Arriverà oggi dalle commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera il parere finale sul decreto anti-assenteismo, ultimo passaggio prima del via libera definitivo in consiglio dei ministri che come ribadito dalla ministra Marianna Madia è previsto per la prossima settimana. Intanto dalla Cassazione arriva una sentenza, la 11630 depositata ieri, che «salva» dal licenziamento i vecchi assenteisti a patto che non siano recidivi. Ma andiamo con ordine. Sulle nuove regole anti-assenteismo, che attuano la parte della delega sulla Pa relativa al procedimento disciplinare e prevedono la sospensione entro 48 ore e il licenziamento in 30 giorni dei dipendenti pubblici colti in flagrante a timbrare l’entrata senza però entrare in ufficio, anche la Camera è intenzionata a porre tre condizioni su altrettanti punti delicati del decreto.
Il parere, su cui il lavoro di Montecitorio è stato coordinato dai relatori Alan Ferrari per la Affari costituzionali e Valentina Paris per la Lavoro, chiederà al governo di scandire un calendario preciso sul preavviso e sulla notifica della contestazione, anche per garantire il diritto al contraddittorio.
È un tema solo apparentemente tecnico, che intreccia però l’obiettivo sostanziale del provvedimento, perché una procedura incerta moltiplica i rischi di contenzioso e può offrire armi in più all’assenteista. la Camera, inoltre, chiederà di evitare la previsione esplicita del reato di «omissione di atti d’ufficio» a carico del dirigente che non fa partire subito il procedimento disciplinare: l’obiettivo della richiesta, accompagnata dalla proposta alternativa di segnalazione obbligatoria all’autorità giudiziaria, è quello di mettere al riparo il decreto dal rischio di andare oltre i confini già tracciati dalla delega, come segnalato anche dal Consiglio di Stato: l’eccesso di delega, infatti, espone il decreto alla possibilità di essere poi giudicato illegittimo dalla Consulta. In linea con le indicazioni del Senato, poi, c’è la richiesta di prevedere l’assegno alimentare per il dipendente sospeso e “in attesa” del licenziamento.
Sugli assenteisti, ha ricordato la ministra, ci sono già procedimenti in atto, ma gli esiti non sono sempre quelli scontati. Ieri per esempio la Cassazione ha detto l’ultima parola sul caso di un funzionario di un Comune del Nord che a fine 2008 era stato licenziato per false timbrature. A “salvare” il dipendente è stato il contratto degli enti locali firmato il 22 gennaio 2004, l’ultimo siglato prima del lungo congelamento contrattuale della Pa, che prevede la sospensione da 11 giorni a sei mesi per i «fatti, colposi o dolosi, che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio», riservando il licenziamento alle «recidive plurime». A complicare le cose c’è il fatto che il decreto Brunetta, con la stretta sulle sanzioni anti-assenteismo, è arrivato solo nel 2009, cioè l’anno successivo al caso, ma per giustificare il licenziamento il Comune aveva invocato il «notevole inadempimento degli obblighi contrattuali» indicato come giustificato motivo di licenziamento dalla legge 604 del 1966. La Cassazione ha ribattuto però che in fatto di licenziamento le previsioni dei contratti nazionali «non possono essere disattese dai giudici», perché sono il frutto della «valutazione della gravità di determinati comportamenti» svolta dalle parti sociali e che quindi non è possibile stabilire una sanzione «più grave di quella prevista dal contratto».
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 8 giugno 2016