«Pagheli, peseli, picheli». Nel Veneto ai tempi di Zaia, la ricetta della Repubblica di San Marco per i grand commis pubblici (retribuiti il giusto, soppesati con attenzione, castigati senza pietà se inadempienti) trova un’applicazione edulcorata, investendo – per ora – i compensi e la valutazione dei manager chiamati al vertice delle 9 Ulss accorpate. Certo non rischiano la forca Adriano Rasi Caldogno (Dolomiti), Francesco Benazzi (Marca Trevigiana), Giuseppe Dal Ben (Serenissima), Carlo Bramezza (Veneto Orientale), Antonio Compostella (Polesana), Domenico Scibetta (Euganea), Giovanni Pavesi (Berica), Giorgio Roberti (Pedemontana) e Pietro Girardi (Scaligera); da oggi, anzi, il loro stipendio annuale lordo lievita del 20%, attestandosi a 154 mila euro ed eguale trattamento è riservato ai direttori generali della Aziende ospedaliere di Padova e Verona (Luciano Flor e Francesco Cobello) e dello Iov (Patrizia Simionato).
«Più che di aumento, si tratta del ripristino del compenso ridotto cinque anni fa e rivelatesi, oggettivamente, penalizzante alla luce dei nuovi oneri e del trend retributivo nel resto d’Italia», puntualizzano a Palazzo Balbi. Correva il 2011 quando il governatore Luca Zaia, in vena di spending review, decise di sforbiciare l’assegno ai dg, circostanza che favori l’esodo di professionisti qualificati verso lidi più munifici (Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige in primis) a fronte di una disparità di trattamento che la riforma – con la nascita di grandi bacini d’utenza e la dotazione maggiorata di budget e personale – ha reso stridente, suggerendo così la retromarcia.
Non solo carota, però. Il contratto dei manager veneti prevede sanzioni crescenti (fino al licenziamento) in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi; per volontà zaiana, poi, all’ingresso degli ospedali campeggerà la loro foto corredata da nome e telefono: un escamotage che mira ad ancorarli a concrete e personali responsabilità nei confronti degli assistiti. L’obiettivo è favorire un’effettiva “presa in carico” del paziente, che non si limiti alla riduzione statistica delle liste d’attesa ma miri ad elevare la «qualità percepita dai cittadini» attraverso “fruibilità di percorsi, informazione accurata, cortesia e disponibilità allo sportello”. Obiettivi che richiedono la convinta collaborazione del personale – medici, infermieri e tecnici in particolare – ma anche il concorso dei più stretti collaboratori dei dg, cioè delle triadi di direttori (sanitari, amministrativi, al sociale) dove sedimentazioni e resistenze al rinnovamento suggerirebbero – è la voce raccolta qua e là – un’imminente girandola d’incarichi.
Ma il 2017 sarà soprattutto l’anno dell’Azienda Zero, ovvero della neonata governance tecnico-amministrativa chiamata a sgravare le Ulss da ogni incombenza extrasanitaria, ovvero acquisti, contenziosi legali, gestione dei bilanci, valutazione delle attrezzature, verifica degli accreditamenti privati. Il commissario incaricato di “avviare la macchina” è Mauro Bonin (veterano e uomo di fiducia del direttore Domenico Mantoan): il suo mandato semestrale scade a luglio ma sarà prorogato sino alle fine del 2017 per consentirgli di rendere operative le due sedi entrambe a Padova, che al momento impiegano una sessantina di unità. A regime, l’Azienda Zero disporrà di 400 dipendenti, selezionati e prelevati dalle Ulss.
Infine, chi comanderà davvero? Se il potere decisionale spetta alla politica – leggi Zaia spalleggiato dall’assessore Luca Coletto – la piramide manageriale riunisce i 12 direttori e il commissario in un Comitato di gestione presieduto dal primus inter pares Mantoan. Su proposta di quest’ultimo, l’ultima seduta di Giunta ha aperto i cordoni della borsa, stanziando 15 milioni alle Aziende di Padova e Verona, 2 e mezzo all’Istituto oncologico veneto e una cinquantina alle unità sanitarie. Risorse accompagnate dalla certificazione di copertura del disavanzo previsto nell’ultimo quadrimestre del 2016, stimato in 220 milioni con outlook verso i 170.
Il Mattino di Padova – 2 gennaio 2016