di Federica Micardi. Mentre le pensioni in essere non possono essere toccate – come insegnano le numerose sentenze in merito che tutelano i diritti acquisiti – su quelle future non esistono limiti di intervento. E quelli a cui stiamo assistendo negli ultimi anni sono tutti al ribasso. L’ultimo duro colpo arriva con la legge di stabilità 2015, che non contiene – come ci si aspettava – una tassazione di vantaggio per gli enti dei previdenza di primo pilastro dei professionisti e, quindi, le rendite finanziarie sui patrimoni previdenziali saranno tassate come qualsiasi altra rendita finanziaria al 26% (fino a oggi erano rimaste al 20% in attesa di un’armonizzazione con i fondi della previdenza complementare); una decisione che comporterà una riduzione delle future pensioni dei professionisti di almeno il 10%. E non parliamo di pensioni alte, tutt’altro.
Il passaggio al sistema contributivo – che molte Casse hanno adottato con le ultime riforme – era necessario per consentire la stabilità dei sistemi nel lungo periodo ha creato un’evidente frattura tra un passato “troppo generoso” e un futuro “eccessivamente prudente”. La stabilità, con gli ultimi interventi proposti nella riforma Monti-Fornero è garantita ma a scapito soprattutto dell’equità sociale. Una massa di pensionati che non avranno di che mantenersi.
Il calcolo della pensione con il metodo contributivo prevede, infatti, che il lavoratore in pensione riceverà il capitale che ha versato nell’arco della vita lavorativa; capitale che sarà diviso per il numero di anni in cui, sulla base delle statistiche, vivrà. Insomma tanto versi, tanto ricevi.
Il sistema retributivo, invece, prevede che un lavoratore prenda come pensione circa l’80% della media degli ultimi stipendi. Un meccanismo che ha funzionato in una fase di forte espansione e crescita ma oggi non è più sostenibile. Un trattamento che ha generato situazioni in cui un soggetto nei primi otto anni di pensione recuperava quanto versato nell’intera vita lavorativa per poi essere “mantenuto” dai lavoratori attivi, che stanno diventando sempre di meno.
Le Casse vengono trattate come speculatori, quando la loro genesi è un’altra. I professionisti fino ai primi anni Novanta erano inglobati nell’Inps da cui vennero scorporati, portandosi dietro regole e debiti, nel 1994 con il Dlgs 509. In vent’anni molte Casse sono riuscite a stabilizzare i loro patrimoni, alcune come la Cassa dei dottori commercialisti, decidendo il passaggio al sistema contributivo quando ancora non se ne parlava.
Diverso il discorso per le Casse nate con il Dlgs 103/96, create direttamente con il sistema contributivo e quindi destinate fin da subito a pensioni ridotte.
Inoltre le Casse, in quanto enti privati che svolgono un’attività di interesse pubblico, sono attentamente monitorate dai ministeri e hanno una serie di vincoli di investimento all’interno dei quali devono muoversi, limite che lo speculatore privato non ha.
Una stretta inaspettata e altrettanto dolorosa tocca i fondi di previdenza integrativa: la tassazione per loro passa dall’attuale 11,5%, deciso a suo tempo per incentivare il ricorso a questi fondi e integrare le magre pensioni future, al 20%. Una mossa che dà un duro colpo a un sistema che in Italia già stentava a decollare quando c’erano gli incentivi fiscali.
Nel resto d’Europa la strada percorsa è opposta; le rendite previdenziali sono tassate poco o sono completamente esenti proprio perché questi rendimenti vanno ad alimentare le pensioni. L’Italia invece segue un percorso opposto, e nella previdenza ha figli e figliastri. (Il Sole 24 Ore)
Legge di stabilità 2015. Comunicato del presidente Enpav Mancuso: sconcertante vessazione
La Legge di stabilità licenziata ieri, 16 ottobre, dal Consiglio dei Ministri, aumenta dal 20 al 26% l’aliquota di tassazione delle rendite finanziarie (che già era stata aumentata di 7,5 punti percentuali nel 2012); una misura che impatta in maniera importante sulle Casse dei professionisti.
“E’ sconcertante, dichiara il Presidente Mancuso, come si continui a vessare un sistema previdenziale di primo pilastro, che ha dimostrato di essere sostenibile a 50anni (a fronte di un sistema pubblico che la sostenibilità non può dimostrarla nemmeno corrente) , che non riceve finanziamenti dallo Stato e che, anzi, lo sgrava del costo del welfare dei professionisti, in cui le Casse investono 500 milioni l’anno.
Le Casse, guidate da AdEPP – ricorda Mancuso – erano in procinto di attuare un grande progetto di fondo di investimento, in partnership anche con i fondi pensione di secondo pilastro e Cassa Depositi e Prestiti, in cui avrebbero messo le loro risorse a disposizione del sistema paese per investimenti nell’economia reale che potessero aiutare l’Italia a riemergere dalla crisi. Ora viene tutto rimesso in discussione, dato che la controparte Stato italiano si è rivelata inaffidabile.
E va considerato che già la Spending Review , impropriamente applicata ai nostri enti, ci ha obbligato a riversare nelle casse statali una parte dei nostri risparmi.
Si tenga pure conto che l’Italia è tra i soli tre paesi europei, gli altri sono Svezia e Danimarca, ad adottare un sistema fiscale di tipo ETT, che prevede l’esenzione fiscale solo nella fase dell’accumulo, ma poi una doppia tassazione, colpendo sia le rendite finanziarie dei risparmi investiti, sia l’erogazione delle pensioni.
E nulla si può imputare al lavoro diplomatico e di dialogo con le istituzioni fatto da AdEPP e dal suo Presidente Camporese in rappresentanza di tutte le Casse iscritte! Infatti, erano state date esplicite rassicurazioni, anche pubblicamente, sulla presa di coscienza del valore economico e produttivo del nostro sistema e che, al massimo, l’intervento legislativo sarebbe andato verso un livellamento della tassazione delle rendite finanziarie al 20%.
Non si può giocare una partita se le regole del gioco vengono cambiate di volta in volta a seconda dei comodo del legislatore! Impensabile trattarci come cash cows! Le Casse non sono aziende che mirano al mero lucro ( e che magari, quelle sì, ricevono fondi statali e vengono considerate too big to fail), ma un sistema che, nonostante sia privatizzato e autonomo finanziariamente, tiene in portafoglio miliardi di titoli di Stato.
Camporese (Adepp): «Ci rubano il 10% dell’assegno come fossimo squali di Borsa»
Tagli alle future pensioni dei professionisti del 10/12%, riduzione del welfare di categoria (qualche centinaia di milioni), congelamento dei progetti di collaborazione con lo Stato per il rilancio degli investimenti pubblici (3/5 miliardi). Andrea Camporese, presidente dell’Associazione delle casse previdenziali dei professionisti (Adepp), ha imbracciato l’artiglieria. Il governo – stante la bozza della Stabilità – vuole raddoppiare le tasse sui fondi pensione, neppure si trattasse di avidi speculatori. Questi ventilati aumenti delle tasse che effetto avranno sulle pensioni di 2 milioni di professionisti?
«Se fosse confermata l’ipotesi di una tassazione per noi al 26% l’effetto sarebbe molto pesante, in particolare per i giovani. Sottrarre più di un quarto del rendimento ai versamenti previdenziali, mediamente per 40 anni, significa deprimere almeno del 10%. Non si capisce la logica, forse si vuole solo fare cassa». In Italia la previdenza privata viene tassata due volte (accumulo e erogazione). Ora, con Renzi, le tasse diventano “tre”…
«Daremo battaglia ovunque. L’Europa parla di detassazione degli investitori di lungo periodo per il bene delle economie, lo fa anche l’Ocse. In Italia si va in totale controtendenza. Cosa dovremmo dire ad un professionista che si trova di fronte un collega, francese o tedesco, che vede tassati i rendimenti della sua pensione a zero? Di quale concorrenza stiamo parlando? E poi perché un lavoratore che versa all’Inps la tassazione non la subisce?». Il governo ha chiesto alle casse di finanziare alcuni progetti pubblici. Questo progetto andrà avanti?
«Nonostante investimenti a favore dell’economia reale, volontari, efficienti e nel mercato, e quindi non carrozzoni pubblici, possano avere un valore importantissimo per il futuro del Paese, è evidente che le notizie che giungono travolgono ogni discussione». Minaccia proteste clamorose. Quali? «È troppo comodo considerarci speculatori finanziari quando si tratta di pagare le tasse e parte del bilancio dello Stato quando si tratta di calcolare gli attivi, di imporci la spending o di invadere la nostra autonomia gestionale. Se qualcuno pensa di farci tornare pubblici lo dica chiaramente davanti al Parlamento. Ulteriori azioni di protesta saranno decise dall’Assemblea dei presidenti». (Libero)
17 ottobre 2014