Primo stop sui profili nutrizionali decisi 10 anni fa dalla Ue. E primo passo per spegnere la luce ai “semafori nutrizionali” varati dalla Gran Bretagna per distinguere i presunti cibi “sani” da quelli non salutari. La decisione definitiva arriverà dalla procedura d’infrazione aperta dalla Commissione. Il Parlamento Ue – riunito in Plenaria a Strasburgo – ha approvato, a larga maggioranza (402 a 285), l’articolo 47 del “rapporto Kaufmann”, che chiede alla Commissione di Bruxelles di eliminare il concetto di profili nutrizionali. Introdotti con il regolamento 1924/2006 – rimesso in discussione dopo che 2 anni è stata aperta dalla Commissione una procedura d’infrazione verso il Regno Unito ( che ora potrebbe accelerare) – i profili nutrizionali distinguono arbitrariamente i cibi in buoni e cattivi sulla base del contenuto di grassi, grassi saturi, sali e zuccheri, a prescindere da dieta e quantità. Dai profili, infatti, derivano quelle “etichette a semaforo” («traffic light labels») adottate in Gran Bretagna
Che marchiano con un bollino rosso i prodotti considerati “cattivi” – penalizzando paradossalmente molti prodotti Dop e Igp della dieta mediterranea, come il prosciutto crudo, il parmigiano reggiano e l’olio extravergine – ma non le bibite gassate “light”.
«Il voto di ieri – ha spiegato Paolo de Castro, coordinatore S&D per la commissione agricoltura dell’Europarlamento – rappresenta un grande gioco di squadra tra i Paesi del Sud, coordinato dall’Italia. Noi chiediamo un’etichettatura informatova, sulla tracciabilità del prodotto e dei suoi ingredienti. Quello che oggi avviene in Gran Bretagna è invece un giudizio, un condizionamento delle scelte del consumatore. Per questo, da ora, chiederemo, con un’interrogazione scritta a risposta immediata al commissario alla Salute e Sicurezza alimentare, Vytenis Andriukaitis, un’indagine analitica sull’impatto economico che l’etichettatura a semaforo” ha avuto sui èrodotti mediterranei nel Regno Unito».
«Abbiamo unito le filiere produttive, quelle agricole e collaborato costantemente con i nostri parlamentari. Ora ci aspettiamo che la Commissione Ue faccia un salto di qualità concreto su questo piano» ha affermato il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina. Da una ricerca commissionata da Federalimentare a Nomisma, emerge, infatti, che l’etichetta colorata, introdotta da giugno 2013, è facoltativa ma fortemente raccomandata da alcuni governi, tanto che è stata adottata dal 98% delle imprese della distribuzione in Uk. Sulla base di dati Nielsen – pari al 25,7% della grande distribuzione nel Regno Unito – è emerso che, ad esempio, il parmigiano senza il semaforo colorato ha incrementato, fra il 2013 e il 2015, la quota di mercato Uk del 7% e il volume di vendita del 54 per cento. Mentre quello “etichettato”, negli stessi periodi, ha perso, rispettivamente il 7 e il 10 per cento. Stessa cosa per il prosciutto crudo di Parma. Senza etichetta colorata, le vendite erano salite a +17%, quello con etichetta aveva azzerato la crescita (-17 per cento).
Per questo, ha commentato ieri Coldiretti, «la bocciatura dell’etichetta a semaforo salva il 60% delle produzioni italiane nel Regno Unito».
Soddisfatta anche Federalimentare, che con Coldiretti aveva scritto una nota ai nostri europarlamentari per sottolineare l’importanza del voto. «È l’ennesima dimostrazione – ha affermato il presidente di Federalimentare – che quando la filiera italiana si muove unita e supportata dalle istituzioni e dagli europarlamentari del nostro Paese, non esistono battaglie che non si possano vincere. Per questo non dobbiamo mollare anche su un altro tema caldo, la tracciabilità dell’origine della materia prima». (Laura Cavestri)
L’ANALISI. UNA VITTORIA DEL BUON SENSO E DEL LAVORO DELLE ISTITUZIONI
Una vittoria del buon senso e, certamente, anche dell’intenso lavoro che isitituzioni e associazioni di categoria italiane – in primis Federalimentare – hanno svolto in questi anni per bloccare le nefaste conseguenze dei profili nutrizionali. La storia racconta che nel 2006 la Commissione Ue varò un regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute. Lo scopo era quello di dare nuovi strumenti di valutazione al consumatore all’atto dell’acquisto. Da queste indicazioni, nel giugno 2013 il Regno Unito partorì l’idea di introdurre etichette con tre colori differenti con cui indicare i contenuti in sale, zuccheri e in grassi, contraddistinti dai colori rosso (altro contenuto), verde (basso) e giallo(neutro). Da qui il nome di “etichette a sameforo”. Il progetto mirava a contribuire alla lotta all’obesità e, di per sè, l’obiettuvo era ed è encomiabile. Peccato che il debutto delle etichette nutrizionali a semaforo si basava su rapporti scientifici dubbi e, soprattutto, causò un danno enorme alle esportazioni italiane di prosciutto, parmigiano e grana padano, le cui etichette negli scaffali dei supermercati inglesi erano di un bel rosso vivo. Inevitabili i ricorsi e un primo pronunciamento della Commissione Ue, che nell’ottobre del 2014 avviò una procedura di infrazione nei confronti della Gran Bretagna. La battaglia sembrò perdere qualche colpo il mese scorso quando il 15 marzo, a chiusura del Consiglio agricolo Ue, le posizioni italiane si indebolirono. Ora il pronunciamento del Parlamento di Strasburgo rende giustizia al made in Italy. Anche perchè, nel frattempo, altri Paesi europei stavano meditando di adottare la medesima procedura delle etichette nutrizionali a semaforo. Ovvio che, per esempio, un etto di prosciutto o di parmigiano hanno di per sè un certo contenuto in sale; ma non sono un etto di prosciutto crudo o di formaggio all’origine dell’obesità alimentare tra i giovani in Gran Bretagna e in altri Paesi europei. Il tema e la chiusura della vicenda dei così detti profili nutrizionali insegna che prima di tutto occorre partire dall’educazione alimentare per contrastare il fenomeno dell’obesità e delle malattie cardiovascolari in genere. L’Italia – ma non solo, in questo siamo in buona compagnia di Europa – vanta una consolidata tradzione alimentare, frutto della correlazione tra territori, agricoltura e trasformazione dei prodotti. Da alcuni mesi Istituto del commercio con l’estero, ministero delle Politiche agricole e ministero dello Sviluppo economico hanno avviato il più importante programma di sostegno al made in Italy alimentare che mai sia stato varato, complici anche i sei mesi di Expo a Milano. Ora che il bastone delle etichette semaforiche è spezzato, diamo più forza alla ruota dei progetti e facciamo capire e sapere quanto sia salubre consumare “italiano”. (Roberto Iotti)
LA BATTAGLIA PER L’ORIGINE. RESTA APERTO IL FRONTE DEL «MADE IN». L’ITALIA DECISA A OTTENERE LA TRACCIABILITÀ DEI PRODOTTI IN ETICHETTA
Con lo stop ai semafori un punto in favore dell’Italia, ma i riflettori ora si spostano su un’altra questione strategica per il made in Italy agroalimentare: un’etichetta più trasparente. Sull’indicazione dell’origine dei prodotti alimentari è impegnato in prima linea il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina. «Per noi – ha detto – valorizzare l’origine è un tratto distintivo e l’etichettatura è il mezzo che consente al consumatore di scegliere in modo consapevole». Ma ha anche chiarito che la regola deve essere europea. L’Italia, infatti, sulle norme proposte negli ultimi dieci anni a livello nazionale, ha sempre incassato la bocciatura di Bruxelles. Il vento però sta cambiando. Lo sottolinea la Coldiretti che sull’origine in etichetta ha impostato la strategia associativa degli ultimi anni. Ora, secondo il presidente dell’organizzazione, Roberto Moncalvo, ci sono le condizioni per modificare la norma comunitaria sotto la spinta di Italia e Francia. Parigi infatti ha già ottenuto il prima via libera dalla Commissione Ue, in base al regolamento 1169 entrato in vigore nel 2014, per l’etichettatura di origine per i derivati del latte e della carne. Questo regolamento, ricorda Moncalvo, consente ai singoli Stati di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti qualora i cittadini esprimano in una consultazione parere favorevole.
E dalla consultazione on line,realizzata lo scorso anno dal Mipaaf, è emerso con chiarezza l’orientamento dei consumatori italiani. Oltre il 96% – spiega il ministero – vuole un’etichetta in cui sia scritta in modo chiaro e leggibile l’origine dell’alimento, l’84% chiede di conoscere il luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione. Per 8 italiani su 10 è decisivo per l’acquisto che il prodotto sia realizzato con materie prime nazionali. «Gli italiani – aggiunge il Mipaaf – vogliono conoscere sempre l’origine delle materie prime in particolare su alcuni prodotti come le carni fresche e il latte fresco (95%), i prodotti lattiero-caseari (90%), la frutta e verdura fresca (88%), le carni trasformate e in scatola (87%) o il riso (81%)». Forte di questi risultati e dell’appoggio della Francia, che dopo anni di opposizione sembra essersi schierata sulla linea italiana, Martina è pronto al pressing su Bruxelles.
La condivisione europea su questi temi è fondamentale per Federalimentare che invita a procedere nelle prossime battaglie su questa linea: « Non dobbiamo mollare – ha dichiarato il presidente, Luigi Scordamaglia – e introdurre con norme nazionali quelle che pensiamo di non riuscire a ottenere in Europa. Chiediamo cose giuste e di buon senso e la Commissione non può dirci no o deresponsabilizzarsi lasciando la palla agli Stati membri, come purtroppo fa sempre più spesso». (Annamaria Capparelli)
Il Sole 24 Ore – 13 aprile 2016