All’1.20 di giovedì 20 ottobre il Consiglio regionale del Veneto ha approvato il Pdl 23 che riorganizza la sanità veneta con l’istituzione dell’Azienda Zero e ridisegna i nuovi ambiti territoriali delle 9 Aziende socio sanitarie che copriranno l’intero territorio regionale. Erano 45 i consiglieri presenti in aula al momento del voto finale, 44 i voti validi, 27 a favore, 17 contrari, nessun astenuto. Hanno votato a favore Lega Nord, Gruppo Zaia Presidente, Forza Italia, FdL-An Mcr, SiamoVeneto. Contrari Pd, Movimento Cinque Stelle, Lista Tosi, Veneto del Fare, Lista Moretti. Il consigliere Marino Zorzato (Area Popolare) non ha partecipato al voto. Assenti al momento della votazione Franco Ferrari (Lista Moretti), Elena Donazzan (Forza Italia), Alessandra Moretti e Piero Ruzzante del Pd, Pietro Dalla Libera (Veneto Civico), Silvia Rizzotto (Lista Zaia Presidente). Una lunga maratona: decine di sedute e ben più di cento ore di discussione, tra il jolly giocato dalle opposizioni e il “canguro” taglia-emendamenti messo in campo dalla presidenza leghista dell’aula.
Soddisfatto il presidente Luca Zaia. «Con oggi va al suo posto una pietra angolare di tutta la legislatura. Riformare la sanità era un forte impegno elettorale, ma anche una necessità imprescindibile, per rispondere con un’organizzazione ancora più moderna alle sfide poste dalla contrazione dei finanziamenti nazionali, dal crescere dell’aspettativa di vita dei veneti e della loro richiesta di salute, per spostare ancora di più la barra della spesa dalla burocrazia alle cure, per sostenere ancor di più finanziariamente l’innovazione tecnologica e l’investimento sulle professionalità».
«In sanità, se stai fermo, in realtà arretri. Il Veneto va avanti con una nuova riforma amministrativa che non tocca i servizi alla gente, ma incide profondamente sulla burocrazia e sui costi amministrativi». Con queste parole l’Assessore regionale alla Sanità Luca Coletto commenta l’approvazione della riforma della. «Checché ne abbiano detto poco avveduti critici – aggiunge Coletto – questa riforma non sfiora nemmeno ospedali, reparti e livello quantitativo e qualitativo delle cure, anche sul territorio, ma crea invece proprio le condizioni perché, attraverso un’organizzazione più snella, si diano servizi ancora più efficaci recuperando risorse dalla spesa amministrativa». «Adesso – conclude l’assessore – ci si mette immediatamente al lavoro. Il tempo delle parole, anche quelle non veritiere, è finito. I Veneti vogliono fatti e risultati, e questo daremo loro».
“La riforma della sanità veneta, che riorganizza e riduce le Ulss, valorizza l’integrazione tra sociale e sanità difendendo la territorialità dei servizi. Dopo tante, troppe, sedute d’aula, diamo ai veneti una doverosa revisione del modello aziendale che consentirà di risparmiare sulle spese amministrative e gestionali e di concentrare le risorse sui servizi sanitari e sull’integrazione tra sociale e sanità” commenta l’assessore al asociale, Manuela Lanzarin.
Tra “canguri”, subemendamenti non ammessi (ma sarebbe meglio dire sfoltiti con il machete) dalla Quinta commissione o puntualmente bocciati in aula dal Consiglio regionale la giornata di ieri si è svolta secondo il copione già visto nelle ultime sedute. A cominciare dalla doppia galoppata con cui il simil-canguro, sguinzagliato dal presidente Roberto Ciambetti (ringraziato poi da Zaia per la sua “fermezza”), fra pomeriggio e sera ha scavalcato qualcosa come 1.200 fra emendamenti e sub-emendamenti presentati dalle minoranze. A cura del leader leghista Nicola Finco, la giunta ha depositato due misure emendative che, promettendo di recepire la massa di proposte avanzate soprattutto dal centrosinistra e dai tosiani, di fatto le ha neutralizzate.
Tecnicamente è stato introdotto l’articolo 12 bis, che numericamente segue quello sull’individuazione delle 9 Usl e politicamente apre uno spiraglio alla sperimentazione di ulteriori aziende sanitarie, verosimilmente nelle province di Padova e Verona. Attenzione, si tratta appunto di una fessura, o di un «pertugio», per citare l’espressione usata da Claudio Sinigaglia, il controrelatore del Pd che difficilmente si lascerà incantare dall’espediente utilizzato dal centrodestra, ma ha comunque voluto apprezzarne l’effetto: «I territori potranno chiedere di rivedere l’assetto e la giunta dovrà rispondere». La norma prevede infatti che lo schema finora delineato (7 Usl provinciali, più quelle della Pedemontana Bassanese e del Veneto Orientale) venga sottoposto a verifica da parte dell’esecutivo entro un triennio dall’entrata in vigore della riforma, «al fine di valutare i risultati raggiunti sotto il profilo dell’efficacia e dell’efficienza delle prestazioni erogate».
Per questo nel giro di tre mesi dalla pubblicazione della legge, secondo quanto chiesto dal Pd e concesso dall’assessore alla Sanità Luca Coletto, sarà istituito un osservatorio regionale, incaricato tramite le segnalazioni degli osservatori aziendali del «monitoraggio della nuova organizzazione del servizio sanitario regionale» e della «acquisizione di eventuali richieste formulate dai comitati dei sindaci di distretto», che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate. Le istanze saranno poi trasmesse all’Azienda Zero, che le analizzerà e le sottoporrà alla giunta, che a sua volta le invierà alla commissione Sanità, dopodiché l’esecutivo potrà presentare un progetto di legge per la modifica degli attuali confini aziendali. Una trafila molto più complicata e aleatoria di quella, assai più snella e stringente, che nelle scorse settimane era stata proposta dall’opposizione, per la quale «criteri oggettivi» come popolazione residente e presenze turistiche sarebbero stati sufficienti a giustificare il salvataggio di ulteriori Usl. Perciò alla fine il centrosinistra si è astenuto e i tosiani hanno votato contro.
Proprio i consiglieri di Lista Tosi, Veneto del Fare e Area Popolare a tratti sono sembrati gli ultimi soldati giapponesi nella giungla di una guerra ormai finita. «Altro che ostruzionismo, avremmo potuto incidere molto sulla politica sociosanitaria», ha rivendicato lo stakanovista Andrea Bassi. In effetti la scena è stata quasi sempre dominata dagli scatenatissimi consiglieri Stefano Casali, Andrea Bassi, Maurizio Conte e Giovanna Negro. Estensori della maggioranza delle proposte di modifica al testo ancora votabili, e solo a tratti supportati o sostituiti dalla pentastellata Patrizia Bartelle, da Marino Zorzato di Alleanza popolare e dai consiglieri del Pd Bruno Pigozzo e Claudio Sinigaglia.
“L’opposizione tutta ha votato negativamente, pur avendo lavorato alla riforma in modo costruttivo e migliorativo quando è stato possibile – osserva Sinigaglia -. Tanti i risultati raggiunti, ma non sufficienti per votare favorevolmente”.
20 ottobre 2016