Bruno Benelli. Si fa presto a dire vado in pensione. Sì, ma quali sono gli esatti requisiti anagrafici e contributivi che si devono avere nel corso di quest’anno? Proviamo a entrare nel labirinto dei numeri, partendo da un dato che è comune a tutte le categorie di lavoratori iscritte all’Inps: l’aumento di 4 mesi per raggiungere l’età minima di pensione di vecchiaia. Si va in pensione con 66 anni + 7 mesi d’età. Ma per talune lavoratrici l’aumento è ben più consistente: le autonome (coltivatrici dirette, artigiane, commercianti, parasubordinate) hanno la pensione a 66 anni + 1 mese (aumento di 16 mesi), le dipendenti a 65 anni + 7 mesi (aumento di 22 mesi), mentre le donne del settore pubblico hanno i 4 mesi di prammatica, avendo già raggiunto la parità anagrafica con gli uomini. Il successivo scatto per tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere, si avrà con l’anno 2019.
Per il quale la scheda tecnica allegata alla legge di riforma Fornero prevede il pensionamento a 66 anni + 11 mesi (aumento di 4 mesi). Ma è probabile che questo scatto sia già obsoleto.
La Ragioneria generale dello Stato, sulla base delle stime più avanzate dell’Istat, prevede che l’aumento sia di 5 mesi: pensionamento a 67 anni tondi .
Perciò per avere la pensione nel corso del 2016 è necessario che i lavoratori siano nati: a) entro il 31 maggio 1950, se si tratta di uomini dipendenti e autonomi e donne del pubblico impiego; b) entro il 30 novembre 1950, se si tratta di donne autonome e parasubordinate; c) entro il 31 maggio 1951, se si tratta di donne dipendenti del settore privato.
Per tutti i lavoratori dipendenti c’è un ulteriore requisito: la cessazione del rapporto di lavoro. Strozzatura che al contrario non è prevista per il lavoro autonomo.
Per i lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dopo il 31 dicembre 1995 la pensione di vecchiaia, calcolata con l’esclusivo metodo contributivo, ha gli stessi requisiti (età e anzianità), ma con un ulteriore elemento di difficoltà. La pensione infatti viene liquidata solo se la persona ha versato contributi tali da ottenere una rata mensile di una volta e mezzo l’assegno sociale, cioè una rata di almeno 672,11 euro lordi. Altrimenti, niente pensionamento: la persona deve continuare a lavorare e versare altri contributi per raggiungere tale minimo. E qui si presenta il percorso di una gara a ostacoli, in quanto ogni anno l’assegno sociale aumenta e perciò cresce il limite minimo. Con il rischio che la persona non potrà mai arrivarci.
Ma se questa rincorsa non dà buoni frutti c’è lo “zuccherino”. La pensione viene assegnata e stavolta bastano solo 5 anni di contributi effettivi, ma questa agevolazione la legge se la fa pagare pesantemente: occorrono almeno 70 anni di età, che nel 2016 sono già 70 anni + 7 mesi.
La Stampa – 21 marzo 2016