È incostituzionale la norma che blocca l’adeguamento all’inflazione delle pensioni lorde di importo superiore a tre volte il minimo Inps (pari a 1.405,05 euro) nel biennio 2012-2013. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha così bocciato la «legge Fornero» (comma 25 dell’articolo 24 del decreto legge n.201 del 2011). Con la sentenza depositata il 30 aprile si apre, però, un buco nei conti pubblici di circa 5 miliardi, secondo le stime dell’Avvocatura dello Stato. L’ex ministro, Elsa Fornero, replica: «La Corte avrà avuto le sue buone ragioni», ma il blocco della perequazione «fu la cosa che mi costò di più, non fu scelta mia, ma fu una decisione di tutto il Governo» presa «per fare risparmi in tempi brevi». E è ancora forte il ricordo proprio delle sue lacrime durante la presentazione del «Salva Italia». Soddisfazione, invece, da Cgil, Cisl, Federmanager e Manageritalia (che avevano fatto ricorso), da Giorgia Meloni (FdI), Nichi Vendola (Sel) e Paolo Ferrero (Prc).
Nella sentenza n. 70 della Consulta, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra, si evidenzia che «l’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata». «Tale diritto costituzionalmente fondato – precisano i giudici – risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio». Quindi la necessità di fare quadrare i conti dello Stato non può calpestare i diritti fondamentali.
A sollevare la questione di legittimità erano stati tra il 2013 e il 2014 il Tribunale di Palermo e la Corte dei Conti per l’Emilia-Romagna e la Liguria. Secondo la Consulta, le motivazioni indicate alla base del decreto sono blande e generiche, mentre l’esito che si produce per i pensionati è pesante. In particolare il blocco della perequazione, secondo la Corte, «induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore». Per questi motivi «risultano intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale fondati su inequivocabili parametri costituzionali – precisa la sentenza – come la proporzionalità del trattamento di quiescenza (art. 36 Costituzione) e l’adeguatezza (art. 38)». Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del «principio di solidarietà (art. 2)» e al contempo attuazione del «principio di eguaglianza (art. 3)».
Sempre sul fronte delle pensioni il presidente dell’Inps, Tito Boeri, presenta il progetto «la mia pensione», che aiuta da oggi i cittadini a prevedere l’ammontare della futura pensione. Basta chiedere un «pin» e poi seguire le indicazioni presenti nel portale: entro quest’anno 18 milioni di lavoratori potranno fare la simulazione.
Quanto peserà la sentenza sui conti dello Stato? Da rivedere 6 milioni di assegni, i timori del Tesoro
Quanto peserà sui conti dello Stato la sentenza della Consulta che ha bocciato il blocco della perequazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo negli anni 2012-2013?
Il ministero dell’Economia ieri sera si riservava di fare i calcoli insieme con l’Inps prima di individuare la cifra ma l’ipotesi che il «tesoretto» da 1,6 miliardi, che il premier vuole distribuire ai meno abbienti, sfumi, si fa concreto. Secondo i dati Istat, il blocco ha toccato circa sei milioni di persone con una pensione superiore ai 1.443 euro mensili lordi. La quota maggiore è costituita da pensionati tra i 1.500 e i 1.999 euro (17,4% del totale) e tra 2 mila e 3 mila euro (13,7%). Quello che ora dovrà essere calcolato dal Tesoro e dall’Inps è quanto dovrà essere rimborsato a questi pensionati. «Il tema – fanno sapere da via XX settembre – è all’attenzione del ministero: si valuteranno motivazioni della sentenza e l’impatto sulla finanza pubblica». Si sbilancia un po’ di più il viceministro Enrico Morando, secondo cui l’impatto «sarà rilevante»: «Se si dichiara illegittima la mancata corresponsione dell’adeguamento, quei pensionati ora hanno diritto ad averlo. La conseguenza è che l’adeguamento va corrisposto». Quindi i pensionati che per due anni, quando l’inflazione era rispettivamente al 3% (2012) e all’1,2% (2013), non hanno ricevuto l’adeguamento, dovranno riceverlo. Secondo l’Avvocatura dello Stato, in ballo ci sono circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 per il 2013.
Ma non basta. Nel 2014 il mancato adeguamento all’inflazione è stato modificato finendo per gravare sulle pensioni pari a sei volte il minimo (2.973 euro). L’adeguamento dunque è stato riconosciuto per intero (100% del tasso d’inflazione) sull’importo di pensione sino al triplo del minimo, al 90% per la fascia tra il triplo e il quintuplo del minimo e al 75% per la fascia eccedente cinque volte il minimo. Ma, come segnala la sentenza, «per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato». Quindi nel 2014 le pensioni sino al triplo del minimo non hanno recuperato la loro base di calcolo. Anche di questo si dovrà tenere conto. Morando segnala che nella sentenza non c’è «un bilanciamento con l’articolo 81 della Costituzione» sull’obbligo del pareggio di bilancio. La Corte, due mesi fa, pronunciandosi sull’illegittimità della Robin Tax sancì la non retroattività della sentenza, qui, invece, «l’onere si scarica sui conti pubblici».
Francesco Di Frischia e Antonella Baccaro – Il Corriere della Sera – 2 maggio 2015