Sandra Riccio. Le pensioni degli italiani restano al centro del dibattito: il Senato ha appena approvato il decreto che riconosce la rivalutazione per il 2012-13 e il governo è già al lavoro sulla possibile riforma complessiva del meccanismo di adeguamento al costo della vita. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ieri ha incontrato i sindacati dei pensionati e ha spiegato che bisogna fare una riflessione attenta sulla tenuta del valore dell’assegno, «perché una norma cesserà la sua validità e c’è da decidere se confermarla o modificarla». La norma in discussione è quella introdotta dal governo Letta, che ha validità fino al 2017, e prevede rivalutazioni pari all’inflazione per pensioni fino a tre volte il minimo e solo di percentuali decrescenti del tasso di aumento del costo della vita per gli importi superiori. Il tema dell’aumento automatico degli assegni sarà quello centrale del tavolo.
«È necessario ripristinare per tutti i pensionati la tutela del potere d’acquisto: bisognerà rimettere mano alla rivalutazione annuale perché non succeda più come con la Monti-Fornero» dice il segretario generale dello Spi-Cgil Carla Cantone. Il confronto è solo alle prime battute e non ci sono ancora proposte, ma è chiaro l’intento da parte dei sindacati di aumentare il reddito dei 16 milioni di pensionati italiani. Della stessa partita anche il tema fiscale, con le sigle che lamentano l’iniquità delle differenti soglie di no tax area per lavoratori dipendenti (8.100 euro) e pensionati (7.500). Sull’equiparazione la distanza col governo non è troppo marcata, anche perché la norma non dovrebbe essere molto onerosa per i conti. A fianco del tavolo sui temi economici al ministero del Lavoro nei prossimi mesi se ne aprirà anche un altro sui quelli sociali legati ai pensionati come la sanità, il rischio povertà e la non autosufficienza.
La Uil contro Boeri
Intanto, sempre sul tema pensioni, la Uil è tornata a criticare la proposta del presidente Inps Tito Boeri: il sistema ha bisogno di maggior flessibilità in uscita, spiega il sindacato, ma «l’ipotesi di introdurre tale flessibilità applicando totalmente il sistema contributivo, è profondamente sbagliata». Secondo la Uil, infatti, la riduzione del 7%-10% rispetto al calcolo attuale «è riconducibile a un calcolo sterile effettuato senza tenere conto della reale situazione dei singoli lavoratori». L’ufficio del sindacato guidato da Carmelo Barbagallo, stima un taglio medio del trattamento tra il 10% e il 34 per cento. (La Stampa – 17 luglio 2015)
«Pensioni, tagli fino al 34% con il metodo contributivo». Il ministro Poletti apre alla riforma delle indicizzazioni
Quanto costa lasciare il lavoro in anticipo, prima dell’età per la pensione di vecchiaia, prendendo l’assegno col contributivo? Tra il 10 e il 34%, secondo uno studio della Uil, che ha fatto una serie di proiezioni sulla scorta del dibattito che si è aperto dopo che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha presentato una proposta per aumentare la flessibilità in uscita. Esigenza, questa, ben presente al governo, e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, dopo aver incontrato i sindacati dei pensionati per discutere di anziani e povertà, ha assicurato che «stiamo facendo un’istruttoria, appena saremo in condizione di aprire un confronto con i sindacati su questo versante lo faremo». Così come una riflessione, per Poletti, va fatta «sulla tenuta del valore» dell’assegno: il riferimento è alla rivalutazione delle pensioni e a una possibile riforma dell’adeguamento al costo della vita. La norma introdotta dal governo Letta, dopo che la rivalutazione era stata sospesa da quello Monti, scade infatti nel 2017, e «c’è da decidere se confermarla o modificarla».
Il tema del potere d’acquisto si intreccia con quello del metodo di calcolo dell’assegno. Quanto perderebbe sull’assegno una neo nonna che volesse uscire dal mercato del lavoro in anticipo? Secondo le proiezioni del centro studi Uil, applicando totalmente il contributivo, una lavoratrice dipendente di 62 anni con un reddito di 34.500 euro al mese e 39 anni e mezzo di contributi si vedrebbe l’assegno decurtato, andando in pensione ora anziché a 66 anni e 7 mesi, del 30,82%: 682 euro in meno al mese, considerando un assegno lordo di 2.209 euro col sistema attuale. Diverso il caso della sessantaduenne con 36 anni di anzianità contributiva, col regime «misto»: con un reddito di 39.800 euro avrebbe una pensione di 1.889 euro, perdendo sull’assegno di 2.163 euro il 12,67% (247 euro al mese).
Questi dati fanno dire al segretario confederale Uil Domenico Proietti che, pur restando il fatto che «la legge Fornero ha provocato una rigidità eccessiva che va rimossa», l’ipotesi del numero uno dell’Inps «è profondamente sbagliata e iniqua. Boeri ha indicato per i lavoratori che sceglieranno tale opzione uno scostamento tra il 7% e il 10% rispetto al calcolo attuale. Tale dato è riconducibile a un calcolo sterile effettuato senza tenere conto della reale situazione dei singoli lavoratori. Un’analisi sulla situazione reale porta a ben altre conclusioni».
Caso limite quello di un uomo di 62 anni, con contributi già versati da 35 anni e un reddito di 33mila euro. Andando in pensione ora e non, in base alle vecchie regole, nel 2019 (quell’anno scatta tra l’altro anche un nuovo adeguamento all’aspettativa di vita) avrebbe un assegno di 1.549 euro e non 2.345, il 33,94% in meno.
C’è da dire che Boeri ha parlato di una piccola penalizzazione e ha più volte, nei giorni scorsi, spiegato che una riduzione delle pensioni del 35% non è concepibile, così come anche l’idea di un ricalcolo col metodo contributivo degli assegni già percepiti. Bisognerà vedere se e come sarà declinata la sua ricetta. Sul tavolo del governo c’è anche l’opzione Baretta-Damiano, anche questa però prevede una decurtazione, benché bassa, dell’assegno. (Melania Di Giacomo – Il Corriere della Sera – 17 luglio 2015)