Perché la Consulta ha fatto saltare il blocco degli stipendi nella pubblica amministrazione? Secondo i giudici costituzionali, fermare la contrattazione collettiva nazionale di lavoro per molti anni comprime il principio della libertà sindacale. Limiti possono essere dettati dal contenimento della spesa pubblica, ma solo per un arco temporale limitato. Lo stabilisce la sentenza 178/2015, con cui la Corte costituzionale il 23 luglio scorso ha bocciato i lunghi blocchi della contrattazione collettiva dei dipendenti pubblici, nel caso specifico quello imposto dal 2010 al 2014 dall’articolo 9 del Dl 78/2010. La pronuncia determina le diverse conseguenze operative: non matura nessun diritto dei dipendenti pubblici a vedersi riconosciuti indennizzi per il mancato rinnovo per due trienni consecutivi dei contratti nazionali, ma la legge di stabilità del 2016 deve stanziare le risorse necessarie per dare corso al loro rinnovo o, meglio, all’avvio delle trattative.
Alla base dell’illegittimità della norma che blocca il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici c’è la violazione del principio della libertà sindacale, che è fissato dall’articolo 39 della Costituzione.
In soldoni, la sentenza ci dice che mentre il blocco per un periodo limitato, come già avvenuto nel 1993, motivato da esigenze di risparmio di spesa, è legittimo, non lo è il blocco prolungato, perché si impedisce di fatto l’applicazione del principale strumento in cui si concretizzano le relazioni sindacali, cioè il contratto di lavoro.
In tal modo il blocco della contrattazione finisce con l’impedire lo stesso normale svolgersi della dialettica tra le organizzazioni sindacali e i datori di lavoro. Tanto più che ai contratti collettivi sono rimesse scelte assai importanti sia sul versante del trattamento economico dei dipendenti, sia come elemento “propulsivo” del cambiamento organizzativo, attraverso la valorizzazione del merito e del miglioramento della qualità dei servizi erogati.
Non è indicata una durata massima ammissibile del blocco della contrattazione collettiva; da un lato tale scelta è stata ritenuta legittima per un anno; dall’altro la si giudica invece illegittima allorché si prolunghi “ad libitum”.
Per cui il contemperamento tra le esigenze di consentire al Governo di potere contare sulla leva della limitazione dei costi aggiuntivi determinati dal rinnovo dei contratti del pubblico impiego, esigenza che la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio rende ancora più forte, e quelle di consentire la libertà sindacale, deve essere trovato attraverso una durata ragionevole della misura di blocco del rinnovo dei contratti nazionali.
IL NODO DEI QUATTRO COMPARTI
Un equilibrio difficile tra legge e contratti
Sono molti i nodi da sciogliere alla ripartenza della nuova stagione contrattuale del pubblico impiego. Questi ultimi cinque anni di stop hanno lasciato pochissime certezze, a partire dalla suddivisione dei comparti di contrattazione.
Il decreto legislativo 150/2009 ne ha previsti quattro, ma non manca giorno in cui non si discuta su come “accorpare” questo o quel settore, per omogeneità di funzioni e di attività.
La riforma Brunetta, però, rafforzando i poteri datoriali, ha rivisitato di conseguenza anche le materie oggetto di contrattazione, per le quali gli accordi nazionali dovranno ritornare nel disciplinare alcuni istituti tipici del rapporto di lavoro. In alcuni contesti, infatti, la confusione regna sovrana.
Vi sono delle disposizioni contenute nei contratti nazionali che non si possono più applicare perché successivamente dichiarate di competenza della legge e quindi disciplinate in testi normativi. Basti pensare alla difficoltà che hanno avuto le amministrazioni in questi anni per capire se procedere autonomamente nella predisposizione della propria programmazione del fabbisogno di personale o se avviare una qualche tipologia di relazione sindacale. Neppure i giudici del lavoro sembrano aver avuto le idee chiare, fornendo risposte spesso disomogenee, quando non contradditorie. Un dubbio lo si incontra anche nel delimitare il perimetro delle materie «attinenti all’organizzazione degli uffici» escluse dalla contrattazione: l’estromissione si estende, per esempio, anche alla totale definizioni dell’orario di lavoro?
C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare. I contratti nazionali vigenti, insieme alla procedura della contrattazione, individuavano sempre ulteriori tipologie di relazioni sindacali, quali l’informazione e la concertazione, la consultazione o l’esame congiunto. Che fine hanno fatto questi istituti dopo la riforma Brunetta?
Anche in questo campo si improvvisa ed è per questo che la nuova contrattazione nazionale dovrà dare risposte chiare per evitare ulteriori contenziosi e rallentamenti all’azione delle pubbliche amministrazioni. Nel frattempo, però, il Dl 95/2012 (articolo 2, comma 19), ha comunque previsto l’obbligo di informazione (senza specificare se debba essere preventiva o successiva) su tutte le materie oggetto di partecipazione sindacale, previste negli attuali contratti nazionali.
ACCORDI INTEGRATIVI AL BIVIO
Necessario quantificare il fondo salario accessorio
Con il 2015 si è aperta la nuova stagione dei contratti integrativi delle pubbliche amministrazioni. Con i blocchi imposti dal Dl 78/2010, in vigore fino allo scorso anno, la situazione è rimasta talmente incerta che servono piattaforme concrete e adeguate a tutte le novità legislative che nel frattempo si sono succedute. I contratti integrativi, quindi, sono chiamati ad agire in due principali direzioni: una vera e propria regolamentazione giuridica degli istituti e una corretta quantificazione ed erogazione del fondo del salario accessorio.
Dal primo punto di vista, le parti negoziali dovranno innanzitutto provvedere alla revisione di quanto fatto finora, tenuto anche conto della cosiddetta “sanatoria”, contenuta nell’articolo 4 del Dl 16/2014. L’azione non è per nulla semplice anche per effetto della revisione delle materie oggetto di contrattazione, da parte della riforma Brunetta.
Sarebbe più logico attendere una prima definizione delle regole da parte del contratto nazionale, ma conoscendo i tempi comunque non si può prescindere da una definizione tempestiva a livello aziendale. In tale contesto, per alcuni comparti potranno essere previste anche nuove progressioni alliinterno della categoria (orizzontali).
Per quanto riguarda, invece, la quantificazione del fondo del salario accessorio, l’articolo 9, comma 2-bis, del Dl 78/2010 ha richiesto per gli anni 2011-2014 due vincoli: le somme destinate alla contrattazione integrativa non potevano essere superiori al corrispondente importo del 2010 e inoltre, le stesse andavano ridotte in misura proporzionale alla cessazione dei dipendenti dal servizio, non sostituiti. Questo significa che nella maggior parte dei casi le amministrazioni pubbliche si sono limitate a un’ordinaria amministrazione degli istituti contrattuali. Dal 2015, però, le cose cambiano. Se da una parte è vero che le decurtazioni operate vanno ora consolidate, è anche vero che, da quest’anno, non è più necessario né ridurre il fondo sulla base delle cessazioni dei dipendenti dal servizio che via via si avranno e neppure ritenere che esista un limite complessivo alle risorse stanziabili.
La maggior libertà di azione, però, non deve però essere intesa come una totale assenza di verifiche e accertamenti. Infatti, con l’articolo 40-bis del Dlgs 165/2001, introdotto dalla riforma Brunetta, sulle dinamiche della contrattazione integrativa, sono state individuate ben quattro attività di controllo.
L’ARAN CAMBIA FACCIA: NUOVI OBIETTIVI PER L’AGENZIA
Competenze su assunzioni e valutazione del personale
L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni cambia faccia. Con la riforma della Pa, infatti, saranno affidate all’Agenzia diverse nuove funzioni che spaziano dalle assunzioni alla contrattazione, fino a toccare la valutazione del personale.
«Supporto» è la parola chiave utilizzata dall’articolo 17 della legge delega 124/2015 per identificare queste funzioni. Sembra che all’Aran , cioé, prioritariamente saranno richieste azioni operative a sostegno di attività affidate ad altri soggetti, come per esempio il dipartimento della Funzione pubblica.
I tre ambiti
La legge delega sembra sembra individuare tre ambiti principlai di azione della “nuova” Aran: programmazione delle assunzioni, valutazione della performance e contrattazione integrativa. Dopo la forte riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, sarà necessario rivedere le procedure di assunzione del personale.
Le assunzioni
All’Agenzia, quindi, viene richiesto il supporto tecnico per introdurre un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di indirizzi generali e di parametri di riferimento, in grado di orientare la programmazione delle assunzioni nei vari comparti.
Sarà necessario, inoltre, collaborare con la Funzione pubblica per meglio coordinare e controllare le assunzioni dei soggetti appartenenti alle categorie protette.
La valutazione
Il secondo campo di attività della “nuova” Aran, è la valutazione. Dalla riforma Brunetta in poi, tutte le amministrazioni pubbliche sono scese in campo, anche con il supporto degli Organismi o Nuclei di valutazione, per rivedere i propri sistemi e manuali. È stata introdotta la performance individuale e quella organizzativa. Sono state riviste procedure e soggetti.
Probabilmente è mancata la verifica in fase di attuazione, e ora, con l’intervento dell’Agenzia e con il passaggio al dipartimento della Funzione pubblica delle competenze, il legislatore vuole essere più incisivo su tali questiuoni, anche nell’ottica della valutazione delle attività dirigenziali.
La contrattazione
Il Dlgs 150/2009 (meglio noto come Riforma Brunetta) ha lasciato insoluti anche altri problemi: quali sono le materie ancora oggetto di contrattazione? A dare risposta ci hanno provato alcuni Tribunali del lavoro, ma senza omogeneità e chiarezza e il blocco della contrattazione nazionale ha lasciato tutti gli operatori in un limbo che dura ormai da cinque anni.
L’Aran ora è chiamata a collaborare anche per dissipare questi dubbi, insieme a una maggiore definizione delle materie oggetto della contrattazione integrativa, sulla quale si vuole puntare anche per avere un riordino dei relativi controlli e monitoraggi.
La partita dell’Agenzia, inoltre, si giocherà inoltre su altri due aspetti di supporto. Il primo riguarda il controllo delle prerogative sindacali dei dipendenti pubblici. Il secondo, certamente più complesso, è stato catalogato in una sintetica «rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici».
Se si tratti di una vera e propria mappatura delle mansioni o di una sola attività di studio e ricerca, rimane, per ora, un mistero.
Arturo Bianco e Gianluca Bertagna – Il Sole 24 Ore – 25 agosto 2015