Giornata “piena” ieri per la gestione dell’emergenza Pfas in Veneto. Nella mattinata l’incontro con i rappresentanti del mondo agricolo. Nel pomeriggio l’approvazione in consiglio regionale di una risoluzione che impegna la Giunta ad azioni di tutela. Stando a quanto riporta il Gazzettino nell’incontro di ieri mattina a Palazzo Balbi, le associazioni degli agricoltori e degli allevatori “si sono sentiti dire che, al momento, il rischio Pfas per gli uomini è strettamente correlato all’acqua. Se si beve acqua contaminata, ci si “avvelena” il sangue. Se si mangiano uova contaminate da Pfas il rischio c’è comunque, ma è percentualmente minore: bisognerebbe mangiare 50 uova al giorno. Tant’è, gli accertamenti sugli alimenti vanno comunque fatti. Così come sull’acqua dei pozzi usati in agricoltura. Ma a pagare non saranno le aziende agricole”. Fin qui il Gazzettino. Alla riunione di ieri convocata dall’assessore all’Agricoltura Giuseppe Pan, comunque, c’erano i colleghi alla Sanità Luca Coletto e all’Ambiente Gianpaolo Bottacin, con dirigenti e tecnici dei vari settori.
Spiccava, in un incontro con allevatori e produttori dell’agroalimentare, l’assenza dei tecnici della struttura regionale competente in materia di sanità veterinaria e sicurezza alimentare, inspiegabilmente esclusi dai lavori. Vale la pena di ricordare qui la peculiarità delle competenze di veterinaria pubblica che vanno dal controllo dell’alimentazione degli animali, ai foraggi e all’acqua di abbeverata, a quelli sulla produzione di latte, uova, carne, alla sorveglianza sul prodotto ittico. Senza tralasciare, in una vicenda come questa, gli importanti aspetti realativi al benessere animale che sembrano in questo momento un po’ dimenticati.
Falde inquinate, monitoraggi capillari. E spunta l’idea di deviare un canale per ripulire l’acqua
dal Corriere del Veneto. Per ripulire i pozzi stanno pensando perfino di deviare un canale. Come fosse un’enorme canna d’acqua lasciata in mezzo a un giardino, dovrebbe lavar via le Pfas che hanno contaminato le falde o, quanto meno, diluirle al punto da renderle innocue. «Si tratta di una diramazione dell’Adige che scende dal Vicentino verso il Padovano, gestita dal Consorzio Lessino Euganeo Berico – spiega l’assessore all’Agricoltura Giuseppe Pan -. L’intervento, di cui al momento non conosciamo i costi, si potrebbe fare piuttosto velocemente, basterebbero alcuni by-pass». In alternativa, durante l’incontro di ieri a Palazzo Balbi tra la Regione e le rappresentanze degli agricoltori (Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Anpa) è stata valutata l’ipotesi di variare l’altezza dei pozzi, così da intercettare le falde pulite («Si potrebbe scendere dall’attuale profondità media di 80 metri a quella di 120 metri, a cui pescano in sicurezza le industrie dell’acqua minerale» dice Pan). Terza soluzione abbozzata, l’apposizione di filtri a carbone attivo, sulla scia di quanto si fa dal 2014 per l’acquedotto a servizio delle abitazioni (costo 2,8 milioni di euro, scaricato sulle bollette degli utenti). Su pressione di agricoltori e allevatori, è stata invece scartata senza appello l’ipotesi di collegare le aziende alla rete idrica: considerando che un allevamento impiega circa 30 mila litri di acqua al giorno, i costi sarebbero esorbitanti e si correrebbe il rischio di lasciare a secco le famiglie.
Tutto, in ogni caso, è rimandato a quando Arpav avrà in mano le analisi dei pozzi (se negative, ovviamente, il problema non si pone), analisi che saranno realizzate a prezzo convenzionato dopo che gli imprenditori avranno comunicato all’Agenzia numero e localizzazione delle imprese che pescano direttamente dalle falde. Fino ad allora, «ci vorrà un mese» ipotizza l’assessore alla Sanità Luca Coletto, si va avanti come nulla fosse: «Stiamo affrontando il problema insieme al territorio – dice Pan – con la massima prudenza ma anche con la consapevolezza che per le acque sotterranee, ad oggi, non esistono limiti di legge. Aspettiamo che ci facciano sapere di più dal ministero dell’Ambiente e dall’Istituto superiore di sanità». Una cautela condivisa dal presidente di Coldiretti Martino Cerantola, che se la prende con i medici: «Sostengono tutto e il contrario di tutto e non si rendono conto della gravità di quel che dicono, dei danni che provocano con il loro allarmismo. Faremo tutte le analisi necessarie ma sia chiaro, il prodotto veneto è un prodotto sano e di qualità. Gli stessi controlli, con la stessa meticolosità, si fanno anche sui prodotti importati dall’estero?». Gli imprenditori agricoli hanno apprezzato la disponibilità di Regione e Arpav («Ci hanno assicurato una corsia preferenziale») ma chiedono che si faccia in fretta perché il danno d’immagine rischia di sommarsi alla crisi già imperante nel settore. «C’è grande preoccupazione – racconta il presidente di Confagricoltura, Lorenzo Nicoli – e certo è una vicenda complicata, non si trovano neppure i responsabili dell’inquinamento…».
Nonostante Arpav identifichi chiaramente nel suo dossier la Miteni di Trissino come il focolaio degli sversamenti, in Regione c’è infatti parecchia cautela al riguardo, si ricorda che nell’area lavorano molte concerie e che comunque finora non ci sono stati limiti da rispettare sulle Pfas e se non ci sono limiti è difficile punire chi non li rispetta. «Nei loro confronti siamo intervenuti già nel 2014, con la revisione dell’autorizzazione integrata ambientale e nuovi vincoli – ricorda l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin – è stata prevista una barriera idraulica con 8 pozzi, l’obbligo di mandare in depuratore l’acqua di processo e ora abbiamo chiesto a Miteni di rispettare i limiti dell’acqua potabile». Fin qui, la messa in sicurezza. Per il repulisti della falda, però, ci vorrà molto più tempo: «È un’operazione complessa, ci deve dare una mano il ministero» allarga le braccia Bottacin. Complessa fino a che punto? Potrebbero aiutare dei carotaggi sotto lo stabilimento ma non si sa bene chi li debba ordinare: l’Arpav? La procura di Vicenza?
E il Consiglio approva una risoluzione per azioni in difesa della salute di popolazione e ambiente
dal Giornale di Vicenza. Ha ricevuto il via libera del consiglio regionale, sempre ieri, la risoluzione che impegna la giunta e il consiglio veneti a individuare le azioni di assistenza e tutela legale della popolazione interessata dall’inquinamento, verificando la possibilità di azioni per il risarcimento dei danni; a estendere i controlli anche nei territori vicini a quelli individuati; ad attivarsi per trovare nuove fonti di approvvigionamento di acqua pulita. «Sul fronte dei controlli, è fondamentale assicurare ad Arpav dotazioni strumentali adeguate per le analisi su campioni anche privati – ha commentato il consigliere regionale vicentino del Pd Stefano Fracasso -, con l’obiettivo di limitare il più possibile i costi a carico dei cittadini. Come già avevamo chiesto, oggi è stata inoltre ribadita la necessità di garantire con urgenza al territorio nuove fonti di approvvigionamento alternative a quelle contaminate». «Ampliare i controlli così come individuare nuove fonti di approvvigionamento di acqua pulita vuoi dire spendere dei soldi – ha dichiarato il senatore vicentino dell’Udc Antonio De Poli -. Bisogna dunque fare le analisi dei pozzi, ma l’estensione del monitoraggio richiede un intervento straordinario da parte di Regione e governo».
Il consiglio ha approvato tre emendamenti, tra cui quello del gruppo Veneto del fare-Flavio Tosi, che chiede di vietare la distribuzione sui terreni agricoli di fanghi contenenti Pfas, e del Pd che chiede l’inserimento delle Ulss interessate nel Registro tumori del Veneto. Su quest’ultimo punto l’assessore alla sanità Coletto ha specificato come la Regione si sia già attivata per includere l’Ulss 5 nel Registro.
Di progetti in tal senso ha parlato, nel corso del dibattito, l’assessore all’ambiente Bottacin. Tra questi, figurano la sostituzione del campo pozzi di Almisano di Lonigo, ad ovest, per andare a pescare l’acqua più a nord, e i lavori per approvvigionare il Basso Vicentino prelevando dall’area di Carmignano di Brenta, come già previsto dal Modello strutturale acquedotti Veneto, per una spesa di 50 milioni. Previsti anche interventi per assicurare acqua pulita alle attività produttive per 20 milioni e l’utilizzo del canale Leb per distribuire acqua non contaminata per le irrigazioni con costi per 10 milioni di euro. «Sono opere che richiederanno anni per essere realizzate, per il momento andremo avanti con i filtri a carboni attivi», ha concluso Bottacin.
«Bisognerà considerare anche la contaminazione aerea, vedendo quanto fatto in altri Paesi – ha sostenuto Andrea Zanoni del gruppo Pd -. Sarà interessante controllare la contaminazione per classi di età». «Perché non istituire un fondo per i cittadini che vogliono controllare se la loro acqua è buona? ha suggerito Marino Zorzato, Area popolare Veneto. Oggi le analisi costano 280 euro.
Tratto da articoli del Gazettino, Il Corriere del Veneto e Il Giornale di Vicenza – 27 aprile 2016