dal Sole 24 Ore sanità. Procede tra emendamenti a cascata e ripensamenti il cammino del Ddl di riforma della Pa che passa al Senato in seconda lettura. Per la sanità, le norme sulla dirigenza restano vaghe. L’esame del Ddl 1577 di riforma della pubblica amministrazione prosegue il suo complesso iter al Senato per la seconda lettura dopo la battaglia su centinaia di emendamenti presentati alla Camera la scorsa settimana. Dirigenza alla svolta? Già nel testo licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera erano però state tracciate le linee portanti del lunghissimo e complicato articolo 9 che regolamenterà il futuro della dirigenza pubblica, e dunque merita un primo commento a caldo, naturalmente per ciò che interessa le aziende sanitarie. Va detto che molti degli emendamenti riguardano proprio i medici ma, complessivamente, restano le perplessità già espresse in precedenza.
Nel prendere atto che la dirigenza sanitaria non è inclusa nel ruolo regionale ci si continua a chiedere in quale configurazione della dirigenza pubblica venga allora inclusa e sembrava proprio che questa fosse la sede giusta per chiarire l’enigma.
E invece si sono trattati molti punti di dettaglio ma non è stato affrontato – e risolto – il dubbio di fondo. Appare incoerente che dei dieci titoli che si riferiscono alla dirigenza pubblica (inquadramento, accesso, formazione, mobilità, conferimento degli incarichi, loro durata, dirigenti privi di incarico, valutazione, responsabilità, retribuzione) il primo esclude espressamente i medici mentre – alla luce degli emendamenti approvati – si dovrebbe dedurre che gli altri aspetti li riguardano (anche le modalità di reclutamento?). Alcuni emendamenti sono opportuni ma altri per ora sembrano del tutto inconsistenti. Esaminiamo punto per punto. Alla lettera b), punto 2, dell’articolo 9 viene inserita la frase «ferma restando l’applicazione dell’articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502». La formulazione è sibillina in quanto la disciplina derogatoria che viene a essere confermata è comunque sempre condizionata dalla chiara enunciazione del comma 2 del citato art. 15 e cioè che la dirigenza sanitaria è disciplinata dal decreto 29/1993 (oggi Dlgs 165/2001). Alla lettera e), punto 1) il termine della formazione viene ridotto da quattro a tre anni e la conferma non è per esame ma “previa valutazione da parte dell’amministrazione presso la quale è stato attribuito l’incarico iniziale”.
Con la lettera e) si tratta della mobilità tra le amministrazioni pubbliche e con il settore privato. Viene in questa sede inserita la «previsione dei casi e delle condizioni nei quali non è richiesto il previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la mobilità della dirigenza medica e sanitaria». La finalità è ben evidente mentre desta assolutamente perplessità la criticità cui saranno costrette le aziende sanitarie che non potranno impedire la “fuga” dei medici.
Alla lettera f), per la procedura di conferimento viene inserita la parola “comparativa”. Al posto della “verifica di congruità successiva” abbiamo ora «verifica successiva del rispetto dei suddetti requisiti e criteri». Inoltre «assegnazione degli incarichi con criteri che tengano conto della diversità delle esperienze maturate, anche in amministrazioni differenti». Troviamo poi una conferma delle percentuali per il ricorso a dirigenti a tempo determinato con un riferimento anche se non esplicito – anche all’art. I5-septies del Dlgs 502/1992. Alla lettera g) si chiarisce che la possibilità di rinnovo senza selezione sussiste «purché motivata e nei soli casi nei quali il dirigente abbia ottenuto una valutazione positiva». Nella lettera h) si inseriscono «successivo a valutazione negativa» e «previsione della possibilità, per i dirigenti collocati in disponibilità, di formulare istanza di ricollocazione in qualità di funzionario, in deroga all’articolo 2103 dei codice civile, nei ruoli delle pubbliche amministrazioni». Quest’ultima previsione appare sinceramente inapplicabile ai medici.
Passando alla lettera o), quella delle direzioni aziendali, viene effettuato un richiamo doveroso ai direttori dei servizi sociali. Abbiamo la nuova formulazione «fermo restando quanto previsto dall’articolo 3-bis del Dlgs n. 502 del 1992 per quanto attiene ai requisiti, alla trasparenza del procedimento e dei risultati, alla verifica e valutazione». Singolare senz’ altro è la previsione che la rosa di candidati è «costituita da coloro che, iscritti nell’elenco nazionale, manifestano l’interesse all’incarico da ricoprire».
La novità risponde evidentemente alla circostanza, non rara, che molti soggetti fanno domanda e vengono selezionati ma poi al momento dell’assegnazione di una azienda non gradita rinunciano all’incarico. La manifestazione di interesse di per sé non serve a nulla e dovrà essere il decreto delegato a definire bene la finalità della previsione e le conseguenze della mancata assunzione dell’incarico. La lettera o) si conclude con una scontata «definizione della modalità per l’applicazione delle norme derivanti dalla presente lettera alle aziende ospedaliero-universitarie». Infine, proprio perché il maggior numero di emendamenti concerne i medici, al comma 2 si stabilisce che i decreti delegati siano adottati «di concerto, per i profili di competenza relativi alla lettera o), con il ministro della Salute».
Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità – 22 luglio 2015