di Domenico Comegna. In pensione più tardi e con meno soldi in tasca. Insomma, non butta bene per chi è già in pensione, né tanto meno per chi si ritira dal lavoro nel 2016. I primi devono fare i conti con assegni di importo addirittura inferiore a quelli riscossi nel 2015. Gli altri, con l’innalzamento dei requisiti per ottenere la rendita di vecchiaia e anzianità. Dal primo gennaio, infatti, è scattato uno scalone che penalizza coloro che non sono riusciti a completare i requisiti richiesti per l’assegno Inps prima del 31 dicembre. È l’effetto dell’applicazione degli indicatori legati all’aumento della speranza di vita, che allunga di 4 mesi la data dell’uscita dal lavoro, ma anche della entrata in vigore di alcune norme contenute nella riforma Fornero che penalizzano soprattutto le donne, spostando in avanti il traguardo di quasi due anni per la pensione di vecchiaia. La misura della rendita è invece ridotta a causa dei nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo, quelli che si utilizzano per il calcolo delle nuove pensioni.
Senza tralasciare l’indicizzazione, che, come dice l’Istat, nel 2015 è pari a zero, per cui nel 2016 non è previsto nessun aumento. Fanno eccezione gli assegni entro i 2 mila euro, ai quali vengono corrisposti gli aumenti ridotti relativi al recupero dell’inflazione del 2012-2013 , il cui blocco deciso dalla riforma Fornero, è stato bocciato dalla Corte costituzionale lo scorso mese di giugno.
Parametri
Nel 2016 i parametri s’innalzano di 4 mesi. Pertanto, la soglia anagrafica degli uomini sale a 66 anni e 7 mesi, mentre quella delle donne raggiunge i 65 anni e 7 mesi (66 anni e un mese le lavoratrici autonome). Per le donne allo scalino di 4 mesi si aggiunge l’aumento previsto dalla Fornero per equiparare il requisito a quello degli uomini. A questo proposito, va ricordato che la riforma del 2011 stabilisce che, anche se l’incremento dato dalle variazioni demografiche non dovesse arrivarci, a partire dal 2022 l’età del pensionamento non potrà comunque risultare inferiore a 67 anni di età. L’adeguamento alla speranza di vita (4 mesi) interessa anche la pensione anticipata (l’ex anzianità) : nel 2016, quindi, per quest’ultima sono richiesti 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne).
Opzione donna
Meglio un assegno più magro oggi, che una pensione più ricca domani. Così si potrebbe titolare la discussa vicenda delle donne che hanno dovuto dire addio alla pensione di anzianità prima della riforma Fornero. Ben presto l’età minima di vecchiaia salirà fino a raggiungere quella degli uomini (66 anni nel 2018). Per l’uscita anticipata dal lavoro non resta quindi che una strada. Quella che la legge riserva fino a tutto il 2015 alle lavoratrici con 35 anni di contributi e almeno 57 anni di età (almeno 58 anni le autonome), disposte a scegliere il meno vantaggioso calcolo contributivo del trattamento (con una perdita intorno al 20-30%). Per questa formula, però, occorre mettere nel conto la vecchia «finestra mobile» (il tempo di attesa tra la maturazione dei requisiti e l’effettivo pensionamento) e, dunque, bisognava essere a posto ben 12 mesi prima (18 mesi prima le autonome). Ebbene, l’opzione donna, grazie alla nuova legge di Stabilità, sarà possibile anche per coloro che hanno raggiungo i requisiti (35 anni di contributi e 57 e 3 mesi di età, 58 e 3 mesi le autonome) entro il 31 dicembre 2015, anche se la decorrenza del trattamento pensionistico ricade oltre tale data.
Niente aumenti
L’indice Istat dell’inflazione 2015 è negativo e pertanto dal 1° gennaio 2016 non è stato riconosciuto alcun aumento delle pensioni. Ma come se non bastasse, l’indice provvisorio dello scorso anno, che era stato stabilito nella misura dello 0,3%, è stato definitivamente fissato nello 0,2%, per cui dal primo gennaio gli assegni previdenziali sono stati lievemente ridotti, con la prospettiva della restituzione di quanto corrisposto in più nel 2015 (per le pensioni al minimo il recupero si aggira intorno ai 6 euro). Una rivalutazione «negativa» non si era mai verificata nel corso degli anni, non essendo neppure ipotizzabile.
Si è resa quindi opportuna una sanatoria, contenuta in uno degli ultimi emendamenti apportati alla Legge di Stabilità del 2016. In altre parole, a gennaio l’Inps ha posto in pagamento gli importi «corretti» (in negativo) sulla base dell’inflazione definitiva 2014, ma non ha operato alcuna trattenuta riferita al 2015. Il conguaglio si farà nel 2017.
E non è finita qui. La stessa legge di Stabilità, al fine di reperire risorse per «l’opzione donna», il part-time a fine carriera e la «no tax area» per i pensionati (una riduzione delle imposte per i più anziani), ha spostato al 2018 il meccanismo dell’«indicizzazione raffreddata». Se ne riparlerà nel 2019. In pratica anche per il biennio 2017/2018 varranno le regole delle perequazioni in vigore nel 2014/2015. Gli aumenti verranno attribuiti al 100% per i trattamenti fino a 3 volte il trattamento minimo; al 95% per quelli da 3 a 4 volte il minimo; al 75% per quelli da 4 a 5 volte il minimo; al 50% per quelli da 5 a 6 volte il minimo e al 45% per i trattamenti complessivi superiori a 6 volte il trattamento minimo. Una nuova penalità che andrà a erodere il potere d’acquisto della classe media.
Corriere Economia – 11 gennaio 2016