I sindacati, a questo punto, si aspettano delle cifre sul pacchetto pensioni. Chiedono cioè che il governo, all’indomani dell’aggiornamento al Def, si presenti martedì all’ultimo incontro con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil con tanto di numeri sulle risorse disponibili, le misure possibili, le platee beneficiate. Senza uno schema nero su bianco, non solo si allontana la già remota possibilità di un’intesa da siglare. Ma si prefigura una conclusione fredda della piccola stagione concertativa inaugurata nel mese di maggio dal governo sul tema previdenziale. Da sigillare al più con un verbale che registri anodino le posizioni in campo. E stop. Ancora molte le questioni aperte. E tuttavia se alla fine i due miliardi sin qui ventilati da Palazzo Chigi fossero confermati (un miliardo per i pensionandi e l’altro per i pensionati) e alcune misure, ritenute essenziali, fossero portate a casa, il bicchiere sarebbe mezzo pieno.
I sindacati contano su sei interventi prioritari: l’ottava salvaguardia per gli esodati, l’Ape per l’uscita anticipata, lo sconto contributivo per i lavoratori precoci e i lavori usuranti, le ricongiunzioni gratuite e la quattordicesima. Tutti temi che il governo — il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il sottosegretario Tommaso Nannicini — hanno sviscerato in questi mesi. Senza purtuttavia presentare mai numeri o simulazioni.
«L’Ape non è un meccanismo che raccoglie applausi, perché non è una revisione strutturale della legge Fornero, né garantisce una vera flessibilità in uscita alla portata di tutti, ma solo un prestito a tasso esorbitante, introdotto in via sperimentale per un paio d’anni, che costa un quarto della pensione futura e che non piace neanche alle aziende, poco disposte a pagarla», ragionano in casa Cgil. Ma se alla fine passasse quantomeno l’Ape sociale, come anticipo totalmente gratuito perché coperto dalle detrazioni e riservato alle categorie svantaggiate (disoccupati, disabili o con familiari disabili, lavori faticosi), «non ci piace lo stesso, ma la capiamo». Insomma, il consenso alla fine arriverebbe anche dalla sigla più ostile alla soluzione del governo per chi è a tre anni dalla pensione.
I punti da chiarire sono tutti lì: come calcolare le detrazioni dell’Ape (sul reddito complessivo o quello pensionistico?), quale soglia fissare per farle scattare (1.500 euro lordi, la busta paga di un operaio, o 1.650 euro, come si pressa in queste ore, cioè la retribuzione di un metalmeccanico?). E poi: quali lavoratori precoci aiutare, quelli che hanno iniziato a 14 o a 16 anni? Come am- pliare la definizione di lavoro usurante? Di quanto far salire la quattordicesima e a quanti estenderla? A chi applicare la ricongiunzione gratuita? In che modo avvicinare la no tax area (l’esclusione dalle tasse) di pensionati e lavoratori (sempre che avanzino risorse)?
«Serve un ultimo sforzo per arrivare a un’intesa accettabile, martedì prossimo», ammette anche la Uil, tornando a rilanciare un pacchetto ottimale da due miliardi e mezzo. Inimmaginabile, anche con una revisione delle stime sull’economia italiana più positiva del previsto.
Pensioni, platea più ampia per l’Ape a costo zero
Non solo disoccupati di lungo corso senza più ammortizzatori sociali e lavoratori con disabili in famiglia o in particolari situazioni svantaggiate. Sarà più ampia la platea dei soggetti “over 63” che potranno optare per l’uscita anticipata verso la pensione attraverso il prestito bancario assicurato a costo zero (grazie a un bonus fiscale), il cosiddetto Ape social. Il Governo, in vista dell’incontro decisivo su tutto il pacchetto-previdenza con il leader sindacali di martedì, il giorno successivo il varo della Nota di aggiornamento del Def (NaDef) che però potrebbe slittare proprio al 27 settembre, sta valutando con attenzione due ipotesi che consentono di allargare il bacino originario senza far crescere troppo i costi complessivi dell’operazione Anticipo pensionistico. Che si dovrebbero mantenere tra i 500 e i 600 milioni.
La prima opzione poggia su un nuovo meccanismo di individuazione di mansioni ad elevato rischio di infortuni sul lavoro attraverso il quale dovrebbero essere inseriti nella platea dei potenziali beneficiari dell’Ape a costo zero almeno una fetta degli operai del settore edile, dei macchinisti e probabilmente anche del personale marittimo imbarcato. Rischierebbero di non far parte di questo bacino gli infermieri e gli insegnanti della scuola primaria e dell’infanzia per i quali il rischio da infortunio sul lavoro sarebbe medio-basso e non elevato. Il livello di rischio emergerebbe da un nuovo “dispositivo” attivato sulla base dell’incrocio delle banche dati dell’Inail e dei codici Ateco con cui viene identificata un’attività economica anche sulla base della classificazione Istat in collaborazione con altri enti (dall’agenzia delle entrate ai ministeri). Proprio l’Inail starebbe lavorando con i tecnici del Governo agli snodi chiave di questo eventuale “dispositivo” con cui verrebbe ampliata, ma non troppo, la platea originaria dell’Ape social.
La seconda ipotesi è più vicina alle richieste dei sindacati che spingono per garantire la flessibilità pensionistica a costo zero a tutte le categorie che svolgono “mansioni faticose”: dagli operai del settore edile agli autisti passando per infermieri e insegnanti della scuola primaria e dell’infanzia. L’accesso all’Ape sostanzialmente gratuita sarebbe assicurato dal “criterio soggettivo”, ovvero dall’appartenenza a una delle categorie rientranti nelle “mansioni faticose” anche se con alcuni paletti. Come ad esempio quello del tetto di pensione lorda per beneficiare dell’Ape a costo zero. Che il Governo nelle scorse settimane ha fissato a 1.500 euro lordi (1.200 euro netti) e che invece i sindacati vorrebbero far salire a 1.650 euro lordi proprio per comprendere categorie come i macchinisti e gli operai specializzati. Per non far salire troppo i costi l’asticella potrebbe essere posizionata vicino a quota 1.600 euro (con l’esclusione di alcuni lavoratori).
Ma per evitare il rischio di sforamenti rispetto alla dote prefissata, che sarà messa nero su bianco prima dalla NaDef e poi dalla legge di Bilancio da varare a metà ottobre dove confluirà il pacchetto previdenza, sta prendendo quota l’ipotesi di collegare l’operazione Ape social per i primi due anni di sperimentazione (2017-18) a un “meccanismo-rubinetto”: accesso garantito all’anticipo pensionistico a costo zero fino all’esaurimento delle risorse messe a disposizione per le categorie di lavoratori in particolare situazione di svantaggio e per quelle impiegate in mansioni faticose o, più probabilmente, ad elevato rischio di infortuni sul lavoro.
La soluzione definitiva sarà quasi sicuramente individuata martedì dopo che i sindacati, anche attraverso la NaDef, saranno stati portati a conoscenza della dote complessiva per il pacchetto previdenza (circa 2 miliardi). Che oltre agli altri due canali per L’Ape (“volontaria” con penalità consistenti per il lavoratore che decide di uscire autonomamente e “aziendale” con il contributo delle imprese per i soggetti interessati da processi di ristrutturazione) prevederà il bonus-quattordicesime (estensione della platea e irrobustimento dell’assegno per chi già percepisce la mensilità aggiuntiva una tantum), ricongiunzioni gratuite, accesso agevolato alla pensioni per i lavoratori impiegati in mansioni usuranti e per i cosiddetti “precoci” (chi ha cominciato a lavorare prima del compimento dei sedici anni di età secondo l’opzione allo studio del Governo). Proprio quello della platea dei precoci da agevolare resta uno degli ultimo nodi da sciogliere insieme al posizionamento del tetto delle pensione lorda per beneficiare dell’Ape a costo zero.
Martedì l’incontro decisivo con i sindacati
L’indicazione esatta delle risorse a disposizione; maglie più ampie per l’uscita anticipata “a costo zero”; una soluzione per i lavoratori precoci (quelli che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni); e tempi certi per l’avvio delle politiche attive, sempre più fondamentali per affrontare le crisi aziendali, dopo l’entrata in vigore delle nuove regole sugli ammortizzatori sociali varate con il Jobs act: sono questi i quattro punti principali su cui i leader di Cgil, Cisl e Uil attendono una risposta da parte del governo all’incontro decisivo di martedì su previdenza e lavoro, in vista della presentazione a metà ottobre della legge di Bilancio.
Il “faccia a faccia” tra il ministro Giuliano Poletti, il sottosegretario a palazzo Chigi, Tommaso Nannicini, e i tre numeri uno sindacali, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, doveva avvenire lo scorso 21 settembre; ma è poi slittato a dopodomani con l’obiettivo, da parte dell’esecutivo, di presentare una sintesi dei risultati emersi nel corso del ciclo di incontri avviati il 24 maggio.
Le parti sociali si aspettano passi avanti, come ha lasciato intendere nei giorni scorsi la segretaria generale della Cgil, Camusso, che ha invitato il governo a quantificare le risorse da mettere sul piatto e, sui precoci, a definire subito i criteri (per evitare ingiustizie, e non commettere gli errori fatti con gli esodati). Anche Cisl e Uil chiedono all’esecutivo «un ultimo sforzo», ma, in ogni caso, possibili soluzioni su irrobustimento della quattordicesima, ricongiunzioni gratuite ed equiparazione della “no tax area” tra pensionati e lavoratori, rappresenterebbero comunque uno scambio «che fa avere alle persone opportunità in più», sintetizza Maurizio Petriccioli, segretario nazionale della Cisl.
Certo, l’asticella fissata nelle scorse settimane dal governo a 1.500 euro lordi (1.200 euro netti) per l’Ape a costo zero è giudicata ancora troppo bassa (i sindacati vorrebbero che si salisse ad almeno 1.650 euro lordi per ricomprendervi anche macchinisti e operai specializzati); e poi c’è la Cgil che in generale resta cauta sull’intera operazione Ape, giudicandola «uno strumento d’emergenza» che non risolve il problema della flessibilità in uscita.
I margini di trattativa restano aperti; e, vista anche la posizione di partenza “di attesa” del sindacato di Corso d’Italia, l’ipotesi al momento più probabile è che martedì ci si limiti a mettere nero su bianco, in un verbale, le posizioni di tutte le parti, per riassumere i quattro mesi di confronto ed evidenziare i punti condivisi.
Ad avere un ruolo importante saranno anche i chiarimenti che l’esecutivo fornirà sul mercato del lavoro, soprattutto su politiche attive e sussidi, alla luce anche del varo finale, lo scorso venerdì, del decreto correttivo al Jobs act. Il provvedimento, all’ultimo minuto, ha ridotto il “paracadute ponte” nelle aree di crisi industriale complessa al solo prolungamento fino a un massimo di 12 mesi della Cigs in scadenza nel 2016, mentre è saltato l’ulteriore sostegno (500 euro) ai lavoratori licenziati. Che quindi rimarranno senza sostegno e senza impiego. Il ministro Poletti ha assicurato che la questione sarà affrontata «all’interno della legge di Bilancio». Il tema è delicato, considerato anche come, a fine anno, usciranno di scena cassa integrazione e mobilità in deroga. E le nuove politiche attive sono ancora ferme ai box.
Il Sole 24 Ore e Repubblica – 25 settembre 2016