Quattro mesi in più al lavoro per avere la pensione a partire dal prossimo anno. Dal 2016 ai lavoratori uomini servono 66 anni e 7 mesi, alle dipendenti 65 anni e 7 mesi. E’ arrivata infatti la circolare dell’Inps che rende operative le nuove norme sull’adeguamento dell’età pensionabile alle speranze di vita. Vivere più a lungo significa quindi lavorare anche più a lungo prima di poter ottenere la pensione, che continuerà ad allontanarsi progressivamente ancora nei prossimi anni. Dal 2013, quando sono state applicate per la prima volta queste disposizioni, la pensione è già scivolata in avanti di ben sette mesi, e se continua così il traguardo dei 70 anni necessari per andare in pensione sarà raggiunto anche prima delle previsioni. All’allungamento dell’attesa non sfugge nessuno: riguarda non solo le pensioni di vecchiaia, ma anche i requisiti contributivi per quelle anticipate.
L’età per la pensione di vecchiaia. Dal prossimo anno, dunque, per ottenere la pensione di vecchiaia, a fronte di un minimo di 20 anni di anzianità contributiva, per le lavoratrici donne è necessario aver compiuto 65 anni e 7 mesi se dipendenti o 66 anni e 1 mese se autonome. Per i lavoratori uomini il requisito richiesto, invece, è quello di 66 anni e 7 mesi sia in caso di lavoro dipendente che di lavoro autonomo. Previsto poi un nuovo appuntamento nel 2019 con un nuovo ritocco all’insù in conseguenza dell’allungamento della vita media. Un obbligo di legge precedente alla riforma Fornero, entrato in vigore con la manovra estiva del governo Berlusconi del luglio 2010 necessaria per riportare i conti dell’Inps sotto controllo, che ha incidenza anche sui requisiti contributivi richiesti per la pensione anticipata.
L’adeguamento dei requisiti contributivi. A partire dal gennaio prossimo, infatti, anche per quel che riguarda l’anzianità di lavoro richiesta per ottenere la pensione – prima di aver raggiunto l’età per quella di vecchiaia – occorre tener conto dei quattro mesi in più calcolati sulla base dell’allungamento della vita media. Per gli uomini il requisito minimo diventa dunque di 42 anni e 10 mesi (pari a 2.227 settimane), mentre per le donne l’anzianità richiesta è di 41 anni e 10 mesi (pari a 2.175 settimane). I nuovi requisiti saranno in vigore solo per due anni, ossia fino al 31 dicembre del 2018. La legge Fornero, infatti, ha previsto l’adeguamento dei requisiti con cadenza biennale e non più trimestrale, come era stato invece nel primo periodo di applicazione della legge.
Più tempo al lavoro anche per chi usufruisce dei vecchi regimi. L’obbligo di restare al lavoro per quattro mesi in più, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, riguarda anche i soggetti per i quali continuano a trovare applicazione le disposizioni in materia di requisiti per il diritto a pensione con il sistema delle cosiddette “Quote”. Quindi per chi si trova in questa situazione, per ottenere la pensione dal prossimo anno è necessaria un’anzianità contributiva di almeno 36 anni e, se lavoratori dipendenti pubblici e privati, di un’età anagrafica minima di 61 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 97,6. Per gli autonomi, invece, occore un’età anagrafica minima di 62 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,6.
Pensione anticipata con il sistema delle “quote”
La circolare Inps specifica che dal 1°gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, per le persone che continuano a maturare la pensione con il sistema delle quote, si possa accedere alla previdenza con un’anzianità contributiva di 36 anni e, se lavoratori dipendenti pubblici e privati, con almeno 61 anni e 7 mesi di età, fermo restando il raggiungimento di quota 97,6. Se lavoratori autonomi iscritti all’Inps, con un’età di 62 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,6.
PENSIONI, DAL 2016 SERVIRANNO QUATTRO MESI DI LAVORO IN PIÙ
La vita media si allunga e il sistema previdenziale prende nota e batte cassa. A partire dal 2016, per andare in pensione, bisognerà aspettare quattro mesi in più. A fissare i paletti è una circolare dell’Inps, che recepisce un decreto del Tesoro varato alla fine del 2014. Risultato: dal prossimo anno gli uomini – sia dipendenti privati sia del settore pubblico- potranno prendere l’assegno di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi, mentre fino al termine del 2015 basteranno 66 anni e 3 mesi. Le soglie cambiano pure per le donne, anche se le fasce sono differenziate.
Così le donne
Le dipendenti del settore privato andranno in pensione di vecchiaia a 65 anni e 7 mesi (66 anni e 7 mesi a partire dal 2018), mentre le autonome dovranno aspettare 66 anni e un mese (66 anni e 7 mesi nel 2018). Per le impiegate pubbliche, invece, l’asticella si alza alla stessa quota dei colleghi maschi: 66 anni e 7 mesi. In ogni caso, specifica l’Inps, sono richiesti almeno vent’anni anni di contributi. Aumenta di quattro mesi anche il massimo di età fino al quale il lavoratore può chiedere di restare in servizio: a partire dal 2016 sarà di 70 anni e sette mesi.
La pensione anticipata
L’adeguamento dei requisiti prevede cambiamenti anche per chi punta alla pensione anticipata: dal 2016 si potrà percepire con 42 anni e 10 mesi se uomini, con 41 anni e 10 mesi se donne. La «vecchia» soglia di 42 anni e 10 mesi (41 anni e 6 mesi per le donne) resterà in vigore fino alla fine del 2015.
In arrivo più flessibilità
Per il 2019 si fisserà un nuovo aggiornamento della speranza di vita che però, proprio a partire da quell’anno, non sarà più triennale ma – in base alla legge Fornero – avverrà ogni due anni. Il sistema non è indolore: da quando l’età pensionabile è stata adeguata alle aspettative di vita – era il 2010 – l’età dell’uscita dal lavoro è salita di 7 mesi. E qualcosa potrebbe cambiare già nella prossima Legge di Stabilità, quando il governo riaprirà il cantiere: l’idea è introdurre più flessibilità a fronte di assegni più leggeri. «Stiamo lavorando a una proposta organica da fare entro l’estate», ha detto ieri sera il presidente dell’Inps Tito Boeri. Il problema principale, ha spiegato Boeri, sono le persone con più di 55 anni che hanno perso il lavoro ma non hanno i requisiti per andare in pensione e non hanno nient’altro.
Per queste persone che sono in una situazione di bisogno, ha spiegato, bisognerebbe pensare ad una sorta di reddito minimo. Secondo il presidente dell’Inps potrebbero bastare 1,5 miliardi da cercare risparmiando all’interno della protezione sociale, ad esempio guardando alle gestioni speciali.
Repubblica.it e La Stampa – 21 marzo 2015