Cordiano, Bai, Boscagin a Quotidiano sanità. Gentile Direttore, abbiamo letto con molto interesse l’articolo del 7 ottobre 2016 dal titolo “Contaminazione da PFAS in Veneto. Il punto delle azioni di prevenzione e ricerca svolte dall’ISS” firmato dalla dottoressa Loredana Musmeci”. Nell’articolo si fa il punto sulle “azioni di prevenzione e ricerca svolte dall’ISS” con il coordinamento della dottoressa Loredana Musmeci e si ricordano i provvedimenti messi in atto dalla Regione Veneto che hanno consentito di ridurre le concentrazioni mediane di PFOA e PFOS, i due più noti fra tutti le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), rispetto alle concentrazioni iniziali riscontrate nel 2013. Con questa nota vorremmo richiamare la sua attenzione e quella delle autorità competenti sul fatto che, nonostante gli sforzi profusi e le ingenti risorse pubbliche impiegate, sia in termini economici che di personale, oltre 100.000 residenti nei comuni della “zona rossa” continuano a bere acqua “potabile” con concentrazioni di queste sostanze notevolmente superiori a quelle massime permesse negli Stati Uniti.
La tabella allegata* riporta una lista parziale dei Comuni in cui, ancor oggi – stando ai rapporti di prova ufficiali più recenti – le concentrazioni di PFOA e PFOS vigenti negli Stati Uniti sono abitualmente superate in Veneto. Pertanto, continuiamo ad essere molto preoccupati anche perché ci risultano incomprensibili le ragioni che hanno spinto il gruppo di lavoro diretto dalla dottoressa Musmeci a proporre limiti fra i più elevati al mondo, cioè 500 ng/litro per il PFOA e 30 ng/litro per il PFOS, quando negli Stati Uniti nel maggio di quest’anno i valori limite per le concentrazioni del PFOA sono stati ridotti da 400 ng/litro per il PFOA e 200 ng/litro per il PFOS a 70 ng/litro per entrambe le molecole. Inoltre, come ricordato nell’articolo, quando PFOA e PFOS sono presenti contemporaneamente nelle acque statunitensi, la loro somma non deve superare i 70 ng/L.
È anche importante ricordare ai vostri lettori che l’USEPA ha preso questa decisione dopo aver analizzato i risultati degli studi più recenti che hanno osservato l’insorgenza di effetti tossici sul feto in via di sviluppo, sul sistema immunitario dei bambini, sul metabolismo glicolipidico di bambini e adolescenti, sullo sviluppo neurocognitivo infantile per esposizioni a livelli notevolmente inferiori rispetto a quelli precedentemente considerati come “sicuri”.
Del resto, la natura di interferenti endocrini e di possibili cancerogeni dei PFAS, non permette di identificare una soglia di sicurezza al di sotto della quale non si osservano effetti tossici, in particolare in fasce di popolazione particolarmente suscettibili come le donne in gravidanza, i bambini e gli adolescenti. Di conseguenza, come è normale che succeda, via via che si acquisiscono i risultati degli studi indipendenti i limiti vengono rivisti in senso più cautelativo. Per esempio, è di alcune settimane fa, la decisione dei consulenti scientifici dello stato del New Jersey di abbassare i limiti massimi di PFOA nell’acqua potabile a 14 ng/L, mentre alcuni giorni addietro la commissione tedesca per il biomonitoraggio umano ha consigliato che le concentrazioni plasmatiche massime siano meno di 2 ng/mL per il PFOA e meno di 5 ng/mL per il PFOS, valori che dovrebbero essere sufficientemente protettivi per la salute umana, pur in assenza di prove scientificamente valide a conferma di tali conclusioni.
Nella zona rossa i risultati del biomonitoraggio umano effettuato su campioni di siero umano, su tessuti animali e su prodotti dell’agricoltura (di cui si è occupato anche il suo giornale in un precedente articolo) evidenziano un quadro a nostro avviso molto serio e preoccupante, essendo stata dimostrata l’avvenuta contaminazione, probabilmente irreversibile, della catena alimentare, degli esseri umani, dell’ambiente e degli animali selvatici. Sul campione di circa 500 soggetti selezionati per dosaggio dei PFAS nel sangue in Veneto sono state riscontrate concentrazioni medie di 70 ng/ml di siero per il PFOA (con un massimo di oltre 700 ng/l) e di 12 ng/ml per il PFOS nei soggetti residenti nei comuni più esposti.
Pertanto, ancora più incomprensibile ci appaiono i motivi per i quali nell’agosto 2015 si è consentito che i limiti delle concentrazioni totali massime dei 12 PFAS nelle acque potabili fossero praticamente raddoppiati, passando da 1030 ng/l a 2030 ng/l su espressa richiesta dei gestori delle acque potabili. Facciamo fatica a credere che l’ISS, ai suoi più alti livelli, davvero ritenga che la salute della popolazione sia realmente protetta, stante l’elevata e persistente contaminazione dell’acqua potabile e della catena alimentare.
A causa di tale contaminazione, per esempio, un bambino che mangiasse soltanto un etto di pesce pescato nei dintorni di Vicenza, contenente da 37.000 a 57.000 ng/kg di PFOS (valori realmente riscontrati), potrebbe superare di 2-3 volte la dose massima giornaliera tollerabile (TDI) stabilita dall’EFSA, benché anche questa sia notevolmente superiore a quella consentita negli Stati Uniti.
A noi risultano francamente misteriose le ragioni scientifiche che hanno spinto le istituzioni italiane a stabilire limiti di concentrazione nelle acque potabili fra i più alti al mondo, e addirittura ad aumentarli, in seguito alla dimostrata inefficacia dei filtri a carboni attivi utilizzati per depurare le acque dai PFAS a catena corta. Negli Stati Uniti, invece, sempre per tutelare adeguatamente la salute pubblica, i limiti massimi vigenti sono stati ridotti di circa sei volte rispetto ai precedenti.
In conclusione noi riteniamo che, contemporaneamente all’adozione delle migliori tecnologie in grado di eliminare immediatamente i PFAS dalle acque potabili, andrebbero valutate anche la sospensione immediata dell’erogazione dell’acqua contaminata nonché la proibizione della produzione e commercializzazione di prodotti alimentari contaminati, garantendo, ovviamente, la distribuzione gratuita di acqua potabile ai cittadini, agli animali d’allevamento, alle industrie agro-alimentari.
Questo in attuazione del Principio di Precauzione previsto dalle leggi europee, e apparentemente sconosciuto alle autorità italiane, soprattutto dopo che lo studio indipendente ISDE-ENEA ha dimostrato un eccesso di mortalità, con percentuali variabili dal 10 al 30%, negli anni 1980-2009 per varie malattie multifattoriali che vedono i PFAS come un possibile cofattore e dopo che uno studio del Sistema Epidemiologico Regionale del Veneto ha confermato l’eccesso di mortalità per le stesse patologie, con le stesse percentuali, per gli anni 2007-2014 e un’aumenta prevalenza (10-20%) di ipercolesterolemia e ipotiroidismo, condizioni classicamente associate all’esposizione a PFAS e ad altri interferenti endocrini.
Vincenzo Cordiano
Presidente sezione di Vicenza e Referente per il Veneto di ISDE Italia onlus
Edoardo Bai
Comitato scientifico nazionale Legambiente
Piergiorgio Boscagin
Portavoce del coordinamento Acqua libera da PFAS
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Quotidiano sanità – 22 ottobre 2016