di Alberto Brambilla*. Chi guadagna da 55 a 100 mila euro l’anno paga in media 15 mila euro di Irpef, vale a dire 31 volte l’imposta versata dal 46,5% dei contribuenti fino a 15 mila euro di reddito. È questo solo uno dei risultati dell’esame dei modelli 730 e Unico degli italiani. L’analisi delle dichiarazioni Irpef è poi fondamentale non solo per la tenuta dei conti pubblici, ma soprattutto per valutare la sostenibilità del sistema sociale (il cosiddetto welfare): sia per l’assistenza sanitaria, finanziata con l’addizionale Irpef, con l’Irap (per il 2013: 34,8 miliardi di cui 24,8 dal settore privato) e con la compartecipazione delle accise sulla benzina e sull’Iva; sia, in prospettiva, per il sistema pensionistico, perché se non si pagano tasse oggi, in generale non si versano neppure i contributi sufficienti, con pesanti ripercussioni sulla previdenza.
L’Irpef vale 168 miliardi
La somma dei redditi 2013 dichiarati per l’Irpef è di 803,3 miliardi, per un totale di 167,8 miliardi di imposte sulle persone fisiche versate nel 2014, addizionali incluse. Dai dati emerge che:
a) i lavoratori autonomi versano appena il 6,27% dell’Irpef totale
b) il 46,5% dei contribuenti (19,1 milioni), che hanno redditi fino a 15.000 euro l’anno, dichiarano solo il 16,20% del totale dei redditi, cioè 130 miliardi, per un importo medio di 6.851 euro (571 euro al mese, meno di un pensionato sociale con integrazione)
c) l’imposta media pagata è di 485 euro per contribuente, ma considerando il rapporto tra cittadini italiani (60.782.668) e contribuenti (40.989.567) ognuno di questi ultimi ha in carico 1,483 cittadini; quindi ai 19,1 milioni di dichiaranti fino a 15.000 euro corrispondono 28.295.197 cittadini e l’imposta media annua pagata è di 327 euro.
In base a questi dati, per garantire la sanità a questi primi 28,3 milioni di italiani occorre che altri cittadini (contribuenti più fortunati o più onesti) versino 41,3 miliardi (1.790 – 327 euro, poi moltiplicati per 28.295.197), oltre a pagarsi la propria sanità, dato che il servizio sanitario nazionale per il 2013 è costato circa 109 miliardi per una spesa pro capite di 1.790 euro.
I pensionati
Togliendo dal totale i pensionati, restano 11,9 milioni di lavoratori con redditi sotto i 15 mila euro l’anno; in particolare 3,8 milioni di dipendenti e 3,4 milioni di autonomi dichiarano redditi negativi (dove quindi le detrazioni superano i guadagni) o al massimo fino a 7.500 euro.
E’ ovvio che questi 7,2 milioni di persone — a cui si sommano altri 4,7 milioni che dichiarano in media 11.500 euro l’anno — non matureranno il minimo pensionistico e quindi in futuro dovremo pagare pensioni sociali, maggiorazioni o integrazioni al minimo a oltre 11 milioni di futuri pensionati «poveri».
Il divario Nord-Sud
Scomponendo poi i dati per contribuente (dipendenti, autonomi e pensionati) e per aree geografiche, si possono fare altre osservazioni:
1) gli autonomi (artigiani, commercianti, imprenditori e liberi professionisti) dichiaranti sono 5,6 milioni (con i lavoratori parasubordinati si superano i 7,5 milioni) ma quelli che versano sono solo 2,9 milioni; di questi oltre 1,1 milioni dichiara redditi fino a 7.500 euro (in media meno di 3 mila euro l’anno) e altri 625 mila in media di 11 mila euro l’anno; sulla base dell’Irpef pagata (80 euro l’anno per i primi e 590 euro per i secondi), a questi autonomi — cui corrispondo 2,5 milioni di cittadini — dovremo pagare oggi tutta o quasi la spesa sanitaria 2013 e in futuro anche la pensione
2) è evidente più che mai quanto l’introduzione del «contrasto d’interessi» sia indifferibile in un Paese come il nostro, perché ridurrebbe l’enorme evasione fiscale stimata tra 300 e 400 miliardi di redditi in «nero»
3) i pensionati dichiaranti sono circa 15 milioni, di cui 1,3 milioni lavorano ancora normalmente; questi ultimi con le tasse si pagano la propria pensione e quella di altri pensionati; i cosiddetti «pensionati d’oro», cioè quelli che prendono tra 55 e 100 mila euro lordi l’anno (in media 47 mila euro netti l’anno), sono solo il 2,5% del totale e dichiarano il 14,7% dell’Irpef totale; quelli sopra i 100 mila euro sono lo 0,79% del totale, circa 175.000, e pagano il 13% dell’Irpef totale. In pratica circa il 3,3% dei pensionati paga quasi il 28% di tutta l’Irpef
4) un contribuente con un reddito tra 55 e 100 mila euro paga 15 mila euro di tasse, cioè 31 volte l’imposta pagata dal 46,5% dei contribuenti fino a 15 mila euro di reddito; quelli tra 100 e 200 mila 65 volte, quelli tra 200 e 300 mila 129 volte e addirittura 336 volte quelli sopra i 300 mila euro. E’ come dire che un lavoratore con reddito di 100 mila euro paga in un anno quello che uno dei 19 milioni di dichiaranti paga invece in 40 anni di lavoro. Questo divario tra imposte è molto superiore al divario medio dei redditi
5) Infine, dal punto di vista geografico, al Nord l’imposta media pro capite è di 4.676 euro, al Centro 4.459 euro e al Sud di 2.900 euro; considerando tutti i cittadini, e non solo i contribuenti, le cifre si riducono rispettivamente a 3.406, 3.078 e 1.720 euro. L’intero Sud (20,9 milioni di abitanti) sulla base dell’imposta media non raggiunge neppure il costo della sanità; tutto il resto è a carico di altri contribuenti.
La competitività
Come si vede quando si parla di welfare (e ancora più di reddito minimo) sarebbe bene un’analisi di sostenibilità per non scaricarne i costi sulle giovani generazioni, pratica purtroppo in uso ancora oggi, o aumentare le tasse e i contributi «buttando» fuori mercato l’Italia in termini di competitività e quindi di occupazione e sviluppo.
*Alberto Brambilla – Presidente Itinerari Previdenziali e direttore master Liuc – Corriere della Sera – 19 luglio 2015