Alla ripresa dei lavori di settembre, sarà uno dei temi più delicati sul tavolo del governo: il rinnovo del contratto del Pubblico impiego, congelato ormai da ben sei anni. Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco, anche se solo per gli anni a venire e non per il passato, Palazzo Chigi e Tesoro hanno iniziato a fare i conti su quanto stanziare nella prossima legge di Stabilità per riavviare la contrattazione degli statali. Davanti ai giudici della Consulta l’avvocatura di Stato aveva presentato delle stime choc. Riconoscere a tutti i dipendenti pubblici gli arretrati e rinnovare i contratti, avevano calcolato gli avvocati con il supporto della Ragioneria generale dello Stato, avrebbe uno costo di 34 miliardi di euro. Insostenibile per le casse dello Stato. Lo scrive Andrea Bassi sul Messaggero di sabato 22 agosto.
E aggiunge: “Un primo punto sul quale si ragiona nel governo è proprio questo: per il passato, come del resto consente anche la sentenza della Corte, l’intenzione sarebbe di non riconoscere nessun recupero”.
“Per sostenere questa posizione, al tavolo con i sindacati, che potrebbe essere convocato dal ministro della Funzione pubblica Marianna Madia ad ottobre, i tecnici di Palazzo Chigi porterebbero in sostanza due argomentazioni. La prima è che anche i dipendenti pubblici che guadagnano meno di 26 mila euro, hanno potuto usufruire come tutti gli altri lavoratori, del bonus da 80 euro. Un aumento di retribuzione permanente che, per i redditi più bassi, ha assorbito parzialmente il blocco della contrazione. Il secondo argomento è che, nonostante il congelamento di sei anni degli stipendi, le retribuzioni del pubblico impiego sono ancora mediamente superiori a quelle del privato. Secondo i dati della Cgia di Mestre, diffusi a ridosso della sentenza della Consulta, la distanza sarebbe di circa duemila euro”.
Bassi ricorda inoltre che nel Def, Documento di economia e finanza di aprile, il governo ha stimato per il prossimo anno, a legislazione vigente, un aumento nel costo del pubblico impiego di 1,7 miliardi di euro: “Probabile che per il prossimo anno, come previsto dall’accordo del 2009, si provi a limitare gli aumenti alla sola inflazione programmata. Che per il 2016 è comunque modesta, l’1%. Tenendo conto anche che circa il 50% di quanto riconosciuto come aumento in busta paga ritorna nelle casse dello Stato, secondo i calcoli che girano al Tesoro, l’esborso per le casse pubbliche potrebbe essere limitato a circa 550 milioni di euro. A questi andrebbero poi aggiunti altri 80 milioni circa per gli unici arretrati da pagare dopo la Consulta, quelli del 2015 maturati a partire dal giorno della sentenza. Per far accettare questa impostazione ai sindacati, nelle intenzioni del governo, ci sarebbe la volontà di aumentare gli stanziamenti per gli anni successivi al 2016. C’è poi un altro punto che il governo vorrebbe introdurre. Evitare che gli aumenti per gli stipendi del pubblico impiego siano a «pioggia», ma trovare un meccanismo per legare gli incrementi salariali alla produttività. Un punto, questo, sul quale Palazzo Chigi è pronto a gettare il guanto di sfida al sindacato”.
Notizie tratte dal Messaggero e Blitz quotidiano – 23 agosto 2015