di distribuzione delle ore, in base alla nuova geografia della Pubblica amministrazione, con rischio di perdere qualcosa solo per le sigle sindacali meno rappresentative.
Sul piatto però c’è anche l’attuazione di un passaggio del decreto Madia del 2014 (lo stesso che ha determinato la sforbiciata), sulle «forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali». Insomma l’operazione promette di non essere puramente contabile. Nelle prime settimane si discuterà, sulla base dell’accordo quadro firmato il 30 novembre scorso, di come affidare più spazio alla contrattazione e meno alla legge cancellando di fatto i principi della riforma Brunetta.
Ad esempio c’è da rimettere mano alle pagelle che dividono il pubblico impiego in tre fasce (l’ultima, pari al 25% del totale dei dipendenti, non prende premi). Anche l’organizzazione e gli orari di lavoro non sarebbero più esclusiva competenza del dirigente. E poi, soprattutto, circola l’ipotesi di riportare a livello di contrattazione le cosiddette progressioni verticali, di carriera, che la legge Brunetta aveva disciplinato in modo differente, prevedendo il salto in avanti solo attraverso concorso, seppure con una riserva di posti per gli interni, non superiore al 50% dei posti in bando.
Oggi infatti i passaggi ammessi senza selezione sono solo a livello orizzontale, ovvero nell’ambito della stessa categoria (alla fine si tratta solo di incrementi retributivi). I sindacati puntano a rivedere quante più parti possibili della legge Brunetta e nel mirino ci sono anche i passaggi di carriera, con l’obiettivo di riportare la materia nell’alveo della contrattazione.
Dopo aver risolto la questione degli avanzamenti di carriera e di permessi e distacchi sindacali, le parti dovranno risolvere la partita più importante: il contratto. Sul piatto ci sono 5 miliardi nell’arco del triennio che va dal 2016 al 2018: ebbene, di questi per il momento ci sono solo 3,3 miliardi mentre sono previsti 85 euro di aumento medio mensile sui contratti di primo livello per 3,3 milioni di lavoratori. Su questo punto c’è stata qualche schermaglia polemica anche all’interno dei sindacati (i dubbi maggiori li ha espressi la Uil di Carmelo Barbagallo) nelle more di approvazione della Legge di stabilità in cui il provvedimento è inserito.
Ma come muoversi? La sola certezza, al momento, è che il governo si è impegnato a fare in modo che gli aumenti non influiscano sugli 80 euro in busta paga, cancellando il bonus a quanti, con la crescita del salario, superino quota 26 mila euro di reddito.
In attesa degli incontri, i sindacati puntano i loro paletti. «L’accordo del 30 novembre prevede procedure e tempi: dopo l’approvazione della legge di Bilancio e l’insediamento del nuovo governo occorre darne attuazione», dice il responsabile dei settori pubblici della Cgil, Michele Gentile. «Mi auguro che arrivi per metà mese una convocazione da parte della ministra Madia per fare il punto sul Testo Unico del lavoro pubblico», sottolinea il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo. Sulla stessa linea si pone il segretario confederale della Confsal Unsa, Massimo Battaglia, secondo cui «ci sono le condizioni politiche per andare avanti, mi aspetto a breve un summit al ministero».
di Michele Di Branco – Il Mattino – 9 gennaio 2017