Per la dirigenza pubblica di fatto ipotizzato un contratto in perdita rispetto al precedente e il pagamento del conto degli aumenti del comparto. Senza andare troppo per il sottile alla vigilia delle elezioni il governo ha convocato CGIL, CISL e UIL e sottoscritto un documento di incerta definizione. Non è un accordo interconfederale propriamente detto, in quanto 10 confederazioni rappresentative non sono state neppure convocate e tra esse le confederazioni della dirigenza che rappresentano oltre il 70% dei dirigenti sindacalizzati.Un documento che perfino qualcuno degli stessi sottoscrittori definisce “una linea guida” e che non ha nes-sun impegno cogente, nessuna modifica alla legge di bilancio che pure deve ancora passare al vaglio del senato. I dipendenti pubblici possono evidentemente aspettare come scrivono “le prossime leggi finanziarie”. Mentre il mondo privato ha siglato i contratti, proprio con le risorse della legge di bilancio e in particolare con le detassazioni per lavoratori e datori di lavoro, per i pubblici solo promesse oggi e spiccioli domani.
Il Governo ha trovato le risorse per detassare 4000 euro di imponibile per 18 milioni di lavoratori privati, per-ché non farlo per 3 milioni di dipendenti pubblici? Oppure a invarianza di spesa perché non detassare 3500 euro per tutti?
Perché non farlo subito con un emendamento alla legge di bilancio che deve comunque passare al Senato?
Perché questa ulteriore discriminazione? Perché il lavoro pubblico deve essere tassato più di quello privato? Evidentemente si ritiene che il lavoro pubblico valga di meno di quello privato. Tutto ciò è costituzionale a Costituzione vigente?
Si deve supporre che non interessi migliorare la produttività del servizio pubblico nonostante le lunghe liste di attesa, i dieci milioni di cittadini che non accedono appieno alle cure nel servizio sanitario e gli 88 miliardi di evasione fiscale da recuperare.
Si abbia almeno il coraggio di dire che si intende privatizzare i servizi pubblici favorendo il privato che potrà fare concorrenza sleale con una fiscalità di vantaggio.
Per questo siamo offesi.
Mercoledi 30 novembre, poi, si è aggiunta per la dirigenza l’ennesima provocazione: è stato scritto una sorta di “contratto alla Robin Hood”, in cui per arrivare ad un aumento di 85 euro lordi bisognerà togliere a chi guadagna di più. Hanno scritto: “le parti si impegnano, nella sede dei tavoli di contrattazione, a garantire che gli aumenti contrattuali, nel comune intento di ridurre la forbice retributiva, valorizzano prioritariamente i livelli retributivi che più hanno sofferto la crisi economica e il blocco contrattuale”. Alludono evidentemente alla Di-rigenza anche se è proprio la Dirigenza, nei fatti, che ha subito i maggiori tagli retributivi attraverso le decur-tazioni dei fondi aziendali delle ultime finanziarie, compresa l’ultima del 2016.
E’ dunque dichiarato ed esplicito un “comune intento”: quello di ridurci lo stipendio.
Gli aumenti promessi non consentiranno di firmare un contratto se non in perdita, infatti i tagli e le decurta-zioni del precedente contratto non sono compensate dai modesti aumenti contrattuali. Viene richiesto alla dirigenza di firmare un contratto in perdita e di avallare le decurtazioni fin qui subite.
Dimenticati i sacrifici del passato, accettato un presente fatto solo di promesse si intacca anche il futuro.
Quanto ai presunti aumenti, l’iter per ottenerli è lungo, incerto e virtuale; prima bisogna aspettare un DPCM che separi le risorse contrattuale dalle altre spese, quindi il testo unico del pubblico impiego (scadenza 26 febbraio 2017 per la proposta e 26 giugno 2017 per il varo definitivo dopo i pareri di legge), infine la “direttiva madre”, e “leggi finanziarie” successive di copertura. Con un intermezzo con le Regioni che dovranno nel frattempo emanare atti specifici di indirizzo. Tante tappe e nessun arrivo certo, nessuna scadenza, nessuna certezza.
C’è molta fretta per spot elettorali e chiacchiere e molta calma per risultati concreti eppure la legge di bilan-cio è successiva al referendum, ma pare che sia intoccabile almeno per le nostre categorie.
Si sbandierano 5 miliardi destinati ai contratti, ma al momento non sono nemmeno perimetrate le risorse contrattuali attualmente segregate nel “fondo per il pubblico impiego”, che dovrebbe servire anche per le as-sunzioni e per il servizio sanitario dovrà soddisfare anche la spesa farmaceutica entro un tetto di finanzia-mento globale del SSN. Ieri si è però detto che dette risorse, bontà loro, verranno utilizzate “prevalentemente per il rinnovo dei contratti”.
Ma se anche la parte corrispondesse al tutto (e questo tutto verrebbe sottratto per il SSN all’assistenza sani-taria vista la commistione della legge di bilancio) i conti non tornano: 85 euro x 13 mesi x 3.250.000 addetti fa 3 miliardi 600 mila euro. Solo aggiungendo gli oneri riflessi si può raggiungere una cifra vicina ai 5 miliardi, ma in tal caso andrebbe considerato il fatto che lo Stato ne recupera oltre la metà come introiti fiscali e oneri previdenziali. Si confondono gli “aumenti” con le partite di giro, il lordo con il netto, il virtuale con il reale.
Nella migliore delle ipotesi sarà destinata una cifra che non compenserà le manomissioni contrattuali e fiscali dell’ultimo contratto per la dirigenza del 2009. Siamo responsabili e solidali, ma un contratto sottozero non si può fare.
Il tutto posticipato almeno al 2018 magari prima delle prossime elezioni politiche.
Quanto alla presunto superamento della “Brunetta”, si tratta dell’impegno del governo a riformare l’art.40 comma 3 ter della 165 che consente al datore di lavoro di dare corso ai contratti integrativi senza accordo sindacale, nel senso che ci sarà più tempo per la contrattazione, un tempo che sarà stabilito dal prossimo contratto e comunque resta la facoltà datoriale di procedere unilateralmente. Ma perché aspettare il varo del prossimo contratto e non farlo subito o almeno nel decreto ex art.17? Tempi diversi per interessi diversi. Non si è recuperata la competenza sull’organizzazione del lavoro sostituita, senza modifiche normative all’orizzonte, con un recupero della competenza sindacale su “aspetti organizzativi” pertinenti a diritti e garanzie dei lavoratori.
Ma se poi pensiamo che ieri i dirigenti e altre confederazioni non sono stati neppure convocati quali garanzie possiamo aspettarci? Nemmeno un tavolo regolare. Del resto una qualche rappresaglia per la dirigenza do-po la bocciatura della Corte Costituzionale era stata larvatamente ipotizzata.
Infine, è stato preso un impegno a contribuire all’eliminazione di forme di precariato, buona cosa ma era già scritto nella delega per l’art.17.
Il rinnovo dei precari in scadenza prossima in vista della delega è un atto di clemenza temporanea apprez-zabile, ma tutt’altro che definitivo e non finanziato.
Una categoria dimenticata per anni e riesumata in “articulo” a poche ore da una consultazione elettorale blandita con qualche promessa senza fatti concreti. Passivamente si è subito il calendario imposto dalla poli-tica. Non siamo abbastanza supini per essere soddisfatti. Siamo costretti alla vertenza, per noi e per i citta-dini, non per soldi, ma per dignità.
Questo ultimo schiaffo ci ha fatto capire che, senza indugi, dovremo farci rispettare anche a costo di inasprire il livello dello scontro.
IL COMUNICATO STAMPA – L’ACCORDO TRA GOVERNO E CGIL CISL UIL EMARGINA LA DIRIGENZA PUBBLICA
Di fatto l’accordo siglato tra Governo e CGIL CISL UIL configura un vero e proprio attacco alla Dirigenza Pubblica. Si tratta di un atto che emargina dieci Confederazioni rappresentative, neanche convocate e tra esse quelle della Dirigenza pubblica. Inoltre il protocollo, propone una gravissima provocazione deliberatamente contro la Dirigenza – commenta la Confederazione dei medici e dirigenti – una sorta di “contratto alla Robin Hood”, in cui per arrivare ad un aumento di 85 euro lordi bisognerà togliere a chi guadagna di più.
Il documento afferma infatti “le parti si impegnano, nella sede dei tavoli di contrattazione, a garantire che gli aumenti contrattuali, nel comune intento di ridurre la forbice retributiva, valorizzino prioritariamente i livelli retributivi che più hanno sofferto la crisi economica e il blocco contrattuale”. Una allusione alla Dirigenza pubblica che si vuole penalizzare, anche se è proprio la Dirigenza, che ha subìto i maggiori e ingenti tagli retributivi attraverso le ultime finanziarie, compresa l’ultima del 2016. E’ dunque dichiarato ed esplicito un “comune intento”: quello di ridurre lo stipendio ai dirigenti. E’ del tutto evidente che i Dirigenti pubblici non intendono tollerare né il metodo che li esclude dal confronto sindacale, né connessi contratti “in perdita”, inevitabile l’apertura di una dura vertenza.
I dipendenti pubblici ed i Dirigenti in particolare, sono stati già penalizzati nella legge di bilancio in itinere rispetto al lavoro privato, premiato ad esempio dalle detassazioni. Il Governo ha trovato le risorse per detassare 4000 euro di imponibile per 18 milioni di lavoratori privati, e non per 3 milioni di dipendenti pubblici. Perché, a invarianza di spesa, non detassare 3500 euro per tutti? Il Governo quindi afferma che il lavoro pubblico vale meno di quello privato, di fatto dichiarando che non interessa migliorare la produttività dei servizi pubblici nonostante le lunghe liste di attesa, i dieci milioni di cittadini che ormai non accedono più alle cure nel servizio sanitario, e gli 88 miliardi di evasione fiscale da recuperare. Il Governo abbia almeno il coraggio di dire che intende privatizzare servizi pubblici e sanità a favore del privato.
Oggi il Governo ha fretta per arrivare al referendum e firma accordi, eppure la legge di bilancio è successiva al referendum, ma pare che essa sia intoccabile almeno per la dirigenza pubblica. Infine il protocollo del Governo sbandiera risorse in modo vago ed impreciso, senza dire quanto è effettivamente destinato ai contratti. Quanto al dichiarato impegno sul fronte del precariato esso è vago e generico.
I Dirigenti pubblici sono costretti oggi dal Governo ad aprire una dura vertenza, con iniziative sindacali, politiche e giurisdizionali a tutela del servizio pubblico e dei cittadini. Nei prossimi gironi sarà definito il calendario delle agitazioni e delle ulteriori forme di lotta che i Dirigenti pubblici e le loro Confederazioni e Organizzazioni sindacali definiranno.
2 dicembre 2016