La Ue sta lavorando per concludere diversi accordi di libero scambio, come il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) che però potrebbe assestare un duro colpo all’industria europea del pollame che di fatto è già fortemente regolamentata. Peter van Horne della Sezione di Economia Agraria (LEI) presso l’Università di Wageningen, nel corso di un evento che si è svolto lo scorso 10 ottobre, ha ricordato ai presenti che, nei prossimi anni, i produttori di uova e pollame dell’Unione europea probabilmente dovranno sostenere una crescita dei costi causata dalle nuove normative in materia di ambiente e benessere degli animali. Allo stesso tempo, ha avvertito che la competitività potrebbe essere violata dagli accordi di libero scambio con altri paesi, in cui queste norme non esistono. La liberalizzazione degli scambi è spesso vista positivamente dagli economisti.
Per van Horne le esigenze poste produttori dell’UE sono l’evidenza della necessità di una protezione tariffaria per compensare maggiori oneri normativi. I regolamenti comunitari pesano per circa il 5% sul costo totale di produzione delle carni di pollame, mentre per le uova l’onere normativo raggiunge il 15%.
Ma molte di queste normative sono assenti in altre parti del mondo, e secondo van Horne la liberalizzazione lascerebbe i produttori della Ue “come un pugile con una mano legata dietro la schiena”.
Van Horne ha recentemente completato uno studio sulla competitività dei settori Ue delle carni di pollame e delle uova. Presentando i risultati alla vigilia della mostra Eurotier di Hannover, ha spiegato che molti produttori europei sono attualmente in grado di competere con i loro più grandi rivali grazie ai prelievi all’importazione. Ha osservato che il settore avicolo Ue impiega oltre 300 000 persone e fornisce un contributo importante alle economie degli Stati membri. I costi di produzione della carne di pollo variano in tutto il blocco europeo, ma in media media si parla di circa 1,73 Euro al kg includendo allevamento e macellazione.
Facendo un confronto con i dati europei, i costi di produzione dopo la macellazione inferiori di circa il 30% in Argentina e in Brasile, mentre Stati Uniti, Ucraina, Thailandia e Russia godono di un vantaggio competitivo.
Differenze simili si possono trovare nel settore delle uova, in cui i produttori dell’UE devono rispettare diverse norme, tra cui il divieto delle gabbie non arricchite, entrato in vigore all’inizio del 2012. Rispetto al livello medio dell’Unione europea, nel 2010 i costi di produzione delle uova intere in polvere sono stati inferiori in Ucraina (79%), Stati Uniti d’America (80%), Argentina (75%) e India (80%).
Van Horne ha ricordato che attualmente le quote e le tariffe proteggono l’Unione europea dall’ingresso di grandi volumi di pollame e uova. E’ quindi “molto chiaro” che gli accordi commerciali bilaterali di libero con Canada, Stati Uniti e il blocco Mercosur del Sud America hanno il potenziale di “indebolire notevolmente” l’industria avicola europea.
I produttori dell’Unione europea devono rispettare una serie di normative come la direttiva sui nitrati, i divieti delle farine di carne e rigorose norme in materia di densità. Inoltre i produttori dell’UE dovranno affrontare norme ancora più severe in futuro, come quelle relative all’etichettatura, agli antibiotici e alla protezione dal Campylobacter.
Van Horne ha poi fatto una distinzione tra le questioni relative al benessere degli animali e quelle che si basato su considerazioni etiche, in particolare il desiderio di trovare un utilizzo adeguato dei pulcini maschi delle razze ovaiole. Partendo da questi presupporti, l’analista ha detto che i negoziatori dovrebbero tener conto della particolare situazione del settore avicolo europeo che, necessitano non tanto di un accordo di libero scambio quanto di un accordo di “commercio equo”.
Una sfida chiave potrebbe essere convincere i consumatori dell’Unione europea a pagare prezzi più elevati per i prodotti che garantiscono un alto livello di benessere animale, laddove questa fosse la loro necessità.
Ipotizzando uno scenario di libero scambio per i filetti di petto di pollo sottoposti a un prelievo inferiore del 50% sulle importazioni e di un tasso di cambio più basso del 10%, tutti i paesi terzi otterrebbero una posizione competitiva sul mercato comunitario, e potranno esportare grandi quantità di carne di pollame verso l’Ue.
Fonte Agra Europe (da Unaitalia) – 12 novembre 2014