di Andrea De Polo, dal Mattino di Padova. La stagione dello “scargar montagna”, il periodo in cui gli allevatori riportano le mandrie nelle stalle in pianura dopo l’estate trascorsa sui pascoli delle Prealpi, è diventata la stagione della quarantena, con i vitellini chiusi negli allevamenti, tutti potenzialmente positivi alla grande minaccia del momento: il virus della Blue Tongue, la “lingua blu”. La malattia, trasmessa da un insetto simile alla zanzara e potenzialmente letale per gli ovini e i caprini (è invece asintomatica per i bovini, e non ha alcun effetto sull’uomo), sta presentando un costo altissimo all’agricoltura di tutta la fascia prealpina: le pecore muoiono, le mucche e i vitelli per ordine dei Comuni – non possono uscire dalle stalle (e quindi non possono essere venduti), perché rischiano di trasportare l’epidemia in altri territori. È il caso più grave, in Veneto, dal 2008, e sta penalizzando soprattutto la fascia dall’altopiano di Asiago alle Pianezze di Valdobbiadene.
La genesi. La zanzara responsabile dell’epidemia, e vettore del virus della Blue Tongue, ha punto e infettato un vitello proveniente da un Paese dell’Est Europa che poi, come avviene di norma, è stato venduto in Italia per l’ingrasso. Sul caso sta indagando l’Uvac Veneto, ente del Ministero della Salute per i controlli sugli animali importati dall’estero. Ufficiosamente, gli addetti ai lavori delle varie associazioni di categoria riferiscono che il vitello “incriminato” sarebbe arrivato in Italia con un certificato di vaccinazione taroccato ad arte. Una volta in Italia, la diffusione del virus è stata rapidissima. Un’altra zanzara ha punto il vitello infetto diventando vettore del virus, e successivamente ha trasmesso la malattia ad alcuni capi di un gregge di Alano di Piave, composto da 550 ovini di due allevamenti (uno nel Trevigiano, uno nel Bellunese). È il 30 agosto 2016, e l’epidemia si scatena.
I focolai. È da quel momento che ogni gregge, ogni pascolo può diventare incubatore del virus. La Blue Tongue inizia a serpeggiare anche tra i bovini, dove non fa vittime ma è più difficile da controllare perché non manifesta alcun sintomo. Il 12 settembre i casi di malattia certificati sono 11, e riguardano tutti gli ovini: la media è di uno al giorno, l’area più colpita quella a ridosso di Seren del Grappa. Il 15 settembre la “lingua blu” miete una vittima eccellente: un muflone di tre anni è ritrovato cadavere in località San Lorenzo, all’intemo della riserva di caccia di Alano di Piave.
L’espansione del virus. Il 16 settembre sono confermati sette nuovi casi, tutti nella fascia prealpina a cavallo delle Province di Treviso e Belluno. Il 22 settembre undici nuovi casi che coinvolgono greggi di ovini di diversi Comuni trevigiani e bellunesi, mentre i controlli nelle aziende bovine evidenziano la positività degli animali in ben 18 stalle: 7 a Cavaso del Tomba, 4 a Pederobba, 3 a Segusino, 2 a Valdobbiadene, 1 a Castelcucco eia Santa Lucia di Piave. Ad oggi, i Comuni più colpiti risultano quelli di Cavaso del Tomba (9 animali infetti, di cui 8 bovini), Monfumo e Pederobba (rispettivamente 5 e 6 casi). L’intera Provincia di Treviso, oggi, ha 40 casi di Blue Tongue confermati: 9 ovini e 31 bovini. Quando si fermerà l’epidemia? «Domanda da un milione di dollari» risponde Fabio Curto, responsabile per il lattiero caseario di Confagricoltura Veneto e titolare di Malga Mariech, sulle montagne di Pianezze. «In pratica si scopre un nuovo caso ogni giorno. Il problema è che la movimentazione dei bovini è completamente paralizzata. Al Sud questa malattia esiste da vent’anni perché all’epoca dei primi casi mancò un piano vaccinale. Senza una campagna a tappeto, il rischio è questo. Nel 2008 avevamo avuto un altro caso nel Veronese, con un ceppo francese: in quel caso la colpa fu di un vitellone entrato dalla Francia, e l’epidemia venne bloccata sul nascere. Stavolta siamo in ritardo».
Stalle in quarantena. L’ultimo in ordine di tempo è stato il Comune di Valdobbiadene: «Divieto movimentazione greggi e pascoli» in via precauzionale. Il problema maggiore riguarda i vitellini, fonte di guadagno per gli allevatori nel momento in cui vengono venduti.
VACCINAZIONI FERME AL PALO DOPO UN MESE
La protesta degli allevatori: «La Regione non restringa la profilassi ai soli ovini e copra le spese»
«A un mese dalla conferma dei primi casi di Blue Tongue siamo ancora fermi al palo e il piano vaccinale non è più esteso a tutte le specie coinvolte, come previsto nella riunione di due settimane fa, ma è stato ristretto ai soli ovicaprini». E’ quanto denuncia Confagricoltura Veneto, che con Cia, Anpa e Ava ha inviato una lettera al governatore Luca Zaia, al vicepresidente regionale Gianluca Forcolin, all’assessore all’Agricoltura Giuseppe Pan e all’assessore alla Sanità Luca Coletto per evidenziare le criticità che si stanno riscontrando nella gestione dell’epidemia. La decisione della Regione di coprire i costi vaccinali solamente per gli ovicaprini, confermata venerdì scorso m un incontro tra i servizi veterinari della Regione e le associazioni agricole, è un’ulteriore batosta per allevamenti già stremati dalla crisi, dai prezzi in caduta e dagli effetti negativi del mercato. Per oltre 100 mila tra vacche da latte e nutrici il vaccino e i costi veterinari saranno, infatti, a carico degli allevatori.
«Mutato lo scenario della Blue Tongue, con l’ampliamento delle zone interessate e la diffusione della malattia, registriamo un cambio di strategia della Regione, che non prevede più la vaccinazione dei capi di tutte le specie coinvolte – scrivono le associazioni -. Premesso che non condividiamo questa impostazione, che anche a detta dei servizi veterinari regionali ci precluderà la possibilità di ridiventare Regione indenne, chiediamo che la Regione Veneto trovi le risorse per coprire i costi del vaccino e della prestazione sanitaria e che il tutto sia coordinato da un’unica entità, che garantisca l’efficacia dell’organizzazione, del controllo e della verifica delle azioni intraprese».
Le associazioni fanno presente che «anche la documentazione necessaria per la movimentazione degli animali all’interno delle aree di restrizione, considerato l’ampliamento delle zone interessate dall’epidemia, non dev’essere a carico degli allevatori». Le organizzazioni sottolineano infine l’importanza che la vaccinazione venga affidata ai servizi veterinari regionali e alle Asi, avvalendosi, eventualmente, della collaborazione dei veterinari liberi professionisti.
«Siamo assolutamente contrari al delegare a terzi la gestione di un problema che riguarda la salute pubblica – rimarca Fabio Curto, presidente della sezione lattiere casearia di Confagricoltura Veneto -, che finirebbe per alimentare un business a nostre spese. Chiediamo che ci si adoperi il più possibile per evitare aggravi a carico delle stalle, lavorando in stretta collaborazione con gli allevatori con l’obiettivo di tornare allo status di Regione indenne».
Attualmente le vaccinazioni sono partite solo in provincia di Belluno, su iniziativa delle Asl che hanno spinto per avere il via libera per i vaccini degli ovicaprini per far fronte all’emergenza. Nelle province di Treviso e Vicenza invece, è tutto fermo.
Il Mattino di Padova – La Nuova Venezia – La Tribuna di Treviso – Il Corriere delle Alpi
28 settembre 2016