dal Sole 24 Ore. Se si vuole davvero dare un aiuto ai pensionati più poveri è bene guardare al loro reddito famigliare non solo a quello pensionistico individuale, come fa la 14esima che, in 7 casi su 10, va a persone che povere non sono. È uno dei messaggi che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, lancia al Governo in quest’intervista al Sole 24 Ore. L’Istituto sta dando il suo supporto tecnico alla definizione delle norme e all’ingegnerizzazione dei processi per il lancio dell’anticipo pensionistico assicurato e finanziato dal sistema bancario (Ape) mentre prosegue il piano di riorganizzazione, che punterà su commissioni esterne per la selezione dei dirigenti in linea con la riforma della Pa. Presidente Boeri per Inps si preannuncia un ruolo nuovo con l’Ape, l’anticipo pensionistico cui sta lavorando il Governo. Cosa si può dire in questa fase? Molti aspetti dell’Ape devono ancora essere definiti al tavolo fra governo e sindacati. Quel che è certo è che l’Inps avrà un ruolo chiave in questa operazione. E stiamo già offrendo supporto tecnico alle decisioni.
State valutando l’impatto finanziario dei vari interventi?
Non solo. Stiamo anche dando supporto nella scrittura delle norme e nell’ingegnerizzazione di processi che si annunciano complessi perché coinvolgono lavoratori, imprese, banche, assicurazioni e Inps. Riguardo alle valutazioni vorrei rimarcare che i numeri sui costi delle diverse misure dati dai giornali questa estate sono fuorvianti anche perché le misure hanno ovvie interazioni e vanno valutate congiuntamente. Per lo stesso motivo è fondamentale che il confronto in atto mantenga una visione integrata delle misure di cui si discute, a cavallo fra assistenza e previdenza. L’Ape non può non tenere conto di cosa si fa sugli ammortizzatori sociali e viceversa. Le scelte sulle platee di lavoratori cui fiscalizzare le rate di ammortamento non possono prescindere dagli orientamenti sulle platee di pensionati da sostenere.
Che ruolo svolgerete concretamente nella gestione dell’Ape?
L’Inps sarà al centro dei flussi finanziari e informativi fra lavoratori, imprese, banche e assicurazioni. Il compito più importante e gravoso sarà quello di informare adeguatamente i lavoratori sulle implicazioni dell’eventuale scelta di un anticipo pensionistico. Ci baseremo sull’esperienza delle buste arancioni e avremo un ruolo consulenziale ancor prima che di erogatore. Per questo la riorganizzazione in atto all’Inps è così importante: ci serve a rafforzare la nostra presenza sul territorio e a trattare i problemi di chi si rivolge a noi in modo integrato, guardando alle singole persone anziché alle singole prestazioni.
Parliamo dopo della riorganizzazione. Tornando all’Ape, è d’accordo nel rendere possibile un anticipo di 3 anni e 7 mesi rispetto al requisito della legge Fornero o la flessibilità dovrebbe essere maggiore?
Più che per quanti anni consentire l’anticipo conta come lo si fa. Penso sia giusto consentire a lavoratori una certa libertà di scelta su quando andare in pensione, se questa scelta non grava sulle generazioni future, cioè non fa aumentare il debito pensionistico. Gli anticipi concessi in passato lo hanno fatto esplodere. Purtroppo la stessa Ape, con i bonus fiscali previsti per cancellare ad alcune categorie di lavoratori le rate di ammortamento, finirà per creare debito aggiuntivo. È bene che le categorie cui concedere il bonus siano circoscritte e scelte con cura.
Per esempio?
Se il bonus venisse concesso solo a chi ha redditi familiari bassi, l’Ape diventerebbe una specie di reddito minimo per quella fascia critica di lavoratori che faticano a rimanere sul mercato del lavoro e sono a rischio di povertà. Il bonus sarebbe quindi un primo tassello di quel Sostegno di inclusione attiva (Sia) universale che il governo ha dichiarato di voler costruire.
Per le pensioni basse si ragiona su estensione della quattordicesima e ampliamento della no tax area. Due misure da non leggere necessariamente come alternative l’una all’altra, ha detto il sottosegretario Nannicini. Che idea vi siete fatti a riguardo?
Se si vogliono aiutare i pensionati poveri è bene guardare al reddito familiare, non al solo reddito pensionistico individuale, come fa la quattordicesima che, proprio per questo, in 7 casi su 10 va a persone che povere non sono. Anche il coniuge del percettore di un ricco vitalizio può accedere alla quattordicesima se il suo reddito non supera di 1,5 volte il trattamento minimo. Meglio allora aumentare le maggiorazioni sociali, che guardano all’insieme dei redditi familiari, o, ancora meglio, selezionare i beneficiari con l’Isee, coerentemente con quanto ci si propone di fare nel disegno di legge delega sul contrasto alla povertà. Sarebbe un altro tassello verso la costruzione del Sia o reddito minimo. Sono d’accordo con Nannicini sul fatto che ampliamento della no-tax area e aiuto a pensionati poveri non siano necessariamente in contraddizione…se ci sono le risorse per permettersi entrambe le cose.
E se non ci sono?
Negli ultimi dieci anni il reddito medio dei lavoratori dipendenti è rimasto al palo, mentre quello dei pensionati è cresciuto. La distanza fra i redditi di pensionati e lavoratori si è così ridotta fortemente: oggi chi è in pensione ha mediamente un reddito pari all’80% del reddito di chi lavora; questo rapporto era meno del 70% dieci anni fa. Un paese che stenta a crescere fa bene a favorire queste redistribuzioni verso chi non lavora? Se ci sono risorse per ridurre le tasse, meglio farlo per tutti, pensionati e lavoratori.
Pensa che sia ancora possibile immaginare un ricalcolo dei trattamenti privilegiati in chiave contributiva?
Non mi sembra che quella del ricalcolo sia una ipotesi sul tavolo. Continuo a pensare che sarebbe il modo migliore per finanziare interventi per pensionati e pensionandi poveri, non gravando su chi lavora. Tra l’altro, alla luce della sentenza della Consulta si potrebbero coinvolgere in questa operazione anche i vitalizi dei politici. Ma, ripeto, non mi risulta che queste misure siano all’ordine del giorno.
Gli ultimi dati sulle salvaguardie indicano un minor tiraggio complessivo, con circa 42mila domande accolte in meno del previsto. C’è la possibilità che si realizzi qualche risparmio su questo fronte? In Parlamento c’è chi mira a un’ottava salvaguardia; che ne pensa?
C’è un equivoco ricorrente. Le salvaguardie non vengono finanziate da un fondo su cui si fanno risparmi; tolgono sempre risorse ad altri interventi. L’ottava salvaguardia vuole rendere possibile prolungare il periodo in cui si può esercitare l’opzione di prendersi la pensione con i criteri ante-Fornero. Quindi molti di coloro che non sono usciti con le salvaguardie (che in non pochi casi garantiscono pensioni di più di 3.000 euro al mese) potrebbero farlo a breve. Poi ricordiamoci che le salvaguardie sono già costate più di 11 miliardi, erodendo circa il 30% dei risparmi di spesa attesi dalla riforma del 2011. Con quei soldi si potevano finanziare dieci anni di reddito minimo per chi perde il lavoro fra i 55 e i 65 anni.
Cosa ne pensa delle altre misure annunciate?
Siamo felici di sapere che si sta seriamente pensando di superare le ricongiunzioni onerose che sono inique e penalizzano proprio quelle carriere lavorative mobili, di cui il Paese ha bisogno per tornare a crescere. Era uno dei cardini delle nostre proposte in «non per cassa, ma per equità».
Anche se è in vigore solo da giugno, come sta andando il part time agevolato?
Al 20 agosto erano state accolte 150 domande.
In Inps è stata lanciata una nuova fase di riorganizzazione. Sono passati ormai diversi anni dalle incorporazioni degli altri istituti: Inpdap, Enpals eccetera. Quali sono le novità più rilevanti?
La fusione fra gli enti la stiamo facendo solo adesso. In primis, varando un piano di assunzioni (interamente finanziato coi risparmi nelle nostre spese di funzionamento) di circa 900 funzionari con lauree in Giurisprudenza, Economia, Ingegneria e Informatica. Secondo, stiamo eliminando la sommatoria tra i dirigenti dei vari enti che aveva portato a 48 direzioni centrali, di cui ben 33 a Roma. Le ridurremo a 36, di cui solo 14 saranno al centro, le altre verranno spostate sul territorio. La terza novità riguarda le modalità di conferimento degli incarichi ai dirigenti apicali. Per la selezione gli organi dell’Istituto si avvarranno di una commissione esterna, che non li sceglierà certo in base alla loro provenienza da Inps, Inpdap, Enpals, ecc. o alla loro tessera sindacale, ma pescando fra le ottime professionalità presenti nell’istituto o, se necessario, guardando all’esterno.
Che rapporto c’è tra la vostra riorganizzazione e la riforma della dirigenza varata giovedì dal governo?
Ci muoviamo sulla stessa linea. Anche il decreto del governo, ad esempio, prevede commissioni esterne per la selezione dei dirigenti. Noi siamo già partiti con la riorganizzazione, senza aspettare i tempi di attuazione della riforma che saranno inevitabilmente lunghi, convinti che l’Inps sia un’istituzione nevralgica per il Paese. Quando la riforma sarà in vigore ci sarà di grande aiuto nella gestione della nuova struttura.
Inps potrebbe assicurare un piano di dismissioni immobiliari capace di concorrere al raggiungimento degli obiettivi che il Governo si è posto sul fronte delle privatizzazioni?
Vogliamo nel nostro piccolo contribuire ad abbassare il livello del debito pubblico. Non è il nostro mestiere gestire immobili. Il nostro patrimonio immobiliare vale circa 2 miliardi e mezzo, meno di quanto noi eroghiamo mediamente in due giorni. Quindi le case non valgono certo come garanzie reali delle prestazioni. Ma per poter procedere con le dismissioni serve una modifica normativa, che abbiamo da tempo richiesto.
A proposito di richieste non esaudite, lei ha chiesto una nuova governance per l’Inps ma nessuno ha risposto. Perché?
La domanda andrebbe posta a chi deve varare la riforma. Le resistenze sono forti. Con la nuova governance si azzereranno le posizioni degli organi di vertice e si ridurrà il numero di incarichi. I componenti del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza scenderanno da 22 a 15 e il collegio sindacale da 9 a 5 membri. Sarebbe davvero importante varare la riforma della governance contestualmente con la riorganizzazione dell’Istituto.
Davide Colombo e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 28 agosto 2016