Ci voleva una trasmissione popolare come “Le Iene” per far approdare l’emergenza Pfas del Veneto alla ribalta nazionale. Il programma si è occupato martedì sera della condizione delle acque del Vicentino, Veronese e Padovano. In un servizio di Nadia Toffa di una ventina di minuti sono stati intervistati medici, legali e vittime di quella che sta diventando sempre più una questione ambientale e sanitaria ben oltre il livello locale. 300 mila i rubinetti da cui uscirebbe acqua inquinata da sostanze tossiche che il fisico – stando alle parole del dottor Vincenzo Cordiano presidente veneto Isde – non riuscirebbe a smaltire se non in un amplissimo arco di tempo e con gran fatica. Da qui una serie di patologie che, guarda caso, avrebbero incidenze maggiori proprio nelle popolazioni esposte da decenni all’inquinamento. Significative le testimonianze dei residenti, a cui sono stati riscontrati concentrazioni elevate di Pfas nel sangue, che hanno raccontato le problematiche di salute in cui sono incorsi.
I Pfas sono sostanze che si trovano in oggetti di uso quotidiano, quali pentole antiaderenti, giubbini impermeabili e cartoni della pizza, e che non dovrebbero tuttavia essere ingerite o assimilate. Si parla di ipotesi di reato gravi con pene fino a 15 anni, dall’inquinamento delle acque al disastro ambientale all’omessa bonifica, come ha spiegato nel servizio l’avvocato delle associazioni ambientaliste Edoardo Bortolotto.
Intervistati anche la dottoressa Loredana Musmeci già in forza all’Istituto Superiore della Sanità e il Direttore della Sanità della Regione Veneto, Domenico Mantoan. La prima in merito ai – discutibili – limiti di concentrazione delle sostanze tossiche nell’acqua fissati dallo stesso Istituto, molto più elevati rispetto al resto del mondo. Il secondo, molto brevemente, sulla gestione dell’emergenza in Veneto.
Un problema molto grave, ha sottolineato la Toffa, che coinvolge non solo l’acqua in senso stretto ma tutte le attività ad essa connesse, dalle irrigazioni agli allevamenti.
Stile incalzante, come di consueto, il servizio ha posto l’accento sul groviglio di questioni irrisolte: dalle fonti di approvvigionamento delle acque (molte le zone ancora legate al pozzo privato come unica sorgente), alla durata e all’efficacia dei filtri a carbone, alle possibili ricadute sul sistema agroalimentare veneto, ma non solo, visto che molti prodotti finiscono sugli scaffali della grande distribuzione in tutta Italia.
Proprio questo aspetto è stato ripreso ieri da Jacopo Berti e Manuel Brusco consiglieri regionali del M5s: “Dal servizio emerge come molte aziende della zona diano da bere acqua inquinata dai Pfas agli animali, che vengono poi venduti a una delle più importanti aziende del settore. Il pollame e le uova finiscono quindi sulle tavole dei veneti e di gran parte dell’Italia, dato che si parla di un’azienda di alto livello”. E chiedono alla giunta regionale che venga reso noto il nome dell’azienda coinvolta.
13 ottobre 2016