Un massimo di 48 ore per la sospensione dell’assenteista, che andrà convocato per il contraddittorio dopo 15 giorni e potrà chiedere uno slittamento di 5 giorni in caso di «oggettivo, oggettivo e assoluto impedimento» in vista del verdetto finale entro 30 giorni. È il calendario il cuore delle nuove regole sui dipendenti pubblici che vengono individuati in flagrante oppure filmati mentre timbrano l’entrata e poi evitano l’ufficio, per arrivare a quello che il premier Matteo Renzi ha definito ieri in conferenza stampa un «licenziamento cattivo ma giusto», con cui «chi viene beccato a timbrare il cartellino e ad andarsene vede finalmente finita la pacchia». Si gioca tutta sui termini la stretta su un fenomeno, quello dell’assenteismo, che da Sanremo ad Agrigento torna ciclicamente al centro delle cronache e delle riforme della pubblica amministrazione, ma che finora ha prodotto licenziamenti veri con il contagocce. Il testo del decreto esaminato dal Cdm
Il lavoro di rifinitura rispetto alla versione approvata a gennaio si è concentrato sulla doppia esigenza di garantire tempi rapidi alle decisioni disciplinari, cancellando la «lunga trafila» evocata ieri dal premier, e tutelare il diritto di difesa del dipendente. Senza il quale il decreto avrebbe rischiato di trasformarsi in una petizione di principio destinata a cadere davanti ai giudici delle leggi.
Per centrare il doppio obiettivo, il testo finale approvato ieri, che ora attende solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per diventare legge dello Stato, apre una finestra di difesa che dura 15 giorni, durante i quali il dipendente accusato di assenteismo «flagrante» può produrre memorie e difese in vista del contraddittorio, a cui può farsi accompagnare da un procuratore o da un rappresentante sindacale. Durante la sospensione, il dipendente avrà diritto all’assegno alimentare.
Tagliare davvero il traguardo nei tempi chiesti dalla riforma metterà sotto pressione dirigenti e uffici disciplinari, anche se ovviamente non basterà un ritardo per far cadere il tutto, e per evitare distrazioni interviene il capitolo delle sanzioni destinate ai dirigenti, oppure ai responsabili dei servizi negli enti più piccoli dove i dirigenti non ci sono. Sul punto, la polemica è stata sulla citazione esplicita del reato di «omissione di atti d’ufficio» a carico dei dirigenti che avrebbero ritardato l’avvio della procedura verso il licenziamento. Giudici amministrativi e parlamentari hanno chiesto di toglierla, per evitare l’eccesso di delega che avrebbe messo a rischio la legittimità della nuova regola, ma va chiarito che all’atto pratico cambia poco rispetto alla previsione iniziale. «Per il dirigente che gira le spalle», come l’ha definito ieri la ministra per la Pa e l’Innovazione Marianna Madia, il decreto approvato ieri conferma il licenziamento per illecito disciplinare già scritto nel testo di gennaio, a cui affianca la segnalazione all’autorità giudiziaria, chiamata ad accertare «la sussistenza di eventuali reati». Ovvio che il reato in gioco resta quello dell’omissione di atti d’ufficio, per la quale l’articolo 328 del Codice penale prevede una reclusione da sei mesi a due anni: con una pena di questo tipo, è il caso di precisare, non si apre il carcere alla prima condanna.
Il pacchetto delle sanzioni a carico degli assenteisti non si esaurisce comunque qui, perché contempla anche un versante erariale, con la definizione delle modalità con cui i dipendenti condannati devono risarcire l’amministrazione per il «danno all’immagine» prodotto dal loro comportamento. Anche in questo caso, la riforma interviene su un filone già aperto dalle regole in vigore, ma gioca la carta della precisazione per legge di tempi e sanzioni per provare a tradurlo in pratica. Gli assenteisti colti sul fatto vanno segnalati entro 15 giorni alla procura della Corte dei conti, che deve avviare l’azione di responsabilità entro 120 giorni dalla denuncia. Pesare il danno, e quindi il risarcimento, rimane compito della «valutazione equitativa» del giudice contabile, che dovrà muoversi però entro due parametri: la condanna non potrà essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio, più interessi e spese di giustizia, e dovrà essere misurata anche sulla base della «rilevanza del fatto per i mezzi d’informazione». La fortuna incontrata dal suo caso su giornali e televisioni, insomma, potrà aumentare il conto a carico dell’assenteista, sulla base del presupposto che un assenteismo “da prima pagina” danneggia l’immagine della Pa più di una vicenda confinata nelle brevi. Il collegamento fra i due fattori è indiscutibile ma il parametro è piuttosto atecnico, e ha fatto storcere il naso al Consiglio di Stato: alla base, però, ci sono ragioni più politiche che giuridiche.
Dal consiglio dei ministri di ieri è arrivato poi il via libera finale alla riforma dei comparti, che in base all’accordo raggiunto il 6 aprile scorso e poi passato all’esame dell’Economia riduce da 11 a 4 i contratti nazionali del pubblico impiego. Il passaggio era indispensabile per aprire le trattative sul rinnovo dei contratti, definiti da Renzi «un obbligo ma anche un impegno che ci sentiamo di prendere». Costruito il quadro delle regole occorre cominciare a discutere su come gestire i soldi, 300 milioni più la quota a carico dei bilanci di regioni ed enti locali, messa a disposizione dall’ultima manovra: e sul punto le trattative promettono scintille.
Trenta giorni per il verdetto definitivo
Il testo finale del decreto conferma il calendario blindato per i dipendenti pubblici individuati in flagrante a effettuare false timbrature. La sospensione è disposta, senza obbligo di audizione preventiva, «in via immediata e comunque entro 48 ore» da quando il fatto è conosciuto.
Con il provvedimento di sospensione si procede alla contestuale contestazione per iscritto e alla convocazione del dipendente, con un preavviso di almeno 15 giorni.
In questo periodo, il dipendente può inviare una memoria scritta e chiedere un ulteriore rinvio di cinque giorni in caso di «grave, oggettivo e assoluto impedimento». Tutta la procedura si deve comunque concludere di norma entro 30 giorni dalla sospensione
Licenziamento anche per il dirigente che tarda la sanzione
I dirigenti, oppure i «responsabili di servizio» negli enti privi di qualifiche dirigenziali, vanno incontro a un illecito disciplinare se ritardano «senza giustificato motivo» la sospensione del dipendente assenteista o l’attivazione del procedimento disciplinare a suo carico. L’illecito è «punibile con il licenziamento», e fa scattare la segnalazione all’autorità giudiziaria «ai fini della sussistenza di eventuali reati». Quest’ultima formula sostituisce la previsione esplicita dell’omissione di atti d’ufficio, che compariva nel testo originale e aveva sollevato le critiche di Consiglio di Stato e Parlamento per il rischio di un eccesso di delega.
In ogni caso, il reato in discussione è lo stesso, e prevede una pena da sei mesi a due anni (che in sé non comporta dunque il carcere)
Risarcimento misurato sulla «fortuna» mediatica del caso
Il decreto precisa anche tempi e modalità per la contestazione del danno all’immagine della pubblica amministrazione a carico del dipendente assenteista. Il caso di flagranza che fa partire la procedura rapida verso il licenziamento fa scattare anche la segnalazione alla Procura regionale della Corte dei conti, che esercita l’azione di responsabilità entro i 120 giorni successivi alla denuncia e senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno, e quindi del risarcimento che l’assenteista deve versare alla Pa, è ovviamente «rimesso alla valutazione equitativa del giudice», ma con due criteri: non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, e va misurato anche in base alla rilevanza ottenuta dal caso sui mezzi di informazione.
Il Sole 24 Ore – 16 giugno 2016