di Gianni Trovati. Saltano i tagli di stipendio per i dirigenti statali, che in questi giorni avevano agitato il clima nei ministeri a partire da quello dell’Economia, e si trasformano in un congelamento dei fondi per il «trattamento accessorio» a tutti i livelli, dirigenziali e non; una misura, quest’ultima, che pone nuovi interrogativi sulle modalità del rinnovo dei contratti nel pubblico impiego, la cui dote torna a 300 milioni (74 per la Polizia). Nel nuovo testo scompare la riorganizzazione di Palazzo Chigi (demandata ai decreti attuativi della riforma della Pa) e soprattutto crolla al 25% il turn over, sia nello Stato sia negli enti territoriali, mentre si blocca il reclutamento di nuovi dirigenti in attesa dell’attuazione della legge Madia e la riorganizzazione delle Province, e scendono a 100 le «giovani eccellenze» chiamate a rinnovare la Pa. Il capitolo della manovra dedicato al pubblico impiego si conferma uno dei più delicati in questa prima fase della manovra, e promette di rimanere al centro dell’attenzione di Governo e Parlamento anche nei prossimi passaggi.
La versione originaria era nei fatti basata su uno scambio fra la dieta per le buste paga dei dirigenti e il finanziamento (“mini” a giudizio di tutti i sindacati) per il rinnovo del contratto. Il taglio del 10% ai premi di risultato, che avrebbe avuto effetti parecchio diversificati da ufficio a ufficio (come mostrato sul Sole 24 Ore di martedì), ha retto però solo un paio di giorni, per cui tutto l’impianto dello scambio si è modificato.
I risparmi, nel nuovo testo, dovrebbero arrivare soprattutto da due misure: la possibilità per Pa centrale, enti di ricerca e amministrazioni territoriali di dedicare a nuove assunzioni solo il 25% dei risparmi prodotti dalle uscite di quest’anno, invece del 60% in programma per Stato e ricerca e dell’80% per gli enti territoriali. Su tutte queste cifre pesa il riordino di Province e Città metropolitane, con la mobilità del personale che viene «fatta salva» ma che ora occupa una larghissima parte degli spazi assunzionali. Per puntellare gli stipendi degli “esuberi” in attesa di spostamento e quindi ancora a carico delle loro province di appartenenza vengono poi dirottati 100 milioni di euro che avrebbero dovuto finanziare le ricollocazioni della Pa statale.
La seconda mossa è più problematica, e passa dal congelamento dei fondi per il «trattamento accessorio», cioè la parte di stipendio che si aggiunge al “tabellare” di base, i quali non potranno superare i livelli di quest’anno, sia per i dirigenti sia per i dipendenti. Questo passaggio, comparso nell’ultimo testo, torna a complicare la strada del rinnovo dei contratti. Non è chiarissimo, infatti, come gli aumenti in busta paga, per leggeri che siano, possano inserirsi in una griglia in cui le risorse del trattamento accessorio sono bloccate. Le risorse in gioco, in realtà, servono solo ad adeguare gli stipendi alla mini-inflazione del 2015, e la bozza di manovra smina il campo dall’obbligo di applicare la riforma Brunetta, che imporrebbe defatiganti trattative sulla riduzione dei comparti (con tanto di espulsione di sigle sindacali dai tavoli della contrattazione) e sulla divisione del personale in tre fasce di merito. I 300 milioni, quindi, possono essere assegnati anche come “anticipi” sul rinnovo contrattuale.
La prima alternativa sarebbe quindi quella di applicare tutto l’aumento al tabellare ma, per quanto leggere siano le risorse in gioco, questa via d’uscita sarebbe in lieve contraddizione con gli anni di dibattiti sulla meritocrazia nella Pa che hanno ispirato anche la riforma Madia. Se i fondi a disposizione di ogni amministrazione rimangono bloccati, però, ogni aumento sull’accessorio di qualche dipendente dovrebbe tradursi in tagli a carico degli altri.
I tagli di spesa imbarcano poi anche le società controllate in via diretta o indiretta dalle Pubbliche amministrazioni, che saranno divise in tre fasce sulla base di parametri dimensionali e «qualitativi» per applicare limiti proporzionali ai compensi degli amministratori. Resta fuori discussione il tetto massimo di 240mila euro, e fino al riordino rimangono in vigore tutti i limiti intermedi attuali.
Gianni Trovati – IL Sole 24 Ore – 22 ottobre 2015