Sospensione obbligatoria e senza contraddittorio da lavoro e retribuzione entro 48 ore da quando viene accertata la falsa attestazione della presenza in servizio; contestuale avvio di un procedimento disciplinare più rapido, che dovrà concludersi entro 30 giorni (oggi la dead line è 60 giorni, ma nella pratica si superano quasi sempre i 100, al netto, poi, dei successivi strascichi giudiziari). Dopo gli annunci del premier Matteo Renzi sta prendendo forma il provvedimento, atteso domani in Cdm con un’altra decina di decreti attuativi della legge Madia, che dovrà introdurre un primo giro di vite contro i “furbetti” del cartellino. L’articolato avrà la forma di un Dlgs di pochissimi articoli e, da quanto si apprende, riguarderà una sola fattispecie di illecito disciplinare, vale a dire la falsa attestazione della presenza in servizio. La novità, rispetto a oggi, è che si renderà obbligatoria e più rapida la procedura che porta al licenziamento del dipendente pubblico infedele, spiegano i tecnici di palazzo Vidoni.
La sospensione dal servizio scatterà entro 48 ore dall’accertamento dell’illecito, che può avvenire in due modi: o il soggetto viene colto in flagranza oppure viene sorpreso nella falsa attestazione della presenza in servizio con degli strumenti di registrazione (ad esempio, le telecamere). L’accertamento del grave illecito disciplinare può essere fatto dal dirigente o dall’ufficio per i procedimenti disciplinari (l’Upd già presente nelle Pa).
L’allontanamento dal servizio diventa obbligatorio: «Oggi – spiega Sandro Mainardi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Bologna – è previsto solo per il caso di commissione di taluni gravi reati contro la Pa, mentre resta facoltativa per gli altri casi nelle discipline dei contratti collettivi».
Il procedimento disciplinare che porterà al licenziamento dovrà durare al massimo 30 giorni e lì scatteranno le garanzie normative e contrattuali per il dipendente (che quindi potrà difendersi). Se il dirigente, venuto a conoscenza dell’illecito, non si attiva ne risponderà in prima persona con il licenziamento disciplinare, ma in base alla procedura normale (oggi si ha al massimo la sospensione fino a tre mesi).
Le novità del Dlgs si fermerebbero qui: in caso di impugnazione e, successivo, annullamento da parte del giudice dell’atto di licenziamento del dipendente pubblico “fannullone” resterebbero le attuali tutele dell’articolo 18 dello Statuto: il soggetto andrà pertanto reintegrato e gli dovranno essere corrisposti gli arretrati. Non cambierà nulla per il dirigente: rimane responsabile, come prevede l’attuale normativa, solo nei casi di dolo o colpa grave. È ancora, invece, oggetto di approfondimento l’ipotesi di unificare tutte le visite ispettive sui dipendenti pubblici in capo all’Inps. Oggi vengono stanziati 70 milioni di euro l’anno che servono a spesare le Usl per i controlli effettivamente svolti. L’accentramento all’Inps dovrà interessare anche queste risorse, e si sta ragionando pure se “rinfrescare” i criteri per le visite, a partire dalle fasce di reperibilità.
Come detto questo Dlgs è solo un’anticipazione del riordino delle norme sui procedimenti disciplinari e, in genere, sul lavoro pubblico atteso con il Testo unico che dovrebbe arrivare non prima dell’estate. Questo provvedimento ha un compito importante, quello di disciplinare, in modo unitario, diverse tematiche dall’individuazione di limitate e tassative fattispecie dove si potrà ricorrere a forme di lavoro flessibile; al decollo delle regole sulla valutazione dei “travet”.
Il Testo unico dovrà anche sciogliere il nodo di quale articolo 18 applicare al pubblico impiego. Ancora ieri il ministro Marianna Madia ha difeso la versione attuale della norma che di fatto conferma, solo per la Pa, la reintegra per qualsiasi ipotesi di licenziamento illegittimo. Ma non mancano malumori e opinioni diverse all’interno della maggioranza, e c’è chi vorrebbe più coraggio nel coordinare meglio lavoro pubblico e lavoro privato.
Davide Colombo e Claudio Tucci – Il Sole 24 Ore – 19 gennaio 2016