Sale da 6 a 7 miliardi la dote triennale del pacchetto previdenza contenuto nella manovra. Che, a sua volta, cresce a 27 miliardi. L’insieme delle misure sulla previdenza della legge di bilancio varata ieri dal Consiglio dei ministri ha un impatto di 1,9 miliardi nel 2017 (quasi 400 milioni in più di quanto ipotizzato nei giorni scorsi) per salire a 2,5 miliardi nel 2018 e a 2,6 miliardi nel 2019. Con la “dote” aggiuntiva si renderà più accessibile l’anticipo pensionistico (Ape) nella sua versione social dedicata a disoccupati, disabili e soggetti con famigliari disabili in possesso di almeno 30 anni di contributi e lavoratori impegnati in attività gravose (dagli operai edili fino ai macchinisti passando per le mestre d’asilo) con 36 anni di contribuzione. Era prevista una soglia a 1.350 euro di pensione lorda al di sotto della quale il rimborso ventennale del prestito-ponte sarebbe stato interamente a carico dello Stato.
Soglia contestata dai sindacati nell’incontro di venerdì a palazzo Chigi e che viene ora elevata a 1.500 euro (cifra che verrà confermata solo ne testo definitivo). Oltre la nuova soglia il beneficiario dell’Ape social sarà chiamato a contribuire almeno in parte agli oneri di rimborso (s’è parlato di uno 0,5% massimo per ogni anno di anticipo). Con le risorse aggiuntive potrebbe essere stato anche allargato il perimetro dei lavori riconosciuti come gravosi che possono accedere all’Ape social. Ma anche su questo aspetto non sono stati forniti dettagli. E resta ancora da stabilire se, e in che modo, entrerà in manovra l’ottava salvaguardia per 25mila esodati.
In pratica si tratta di una mezza marcia indietro, sotto il pressing dei sindacati, rispetto alla posizione illustrata appena ventiquattr’ore prima a Cgil, Cisl e Uil dal Governo incalzato, sul fronte dei risparmi, dalla Ragioneria generale dello Stato.
Nulla cambia invece sull’Ape di mercato, per le uscite volontarie dei nati tra il 1951 e il 1953 che hanno maturato non meno di 20 anni di contributi (il rimborso prevede un onere medio per ogni anno di anticipo del 4,5-4,6%), e per l’Ape “aziendale”, concepita per rendere possibile l’uscita anticipata con il contributo delle imprese dei lavoratori (sempre con 20 anni di contributi) coinvolti in situazioni di crisi. In generale l’Ape è esente da imposta e ad abbattere l’onere del rimborso sarà una detrazione in quota fissa del 50% calcolata sugli interessi. Il prestito bancario assicurato sarà concesso dopo la preventiva certificazione dell’Inps e potrà essere richiesto dagli over 63 con un anticipo massimo di 3 anni e 7 mesi rispetto agli attuali requisiti per il pensionamento di vecchiaia. I lavoratori che già aderiscono a forme di previdenza complementare potranno “sostenere” l’Ape con la Rita (rendita temporanea anticipata) usufruendo di appositi sgravi fiscali (l’aliquota prevista è tra il 15 e il 9%). Per quel che riguarda i casi di Ape aziendale, possibili sulla base di accordi tra le parti, si prevede che l’impresa sostenga i costi del rimborso attraverso un versamento all’Inps di una contribuzione correlata alla retribuzione percepita prima della cessazione del rapporto di lavoro (anche in questo caso la detrazione è del 50% in quota fissa sugli interessi).
Non cambiano anche le altre misure che allargano le possibilità di ritiro anticipato e che, a differenza dell’Ape che partirà a maggio con una prima sperimentazione biennale, saranno da subito strutturali. Si tratta del cumulo gratuito dei periodi contributivi versati in gestioni diverse e l’accesso agevolato alla pensione per i lavoratori precoci e quelli che svolgono mansioni “usuranti”. Il cumulo gratuito (compresi i periodi di riscatto di laurea) vale per il raggiungimento dei requisiti sia della pensione di vecchiaia sia di quella anticipata. E l’assegno pensionistico sarà calcolato “pro rata” con le regole di ciascuna gestione.
È poi previsto l’accesso agevolato alla pensione per in cosiddetti lavoratori precoci. In particolare, potranno uscire con 41 anni di contributi i lavoratori che hanno 12 mesi di contributi versati prima dei 19 anni e viene cancellata in via strutturale la penalizzazione prevista per chi va in pensione prima dei 62 anni. La legge di bilancio rende più semplice l’uscita anche per chi è stato impegnato a lungo in attività usuranti. Due i requisiti per l’accesso agevolato: metà della vita lavorativa impegnata in queste attività; aver svolto mansioni usuranti per 7 anni negli ultimi 10 di lavoro escluso l’ultimo.
Davide Colombo e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 16 ottobre 2016